L'Unico e la sua proprietà/Parte prima/II. Uomini del tempo antico e del moderno/2. I moderni/2. Gli ossessi/La follia

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2. Gli ossessi - La follia

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II. Uomini del tempo antico e del moderno - Il regno dei fantasmi II. Uomini del tempo antico e del moderno - 3. La gerarchia

Uomo, il tuo cervello non è equilibrato! tu batti la campagna! Nei tuoi sogni ossessionati, ti immagini grandi cose, la tua fantasia ti dipinge tutto un mondo divino, un regno di Spiriti che ti attende, un Ideale che ti chiama* Tu hai un'idea fissa!

Non credere che scherzi o parli per metafora, quando dichiaro radicalmente pazzi, pazzi da legare, tutti coloro che sono tormentati dall'infinito, dal sovrumano; cioè giudicandoli dall'unanimità dei loro voti, comuni a tutta la razza umana.

Che cosa si intende per «idea fissa»? Un'idea alla quale l'uomo è asservito. Allorché riconoscete che una data idea è insana, voi chiudete in un manicomio il suo schiavo. Ma che cosa sono dunque là Verità religiosa, della quale non è permesso dubitare; la Maestà (quella del Popolo, per esempio), alla quale non si può attentare per non rendersi colpevole di lesa maestà; la Virtù, che il censore, guardiano della moralità, difende accanitamente non tollerando . la minima parola che possa lederla? Non sono forse, queste, altrettante «idee fisse»? E che cosa sono, per esempio, tutte quelle chiacchiere inutili che riempiono la maggior parte dei nastri giornali, se non vaniloqui da pazzi dominati da un'idea fissa di legalità, di moralità, di cristianesimo; pazzi che hanno l'aria d'essere in libertà poiché tanto vasto è il cortile del manicomio in cui prendono i loro sollazzi? Provatevi ad urtare alcuni di cotali pazzi sulla loro idea fissa, e vedrete se non sarà necessario proteggere immediatamente la vostra schiena contro le loro furie; perchè questi pazzi di gran fama hanno molti punti di contatto con quei disgraziati veramente folli, che assalgono proditoriamente chiunque accenni alla loro follia. Essi vi rubano prima la vostra armarvi rubano la libertà di parola; poi si gettano sopra di voi per dilaniarvi. Ogni giorno ci offre nuove prove della viltà e della rabbia di questi maniaci, e il popolo, come un imbecille, prodiga loro i suoi applausi. Basta leggere le gazzette dei nostri giorni e sentir parlare costoro, per acquistare subito la desolante convinzione che si è rinchiusi con dei pazzi in un manicomio. «Tu non tratterai tuo fratèllo da pazzo, se non... !» Ma la minaccia mi lascia indifferente, e ripeto: «I miei fratelli sono dei pazzi di primo grado». Cile, un povero pazzo, inquilino di una cella di manicomio, si nutra dell’illusione di essere il Padre Eterno, l’imperatore del Giappone, lo Spirito Santo, o che un buon borghese s’inganni d’essere chiamato dal suo destino ad essere un buon cristiano, un fedele protestante, un cittadino leale, un uomo virtuoso — è sempre identicamente la stessa «idea fissa». Colui che non si è mai arrischiato di essere nè buon cristiano, nè fedele protestante, nè uomo virtuoso, è prigioniero e incatenato nella fede, nella virtù, ecc., ecc. E’ per questo che gli scolastici non filosofavano che entro i limiti della fede della Chiesa, e il papa Benedetto XIV scriveva dei grossi volumi il cui contenuto non oltrepassava i limiti della superstizione papista, senza che il minimo dubbio sfiorasse la loro credenza; è per questo che moltissimi scrittori ammucchiano in-folio su in-folio trattando dello Stato, senza mettere in discussione l’idea fissa dello Stato; è per questo che le nostre gazzette sono rigonfie di politica, essendo chi le scrive ossessionato dall’idea che l’uomo è fatto per essere un «animale politico». E i sudditi vegetano nella servitù, i virtuosi nella virtù, i liberali negli eterni principi dell’umanesimo, senza introdurre nella loro idea fissa lo scalpello della critica. Questi idoli rimangono incrollabili sulle loro fondamenta granitiche, come le monomanie di un pazzo; e colui che le mette in dubbio corre grave rischio! Ripetiamolo ancora: una idea fissa. Ecco il vero sacro santo!

Ci imbattiamo noi forse solo in uomini ossessi dal Diavolo, o sovente anche in ossessi di specie contraria: ossessi del Bene, della Virtù, della Morale, della Legge, o di non importa quale altro «principio»? Le possessioni diaboliche non sono le sole: se il Diavolo ci tira da una parte, Dio ci tira dall’altra; da un lato la «tentazione», dall’altro la «grazia divina»; ma qualunque sia quella che opera, gli ossessi non sono meno posseduti dalle loro opinioni.

Vi dispiace la parola «possessione»? Dite ossessione; anzi, poiché è lo Spirito che vi possiede e vi suggerisce tutto, dite ispirazione, entusiasmo . Io soggiungo che l’entusiasmo perfetto, perchè non può esservi questione di falso, di semLentusiasmo, si chiama fanatismo. Il fanatismo è specialmente proprio delle persone colte, perchè la cultura d’un uomo è in ragione dell’interesse che dimostra per le cose dello spirito, e questo interesse spirituale se è forte e vivo, non è e non può essere altro che fanatismo, cioèun interesse fanatico perciò che è sacro ( sacrum ).

Osservate i nostri liberali; leggete certi giornali sassoni; ascoltate quello che dice lo Schio sser (l* Achtzehntes Jahrhundert, li, 519.): «La società d'Holbach ordì un formale complotto contro la dottrina tradizionale e l'ordine stabilito; e i suoi membri mettevano nella loro incredulità tanto fanatismo quanto frati, preti, gesuiti e metodisti sono abituati a mettere al servizio della loro pietà meccanica e della loro fede letterale ».

Esaminate il modo con cui si comporta oggi un uomo «morale», che pensa di essersela sbrigata con Dio, e rigetta il Cristianesimo come un ferravecchi. Domandategli se non gli è mai accaduto di mettere in dubbio che i rapporti carnali tra fratello e sorella siano, un incesto; che la monogamia sia la vera legge del matrimonio; che la pietà sia un dovere sacro, ecc.: lo vedrete scossa da un virtuoso orrore, all'idea di potersi accoppiare con sua sorella, ecc., ecc. E donde gli viene questo orrore? Perché egli crede a una legge morale. Questa fede morale è solidamente radicata in lui. A nulla valse il suo insorgere contro la pietà dei Cristiani; egli è rimasto egualmente cristiano per la morale. Con il suo lato morale, il Cristianesimo lo tiene incatenato, e propriamente incatenata nella fede. La monogamia, deve essere qualche cosa di sacro, e il bigamo castigato come un criminale ; chi si lascia trascinare all'incesto porterà il peso del suo delitto. E in ciò si trovano d'accordo anche coloro i quali non cessano di gridare che la Religione non ha nulla a che fare con lo Stato, e che Ebrei e Cristiani sono ugualmente membri dello Stato. Incesto e monogamia, non sono forse altrettanti dogmi 7 Provatevi a toccarli, e vedrete che in quell'uomo morale si troverà la stoffa di un inquisitore da fare invidia a un Krummacher o a Filippo IL Questi difendeva l'autorità religiosa della Chiesa; quegli difende l'autorità morale dello Stato, le leggi morali sulle quali lo Stato riposa. L'uno come l'altro condannano in nome di articoli di fede; a chiunque agisca altrimenti dà come permette la loro propria fede, gli infliggono il marchio dovuto al suo «delitto» e lo manderanno a marcire in una casa di pena, in fonda a un carcere. La credenza morale non è meno fanatica della religiosa. E ciò si chiama « libertà di coscienza », quando un fratello e una sorella sono gettati in prigione in nome di un principio -che la loro «coscienza» aveva respinto? — Ma essi davano un esempio detestabile! — Credo che sì; perchè potrebbe darsi che altri si mettessero in niente che lo Stato non debba immischiarsi nelle loro relazioni; e allora a che cosa si ridurrebbe la «purezza dei costumi»? Di qui, proteste generali: «Santità divina», gridano gli zelanti della Fede: «Virtù sacra!», gridano gli apostoli della Morale.

Sovente si rassomigliano pochissimo coloro che si agitano per gli interessi sacri; e i rigidi ortodossi o i vecchi credenti differiscono di molto dai combattenti per la «Verità, per la Luce e per il Diritto», dai Filateti, dagli amici della luce, ecc.l Tuttavia nulla di essenziale, di fondamentale li separa. Se si attacca tale o tal'altra delle vecchie verità tradizionali (il miracolo, il diritto divino, ecc.) i più illuminati applaudono; i vecchi credenti solo gemono. Ma se si tocca la Verità tutti si troveranno credenti, e li avrete tutti contro. Così è per le cose della morale: i bigotti sono intolleranti; i cervelli più illuminati si credono d'essere più tolleranti; ma se qualcuno si attenta a toccare la Morale, si troverà di fronte tutti costoro che faranno causa comune contro di lui. « Verità, Morale, Diritto, ecc. » sono e devono rimanere «sacri». Ciò che si trova da biasimare nel Cristianesimo non può, dicono i liberali, che esser stato introdotto a torto, e non è veramente cristiano; ma il Cristianesimo deve rimanere al di sopra di ogni discussione, esso è la «base», immutabile, ed è un «criminale» chi cerca di abbatterla. Leretico contro la credenza pura non è più esposto alla fobìa persecutrice di altri tempi, è vero; ma questa si è volta interamente contro l’eretico che attenta alla Morale pura,

La Pietà ha dovuto subire, da un secolo, molti assalti: la sua essenza sovrumana si è sentito tanto sovente rimproverarla d'essere «inumana», che non si può più ormai essere tentati di attaccarla. Nonpertanto, se degli avversari si sono presentati per combatterla, fu quasi sempre in nome della Morale stessa, per detronizzare l'Essere supremo a profitto di un «altro essere supremo». Perciò Proudhon (i. De la création de l'ordre ecc., p. 36) non esita a dire: «Gli uomini sono destinati a vivere senza religione; ma la morale è eterna ed assoluta: chi oserebbe oggi attaccare la morale?» I moralisti passarono tutti nel letto della Religione, e dopo essersi immersi fino al collo nell'adulterio, si affannano a gridare, asciugandosi lesti lesti le labbra: «La Religione? lo non la conosco quella signora!»

Se dunque noi osserviamo che la Religione è ben lungi dall'essere mortalmente colpita fino a tanto che ci si limita a incriminare la sua esistenza soprannaturale, e che essa si rivolge, in ultima istanza, allo «Spirito» (perchè Dio è lo spirito), non avremo sufficientemente dimostrato il suo accordo finale con la moralità, perchè ci sia permesso di lasciarla alle sue interminabili beghe? Si parli della Religione o della Morale, è sempre di un essere supremo, che si tratta; poco importa che questo essere supremo sia sovrumano o umano: in tutti i casi è sempre un essere che si sovrappone al nostro. Che divenga in ultima analisi l'essenza umana o l'«Uomo» esso non avrà fatto che abbandonare la pelle della vecchia religione per rivestire una nuova pelle religiosa.

Feuerbach ci insegna che «solo attenendosi alla filosofia speculativa, cioè facendo sistematicamente del predicato il soggetto, e reciprocamente del soggetto l'oggetto e il principio, si possiede la verità pura» ( Anekdota. ). Senza dubbio, noi abbandoniamo Dio che nè è il soggetto: ma così facendo acquistiamo l'altra parte del concetto religioso: la Morale. Noi non diciamo più, per esempio: «Dio è l'amore », bensì « l'amore è divino»; sostituendo ora il predicato «divino» con il suo equivalente «sacro», ci troveremo sempre al nostro punto di partenza, non avendo fatto un passo. Lamore è dunque per l'uomo il Bene, quello che lo divinizza e lo rende rispettabile, la sua vera «umanità»; o, per esprimerci più esattamente, l'amore è ciò che nell'uomo vi è di veramente i ttna.no; e quello che v'è in lui d'inumano è l'egoista senza amore.

Perciò tutto quello che il cristianesimo, e con esso la filosofia speculativa, cioè la teologia, ci presentano come il bene, l'assoluto, non è propriamente il bene; non fa che affermare più solidamente ancora l’essere cristiano (il predicato stesso contiene già l'essere). Aver sloggiato Dio dal suo cielo e averlo rapito alla «trascendenza» non giustifica affatto le vostre pretenzioni di vittoria definitiva, perchè voi non fate che relegarlo nel cuore umano dotandole d'una insradicabile «immanenza». D'ora innanzi bisognerà dire: «Il divino è ciò che è veramente umano».

Coloro stessi che si rifiutano di vedere nel Cristianesimo il fondamento dello Stato e che insorgono contro la formule come «Stato cristiano», «Cristianesimo di Stato» ecc., non si stancano di ripetere che la Morale è la «base della vita sociale e dello Stato». Come se il regno della Morale non fosse il dominio assoluto del «sacro», una «Gerarchia»!

A questo proposito si può ricordare il tentativo di spiegazione che si è voluto da taluni opporre all'antica dottrina dai teologi. A crederli, la fede sola sarebbe capace di provare e far comprendere le verità religiose: Dio si rivelerebbe ai soli credenti; ciò sarebbe come dire che solo il cuore, il sentimento, la fantasia devota sono religiosi. A questa affermazione si rispose che «l'intelligenza naturale», la ragione umana, sono egualmente atti a conoscere Dio. (Non è questa una singolare pretensione’ della ragione, voler rivaleggiare di fantasia ’ con la fantasia stessa ?).

E' in questo senso che Reimaro scrisse le sue «Vornehmsten Wahrheiten der naturlichen Religion» (Le principali verità della Religione naturale ). Egli giunse a considerare che l’uomo intiero tende verso la religione con tutte le sue facoltà; cuore, sentimento, intelletto, ragione, scienza, sapere, volere; tutto nell'uomo gli parve religioso . Hegel ha persino dimostrato che la filosofia stessa è religione! Infatti il nome di Religione non serve forse ai nostri giorni a decorare qualunque cosa? La «Religione dell'Amore», la «Religione della Libertà», la « Religione della Politica»; in breve, tutti gli entusiasmi. E, in fondo, non si hanno tutti i torti!

Oggi ancora noi adoperiamo questa parola d'origine latina, «Religione», che per la sua etimologia esprime l'idea di vincolo. E vincolati siamo infatti; e vincolati rimarremo fino a tanto che saremo imbevuti di Religione. Ma lo Spirito è lui pure vincolata? Al contrario, lo Spirito è libero; egli è l'unico padrone; non è il nostro Spirito, ma è assoluto. Perciò la vera traduzione affermativa della parola Religione sarebbe: «Libertà spirituale». Quegli il cui spirito è libero; è religioso per la stessa ragione che è sensuale l'uomo che dà libero corso ai suoi appetiti sensuali. Lo Spirito vincola l'uno; la Carne vincola l'altro. Vincolo, costrizione, dipendenza: tale è la religione in rapporto a me stesso: io sono vincolato; Libertà, eccola Religione in rapporto allo Spirito: egli è libero, e gode della libertà spirituale.

Il male cbe ci può fare lo scatenamento delle nostre, passioni, moltissimi lo sapranno per averlo sofferto. Ma che lo Spirito libero, la radiosa spiritualità, l'entusiasmo per degli interessi ideali possano procurarci i peggiori affanni; come non lo farebbe la più nera cattiveria, non lo si vuol riconoscere; e, d'altronde non lo si può se non si è e noti si fa professione d'essere un egoista.

Reimaro, e con lui tutti coloro i quali hanno dimostrato che la nostra ragione, come il nostro cuore, ecc., conducono a Dio, hanno semplicemente dimostrato che noi siamo completamente e totalmente ossessi. Al certo, essi facevano torto ai teologi, ai quali toglievano il monopolio dell'illuminazione •religiosa; ma acquistavano maggior dominio alla Religione e alla libertà spirituale. Infatti, se per Spirito non intendete più solo il sentimento o la fede, ma lo Spirito in tutte le sue manifestazioni, intelligenza ragione e pensiero in generale, e se gli permettete come intelligenza, ecc., di partecipare alle verità spirituali e celesti, in questo caso è lo Spirito intero che si eleva alla pura spiritualità che è libero.

Partendo da queste premesse, la Morale era autorizzata a mettersi in opposizione assoluta con la Pietà. Ed è questa opposizione che si manifestò rivoluzionariamente, sotto forma di odio ardente contro tutto ciò che rassomigliava a una «ingiunzione» (ordinanze, decreti, ecc, ecc.), e contro la persona derisa e perseguitata del «padrone assoluto». Essa s'affermò in seguito come dottrina, e trovò quindi la sua formula nel Liberalismo, di cui la «borghesia costituzionale» è la prima espressione storica, e che eclissò le potenze religiose propriamente dette.

La moralità, non derivando più semplicemente dalla Pietà, ma avendo radici sue proprie, il principio della morale non procede più dai comandamenti divini, ma dalle leggi della ragione; e per far sì che questi comandamenti siano valevoli, bisogna prima che il loro valore sia stato controllato dalla ragione e da essa contrassegnato. Le leggi della ragione sono l'espressione dell'uomo stesso, perchè l'«Uomo» è ragionevole, e P«essenza dell'uomo » implica di tutta necessità queste leggi: Pietà e Morale differiscono in ciò che la prima riconosce Dio per legislatore; la seconda PUomo.

Mettendosi sotto un dato punto di vista della morale, si ragiona presso a poco in questo modo: O l’uomo ubbidisce alla sua sensualità e, ascoltandola, diventa immorale; oppure ubbidisce al Bene, il quale, come fattore agente sulla volontà, si chiama senso morale, (sentimento, preoccupazione del Bene), e in questo caso è morale . Come si può, a questo riguardo, definire immorale Patto di Sand che uccide Kotzebue? Quest’atto fu certamente tanto disinteressato quanto lo furono le ruberie di San Crispino a profitto dei poveri. «Egli non doveva assassinare, perchè sta scritto: tu non ucciderai! » Servire il bene, il bene pubblico, (come Sand credeva di fare), o il bene dei poveri (come Crispino) è dunque morale; ma Puccisione e il furto sono immorali: fine morale, mezzi immorali. Perchè? «Perchè Puccisione, Passassimo, sono male azioni in sè, in modo assoluto». Allorché i Guerriglieri attiravano i nemici dei loro paese nelle imboscate e li trucidavano inesorabilmente, tenendosi al riparo nei loro nascondigli, non commettevano forse un assassinio? Se voleste attenervi scrupolosamente al principio della morale, la quale prescrive di servire sempre e da per tutto il Bene, sareste indotti a chiedervi se in nessun caso Passassinio può realizzare il Bene; e nell'affermativa voi non potete condannare Pazione di Sand: essa fu morale, perchè disinteressata e perchè non aveva altro scopo che il Bene; fu un castigo inflitto da un individuo; una esecuzione per la quale egli arrischiò la propria vita. Che cosa altro si deve vedere nelPazione di Sand? se non la sua volontà di sopprimere con la forza certi scritti? Non avete mai visto applicare questo stesso modo di procedere come « legale » e sanzionato? E che cosa rispondereste a ciò, in nome del vostro principia della Moralità? «Fu una esecuzione illegale!» L'immoralità dei fatto era dunque nella sua illegalità, nella disobbedienza alla legge? Allora accordatemi che il Bene altro non è che la legge, e che Morale equivale Legale! Dunque la vostra Moralità deve rassegnarsi ad essere una vana etichetta della «legalità», una falsa devozione alPadempimento di una legge molto più tirannica e ripugnante dell'antica; questa non esigeva che la pratica esteriore, mentre voi esigete anche V intenzione' bisogna portare in sè la regola e il dogma, e il più legalmente intenzionato è il più morale. Lultima favilla della vita cattolica si spegne in questa legalità protestante. E in questo modo finalmente si completa e trionfa assolutamente l'impero della Legge. «Non sono io che vivo; è la Legge che vive in me», lo sono giunto a non essere altro che il «vaso della sua gloria». «Ogni prussiano porta nel proprio seno un gendarme», disse un ufficiale prussiano parlando de' suoi compatrioti.

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Donde proviene l'incurabile impotenza di certe opposizioni? Unicamente da ciòcche esse non vogliono affatto allontanarsi dal cammino della Moralità o della Legalità; quindi sono condannate a rappresentare quella mostruosa commedia di devozione, d'amore, ecc.; questa loro ipocrisia fa nascere un profondo disgusto per quello che si chiama «opposizione legale». Un accordo morale concluso in nome dell'amore e della fedeltà non lascia posto ad alcuna volontà discordante ed opposta; la bella armonia è spezzata se uno vuole una cosa e l'altra il contrario. Ora, l'uso ed un vecchio pregiudizio dell'opposizione esigono anzitutto il rispetto di questo patto morale. Che cosa rimane all'opposizione? Può forse essa esigere una libertà allorché l'eletto, la maggioranza, trovano opportuno respingerla? No! Essa non oserebbe volere la libertà; tutto quello che può fare è desiderarla, e, per ottenerla, fare «petizioni» e tendere la mano domandandola per carità. Che cosa succederebbe se l'opposizione volesse realmente, con tutta l'energia della sua volontà? No, no: essa deve sacrificare la Volontà all'Amore, rinunciare alla Libertà per i begli occhi della Morale. Essa non deve giammai «reclamare come un diritto» quello che le è solamente permesso di «chiedere come una grazia». li Amore, la devozione, ecc., esigono imperiosamente che vi sia una sola volontà, davanti alla quale tutte le altre debbono inchinarsi ed obbedire con amore e sottomissione. Che questa volontà sia ragionevole o irragionevole poco importai; in tutti i casi è morale sottomettersi e immorale sottrarsi al suo volere.

La volontà che governa la censura sembra irragionevole a molti. Tuttavia, in un paese in cui esiste la censura, colui che le sottrae i propri scritti fa male e colui invece che glieli sottomette fa bene. Se qualcuno, debitamente avvertito e richiamato all'ordine dal censore, passa oltre e impianta, per esempio, una tipografia clandestina, si avrebbe il diritto di accusarlo d'immoralità, e, maggiormente, di imprudenza, se si lasciasse, cogliere in fallo; ma la sua avventura potrebbe procurargli almeno qualche titolo di benemerenza presso le «persone morali?» Chi sa! Forse egli s'immaginava di servire ad una «morale superiore».

La rete dell'ipocrisia moderna è tesa ai confini dei due domini, tra i quali, alternativamente sballottata, la nostra epoca tende le fila slegate della menzogna e dell'errore. Troppo debole oramai per servire senza titubanze la Morale, troppo scrupolosa ancora per vivere decisamente secondo l'egoismo, essa passa tremante nella ragnatela dell'ipocrisia, da un principio all'altro, — e, paralizzata dal flagello dell'incertezza, cattura solamente dei miserabili moscerini. Appena abbiamo avuto l'audacia di manifestare schiettamente il nostro pensiero, ecco che subito cerchiamo di giustificare l'ardire con delle proteste amorose: rassegnazione ipocrita. Se, al contrario, abbiamo avuto il coraggio di combattere un'affermazione audace, invocando moralmente la buona fede, ecc., tosto il coraggio morale svanisce e ci facciamo premura di assicurare che abbiamo inteso quelle schiette parole con vero piacere: approvazione ipocrita. Insomma, si vorrebbe ottenere Luna cosa, ma non lasciare l'altra; si vorrebbe volere liberamente , senza cessare di volere moralmente.

Eccovi, o Liberali, in presenza di uno di quegli avversari di cui disprezzate la severità; noi vi ascoltiamo: voi vi sforzate di attenuare l'effetto di ogni parola un po' liberale con lo sguardo della più leale fedeltà; quegli vestirà il suo servilismo delle più calde proteste di liberalismo. Ora, separatevi: ciascuno pensa dell'altro: ti conosco, mascherina! Egli ha fiutato in voi il Diavolo, come voi in lui il vecchio buon Dio.

Un Nerone non è «cattivo» che agli occhi dei «buoni»; ai miei occhi egli è semplicemente un ossesso, come i buoni stessi. I buoni vedono in lui un puro scellerato e lo votano all'inferno. Ma perché nessuno si è opposto ai suoi capricci? Come mai si è potuto tanto sopportarlo? I Romani addomesticati, che si lasciavano calpestare da un simile tiranno, valevano forse qualche cosa di più? Nell'antica Roma, lo avrebbero immediatamente soppresso, nè giammai essa sarebbe divenuta sua schiava. Ma le «persone oneste» dei suoi tempi si limitavano nella loro moralità, a opporgli i loro voti e non la loro volontà. Esse sì limitavano a mormorare che il loro imperatore non si sottometteva, al pari di loro stessi, alle leggi della Morale; e restavano «sudditi morali», aspettando che uno di loro osasse passare deliberatamente sopra ai «suoi doveri dì suddito obbediente». E allora tutti i «buoni Romani», tutti i «sudditi sottomessi» attristati d’oltraggi per la loro mancanza di volontà, acclamarono l’azione criminale e immorale del ribelle.

Dov’era, nei «buoni», il coraggio di fare la Rivoluzione > quella rivoluzione che vantano e sfruttano oggi, dopo che un altro la seppe compiere? Questo coraggio essi non potevano averlo, perchè una rivoluzione, una insurrezione è sempre qualche cosa di «immorale», alla quale ci si può risolvere solo quando si cessa d’essere «buoni» per divenire «cattivi» o «nè buoni, nè cattivi».

Nerone non era peggiore dei tempi in cui viveva; allora non si poteva essere che l’uno o l’altro; buono o cattivo. La sua epoca l’ha giudicato cattivo nel più tristo senso della parola, non per debolezza, ma per pura scelleratezza chiunque è morale deve ratificare questo giudizio. Anche ai nostri giorni si incontrano furfanti della sua specie, che vivono in mezzo alle persone oneste (v. p. e-, le Memorie del Cavaliere di Lang). In verità non è troppo comodo vivere in mezzo a loro; perchè non si è un istante sicuri della propria incolumità; ma si vive forse meglio tra i buoni? Anche tra i buoni non si è sicuri della propria vita; salvo che se ti impiccano, lo fanno in nome della «buona causa». Quanto all’onore, esso è ancora più in pericolo, benché il vessillo nazionale lo copra con le sue pieghe tutelari. Il pugno rude della Morale è senza misericordia per la nobile essenza dell'egoismo.

« Non si può tuttavia mettere al medesimo livello un furfante e un uomo onesto!». E chi, dunque, lo fa più facilmente di voi stessi, o Censori! Peggio ancora; l’uomo onesto che insorge francamente contro l’ordine stabilito, contro le sacrosante istituzioni, ecc, ecc., voi lo trattate come un criminale, mentre al furfante raffinato confidate il vostro portafogli ed altre cose ancora più preziose. Dunque, in pr&xi, voi non avete nulla da rimproverarmi. «Ma in teoria!». In teoria, io li metto al medesimo livello, quella della moralità, di cui sono i poli opposti. Buoni e cattivi, essi non hanno significato che nel mondo «morale»; allo stesso modo come prima della venuta di Cristo, essere un Ebreo secondo la Legge o non esserlo secondo la Legge non aveva significato che in rapporto alia Legge giudaica. Agli occhi di Cristo, il fariseo non contava di più dei «peccatori e dei pubblicani»; come, per l'individualità, il fariseo morale vale il peccatore immorale.

Nerone era un ossesso incomodo, un pazzo dannoso. Sarebbe stata una sciocchezza perdere il tempo a richiamarlo al «rispetto delle cose», per lamentarsi in seguito perchè il tiranno non le teneva in alcun conto e agiva a suo talento. Ad ogni momento si sentono delle persone invocare la santità degli imprescrittibili diritti dell'Uomo in presenza di coloro che ne sono i nemici, sforzandosi di provare e dimostrare che tale o tal'altra libertà è uno dei «sacri diritti dell'uomo». Coloro che si dedicano a questi esercizi meritano d'essere derisi, come lo sarebbero, se, fosse pure incoscientemente, non prendessero la via che deve condurli al loro scopo. Essi comprendono che allorquando la maggioranza sarà acquisita a quella libertà che desiderano, essa la vorrà e la prenderà. Non è col proclamare la santità di un diritto e con tutte le prove che si possono produrre che si avanzerà di un passo: lamentarsi e supplicare non conviene che ai mendicanti.

L'uomo «morale» è necessariamente limitato nelle sue vedute, perchè non concepisce altro nemico che l'«immorale»; quello che non è «bene» è «male», e per conseguenza riprovevole, odioso, ecc. Perciò egli è radicalmente incapace di comprendere l'egoista. Lamore all'infuori del matrimonio non è immorale? Luomo morale può girare e rigirare a suo piacere la domanda, ma non sfuggirà alla necessità di condannare il fornicatone. Il libero amore è pure una immoralità; e questa verità morale costò la vita a Emilia Galotti. Una ragazza virtuosa invecchi zitella; un uomo virtuoso sì logori a respingere le aspirazioni naturali fino a soffocarle; si mutili anche per amore della virtù, si faccia evirare come Origene per amore del cielo: sarà onorare la santità del matrimonio, riconoscendo la inviolata santità della castità; ciò sarà morale. Linverecondia non può mai produrre buoni frutti; per quanto l'uomo onesto possa giudicare con indulgenza colui che di ciò si è reso colpevole, essa rimane sempre una colpa, una infrazione alla legge, morale, e gli imprime una macchia indelebile. La castità, che una volta faceva parte dei voti monastici, è entrata nel dominio della morale comune. La castità è un bene. Al contrario, per l'egoista, la castità non è. un bene da cui ne possa trarre profitto: essa non ha importanza per lui. Perciò, quale sarà il giudizio dell'uomo morale a suo riguardo? Questo: egli porrà l'egoista nella sola categoria di persone che concepisce aH'infuori dei «morali», in quella degli «immorali». Non può fare altrimenti: siccome l'egoista non ha alcun rispetto per la morale, esso gli deve sembrare immorale. Se lo giudicasse in modo differente, egli pur non confessandoselo, non sarebbe più un uomo veramente morale, ma un apostata della Morale. Questo fenomeno, non raro ai nostri tempi, non deve indurre in errore; bisogna convenire che chi tollera la minima offesa alla morale non merita più il nome d'uomo morale; come Lessing non doveva più essere annoverato tra i cristiani allorché, in una parabola conosciutissima, paragonò la religione cristiana, come la maomettana e l'ebraica, ad un «anello Falso». Sovente gli uomini sono andati molto più lontano di quello che non avrebbero voluto.

Sarebbe stato, da parte di Socrate, una immoralità accogliere le seducenti offerte di Cr itone e fuggire dalla prigione; rimanere, era il solo partito che poteva moralmente prendere. E ciò fu possibile, semplicemente perchè Socrate era un uomo morale.

Gli uomini della Rivoluzione, «immorali ed empì» avevano giurato fedeltà a Luigi XVI; ma ciò non impedì loro di decretare la sua deposizione e di inviarlo al patibolo: azione immorale, della quale gli uomini «morali» sentiranno orrore per tutta l'eternità*

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Tuttavia queste critiche non s'applicano che alla « morale borghese» che i più liberali guardano con sdegno. Questa morale, come la borghesia di cui essa è la figlia, è ancora troppo vicino al cielo, troppo poco libera della Religione, per non dover appropriarsene le leggi. Non esigete dunque da essa della critica e non domandatele di generare una dottrina originale. Allorquando la moralità, cosciente della sua dignità, si prefigge per unica regola il suo principio, l'essenza umana, o l'«Uomo», si presenta sotto tutt'altro aspetto. Coloro che pervengono a trasportare risolutamente il problema su questo terreno troncano per sempre ogni rapporto con la Religione; per il loro Dio non Ve più posto presso all'«Uomo»; non solo, ma colando a picco il vascello dello Stato, distraggono pure ogni «moralità» che dallo Stato solo procede; rinunciano di conseguenza per sempre ad invocarne anche il nome. Perchè ciò che questi «Critici» designano col nome di moralità si distacca nettamente dalla così detta morale «borghese» o « politica », e deve apparire agli uomini di Stato e ai borghesi una «licenza sfrenata». Tuttavia, questa nuova concezione della moralità non presenta nulla di nuovo nè d'inedito essa non fa che adattarsi al progresso realizzato nella «purezza del principio». Quell'ultimo, lavato della macchia del suo adulterio con il principio religioso, si precisa e raggiunge la sua piena onnipotenza diventando «Umanità». Perciò non bisogna meravigliarsi di vedere conservato questo nome di moralità, a fianco di altri, come libertà, umanità, coscienza, ecc. ecc., accontentandosi di aggiungervi tutt'al più il predicato di «libero». La morale diventa «morale libera.», allo stesso modo che Io Stato borghese, quantunque ne subisca una diminuzione, diventa «Stato libero» o anche «Società libera», senza cessare d'esser Luna la Morale e l'altro lo Stato.

Essendo ormai la morale puramente umana e completamente separata dalla Religione, dalla quale storicamente è sorta, nulla le si oppone che diventi Religione essa stessa. Infatti, la Religione differisce dalla Morale solo in quanto che i nostri rapporti con il mondo degli uomini sono regolati e santificati dai nostri rapporti con un essere sovrumano; cioè perchè il nostro agire è un agire per «amor di Dio». Ma ammesso che l'«Uomo sia per l'uomo l'ente supremo» e ogni differenza sparisca, la Morale lascia la sua posizione di subordinata, si completa e assurge a Religione. LUomo, essere superiore, sino ad ora subordinato a un Essere supremo, raggiunge il più alto grado assoluto, e noi uniformiamo i nostri rapporti con Lui alla stregua di un essere supremo: cioè religiosamente.

Moralità e Pietà divengono di nuovo sinonimi come al principio del Cristianesimo. Se il santificato non è più «santo» ma «umano», è semplicemente perchè l'essere supremo è divenuto un altro, l'Uomo ha preso il posto di Dio. La vittoria della Moralità ha prodotto semplicemente un cambiamento di dinastia.

Distrutta la Fede, Feuerbach crede di trovare un asilo nell'Amore. «La prima e suprema legge deve essere l'amore dell'uomo per l'uomo. Homo homim Dens est, ecco la suprema massima pratica; con essa si cambia la faccia al mondo (l. Wèscn <ks Christentums, lì* ed., p. 402.)» Ma veramente di mutato, però, non v'è che Dio, «Deus»; l'amore è rimasto — voi adoravate il Dio sovrumano; voi adorerete il Dio umano, V Homo che è Deus . Duomo mi è sacro; e tutto ciò che è «veramente umano» mi è «sacro»! «Il matrimonio è per se stesso sacro; così come tutte le relazioni della vita morale: l'amicizia, la proprietà, il matrimonio, il benessere dei singoli, sono e devono essere sacri, in essi e per se stessi». E forse un prete che parla? Qual'è il suo Dio? LUomo! Che cos'è il divino? Quello che è umano! Il predicato non ha fatto, in definitiva, che prendere il posto del soggetto; la proposizione «Dio è l'Amore» si cambia in «l'Amore è divino»; continuate ad applicare il medesimo procedimento: «Dio si è fatto Uomo », avrete «l'Uomo si è fatto Dio», ecc., ed ecco una nuova Religione.

«Tutti i fenomeni della vita morale che costituiscono i costumi non sono morali e non assumono un significato morale, che in quanto hanno in loro stessi (senza che la benedizione del prete li consacri) un valore religioso». Il senso della frase di Feuerbach: «La teologia è una antropologia», si precisa e si riduce a «La religione deve essere un'etica; l'etica è la sola religione». Feuerbach si accontenta di invertire l'ordine del predicato e del soggetto; di fare un usteron proteron logico.

Come egli stesso lo dice: «Lamore non è santo (e non è mai stato considerata tale dagli uomini) perchè è un predicato di Dio; ma è un predicato di Dio perchè in se stesso è divino». Perchè dunque non muove guerra ai predicati stessi, all'amore e alle santità di ogni specie? Come poteva lusingarsi di allontanare gli uomini da Dio, lasciando, loro il divino? se, come Feuerbach dice, l'essenziale per essi non fu mai Dio, ma i soli suoi predicati, perchè affaticarsi tanto a togliere la denominazione lasciando loro la cosa? D'altronde egli stesso proclama che il suo scopo è di «distruggere una illusione»; un'illusione perniciosa «la quale seppe così bene abbindolare l'uomo, che persino l'amore, il più vera e intimo suo sentimento, è divenuto, causa la religiosità, vano e illusorio, poiché l'amore religioso non ama l'uomo che per amor di Dìo: cioè in apparenza ama l'uomo, mentre in realtà ama Dio». E' forse altrimenti per l'amore morale? Si ispira esso all'uomo, al tale o, tal'altro uomo in particolare, per amore di lui, di questo uomo, o per amore della Morale, dell'Uomo in generale, e, in conclusione — poiché Homo homini Deus — per amore di Dio?

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La pazzia si manifesta pure sotto innumerevoli altre forme: quindi è necessario accennare qui a qualcuna.

Fra esse la rinuncia, 1' abnegazione sono comuni ai santi e ai non santi; ai puri ed agli impuri. Limpuro rinuncia ad ogni buon sentimento, «rinnega» ogni pudore, ogni rispetto umano; egli è docile schiavo dei suoi desideri. Il puro rinuncia ai suoi rapporti naturali con il mondo, «rinnega il inondo», per farsi schiavo del suo imperioso ideale. Lavaro, attirato dalla sete dell'oro, rinnega i precetti della, sua coscienza, rinuncia ad ogni sentimento d'onore, alla dolcezza, alla pietà; sordo ad ogni altra voce, corre precipitosamente al richiamo del suo tirannico desiderio. Il santo si comporta allo stesso modo; inesorabile con gli altri, e con se stesso rigoroso e duro, affronta il «ludibrio del mondo», è signoreggiata dal suo tirannico ideale. Tanto negli uni quanto negli altri, esiste la medesima abnegazione di se stessi- se il non santo abdica davanti a Mammone, il santo abdica dinanzi a Dio ed alle leggi divine.

Noi viviamo in un'epoca in cui V impudenza del Sacro si fa sentire e si rivela ogni giorno sempre più, perché ogni giorno è costretta a smascherarsi e svelarsi. Si può immaginare qualche cosa che superi in insolenza e sfrontatezza gli argomenti con cui si tenta, per esempio, di contrastare il «progresso del tempo»? La loro sciocchezza soprawanza ogni misura e previsione: ma come potrebbe essere altrimenti? Santi o non santi, tutti coloro che praticano l'abnegazione devono percorrere lo stesso cammino, che da abdicazione in abdicazione, conduce gli uni a sprofondarsi nella più ignominiosa degradazione e gli altri ad elevarsi alla più disonorante sublimità, li Mammone terrestre e il Dio del cielo esigono entrambi esattamente la medesima somma di «rinuncia».

Labbietto e il sublime aspirano tutti e due ad un «bene» l'uno ad un bene materiale, l'altro ad un bene ideale; ed entrambi si completano, l'«uomo della Materia» sacrificando alla sua vanità, scopo ideale, quello che l'«uomo dello Spirito» sacrifica a un godimento materiale, il conforto .

Che cosa di grande si immaginano di dire coloro che ripongono nel cuore dell'uomo il « disinteresse »? Che cosa intendono con questa parola? Probabilmente qualche cosa di vicinissimo all'«abnegazione di se stesso». Di se stesso/ Di chi dunque? Chi è colui che deve essere rinnegato e il cui interesse dovrà essere messo da parte? Sembra che debba essere tu stesso! E a profitto di chi ti si raccomanda questa abnegazione disinteressata? Di nuovo a tuo profitto, a tuo beneficio, a patto però di raggiungere per disinteresse il tuo «vero interesse».

Si deve trarre profitto da se stessi ma senza cercare il proprio profitto. Un benefattore dell'umanità come Franke, il creatore degli orfanotrofi, o come O'Connel, l'instancabile difensore della causa irlandese, passa per disinteressato: così è per il fanatico che come San Bonifacio espone la sua vita per la conversione dei pagani; o, come Robespierre, che sacrifica ogni cosa alla virtù; o, come Kòrner che muore per il suo Dio, il suo Re e la sua Patria. Il loro disinteresse è cosa ammessa. Ma gli avversari di O'Connel, per esempio, si affaticavano per farlo apparire come un uomo cupido (accusa alla quale la sua fortuna dava qualche verosimiglianza) sapendo che se potevano giungere a rendere sospetto il suo disinteresse, sarebbe stato loro facile staccarlo dai suoi seguaci. Ma tutto quello che costoro avrebbero potuto provare, era che O'Connel perseguiva un intento diverso da quello che egli confessava. Ma che egli avesse avuto di mira o un vantaggio pecuniario o la libertà del suo popolo, risulta evidente che perseguiva uno scopo e anche il suo scopo: tanto nell'uno quanto nell'altro caso, v'era l'interesse; con questa differenza: che il suo interesse nazionale era utile ad altri, e diventava perciò un interesse comune ,

II disinteresse non esiste, dunque? Al contrario, è una cosa comunissima! Il disinteresse si potrebbe chiamarlo un articolo di moda del mondo civile, tenuto per così necessario che allorquando costa troppo caro ad averlo di staffa solida, lo si acquista a scampoli: il disinteresse lo si ostenta in ogni modo.

Dove incomincia il disinteresse? Precisamente in quel momento in cui un intento cessa di essere il nostro scopo e la nostra proprietà della quale possiamo disporre a nostro agio; allorché questo intento diviene uno scopo fisso, o una idea fissa, e comincia a ispirare le nostre azioni e ad entusiasmarci, a fanatizzarci: insomma, quando ci signoreggia. Non si è disinteressati sino a tanto che si rimane schiavi del proprio scopo; lo si diviene invece allorché si emette il grido che promana dal cuore degli ossessi: «Io sono come sono, e non saprei essere altrimenti»; lo si diviene per uno scopo stinto, per uno zelo santo.

10 non sono disinteressato sino a tanto che il mio scopo rimane cosa mia. propria, e che lo tengo perpetuamente in mio potere, invece di farmi il cieco strumento del suo compimento. Io posso anche spiegare minor zelo del fanatico; ma tutto il mio zelo mi lascia, di fronte al mio scopo, freddo, calcolatore, incredulo e ostile; io rimanga il suo giudice, perchè sono il suo proprietario.

11 disinteresse pullula ove regna la «possessione» tanto nei possedimenti del Diavolo quanto in quelli del buon Spirito: là, vizi, follie, ecc.; qui, rassegnazioni, sottomissioni, ecc.

Dovunque si volgono gli sguardi, si osservano le vittime della «rinuncia». Di contro a me abita una giovane che da ben dieci anni offre in olocausto all'anima sua dei sacrifici sanguinosi. Costei era tempo addietro un'adorabile creatura; ma oggi una stanchezza mortale oscura la sua fronte, il pallore del viso dimostra che la sua gioventù avvizzisce e muore lentamente. Pavera fanciulla! Quante volte le passioni avranno fatto palpitare il tuo cuore; quante volte la gioventù avrà reclamato per la tua primavera una parte di sole e di gioia! Quando posavi il capo sull'origliere, come la natura ridestatasi faceva fremere le tue membra, come il sangue turbinava nelle tue arterie, e l'accesa fantasia ti faceva sorgere innanzi incantevoli immagini voluttuose, tu sola Io sai; e tu sola potrai dire gli ardenti sogni che illuminavano i tuoi occhi con la fiamma del desiderio. Ma allora, improvvisamente, al tuo capezzale si drizzava un fantasma: l'Anima, la salute eterna! Inorridita, giungevi le mani, levavi verso il cielo il tuo sguardo smarrito: pregavi. Il tumulto della natura si assopiva, e la calma immensa del mare si appesantiva sui flutti agitati dei tuoi desideri. Poco a poco la vita si spegneva nel tuo sguardo, tu chiudevi le palpebre stanche, nel cuore si faceva un silenzio sepolcrale, le tue mani giunte ricadevano inerte sul seno non più ribelle, dalle tue labbra esalava un ultimo sospiro — e Vamnio era tranquilla. Ti addormentavi; e l'indomani erano nuove lotte e nuove preghiere. Oggi, l'abitudine della rinuncia ha ghiacciato l'ardore dei suoi desideri, e le rose della tua primavera inaridiscono al vento disseccante della felicità futura. L'anima è salva: il corpo può perire. O Lais, o Ninon, quanto avevate ragione di disprezzare questa pallida virtù! Una «grisette» libera e spensierata, vale mille vergini incanutite nella virtùl

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«Assioma, principio, precetti, punto d'appoggio, morale», ecco altre forme sotto le quali si manifesta l'idea fissa.

Archimede chiedeva un punto fuori della terra per poterla sollevare. Ed è questo punto d'appoggio che gli uomini cercarono senza tregua; e ciascuno l'ha preso dove e come l'ha potuto trovare. Questo punto d'appoggio è il mondo dello Spirito , il mondo delle idee, dei pensieri, dei concetti, delle essenze, ecc: è il Cielo . Il cielo è il punto cui si appoggia per scuotere la terra; ed è dal cielo che sì protende per contemplare te convulsioni terrestri e du sprezzarle. Quanto ha sofferto la dolorante e instancabile umanità per assicurarsi il cielo e procurarsi, così, per sempre e solidamente, il punto d'appoggio celeste!

Il Cristianesimo si è proposto di liberarci dal determinismo della natura e dalle fatalità dei suoi istinti. Il suo scopo era dunque che l'uomo non si lasciasse più guidare dai suoi desideri, dalle sue passioni: ciò non implica però che l'uomo non debba avere dei desideri, delle passioni, ecc.; ma egli non deve lasciarsi possedere da essi; cioè essi non devono essere nella sua vita dei fattori fissi, incoercibili e ineluttabili. Ma quello che il Cristianesimo (la Religione) ha ordito contro le passioni, non saremmo noi in diritto di rivolgerlo contro lo Spirito (pensieri, immagini, idee, credenze, ecc.), con le quali pretende che noi fossimo determinati? Non potremmo noi esigere che lo Spirito, le rappresentazioni, le idee, non potessero più determinarci, che cessassero d'esser fisse, intangibili, o «sante»} Ciò avrebbe per effetto di liberarci dallo Spirito, di scioglierci dal giogo delle idee, delle rappresentazioni, ecc.

Il Cristianesimo diceva: «Noi possiamo avere dei desideri, ma questi desideri non devono possederci». Noi gli rispondiamo: «Noi possiamo avere uno spirito, ma lo spirito non deve possederci». Se quest'ultima frase non vi offre a tutta prima un senso soddisfacente, riflettete al caso di colui per il quale, ad esempio, un pensiero diventa «massima» e di questa lui stesso si fa prigioniero: perciò non è più lui che possiede la massima; è piuttosto la massima che possiede lui. Ed egli, in rivincita, ha in questa massima «un solido punto d'appoggio». Le lezioni del catechismo diventano poco a poco, senza che se ne accorga, degli assiomi i quali non permettono più il minimo dubbio; i loro pensieri, o il loro Spirito, divengono onnipossenti e nessuna obbiezione della «carne» prevarrà contro di essi. Tuttavia è mediante la «carne» che io posso scuotere la tirannia dello Spirito; perché è solo quando un uomo ascolta la propria «carne», che si comprende interamente, ed è appunto quando egli si comprende interamente che è intelligente o ragionevole.

Il Cristiano non comprende gli affanni della sua natura asservita: la sua vita è l'«umiltà». Ecco perchè non protesta contro l'iniquità allorché la sua persona ne è vittima: egli si ritiene soddisfatto della «libertà spirituale». Ma se la carne alza la voce, e il suo tono è, come deve essere, « appassionato», «sconveniente», «male intenzionato» , «maligno», ecc., il Cristiano crede di udire delle voci diaboliche, delle voci contro lo Spirito (perchè il decoro, l'assenza delle passioni, le buone intenzioni, ecc.. sono Spirito); e impreca a ragione contro di esse: non sarebbe cristiano se dovesse sentire tali voci senza protestare. Obbedendo alla moralità, egli stigmatizza l'immoralità; non obbedendo che alla legalità, imbavaglia e soffoca la voce dell' illegalità: lo Spirito della moralità e della legalità, padrone inflessibile e inesorabile, lo tiene prigioniero. Ecco ciò che esso chiama il «regno dello Spirito», il quale è allo stesso tempo il punto d'appoggio dello Spirito.

B i signori liberali chi vogliono redimere? Qual'è la libertà che essi invocano ad alta voce? Quella dello Spirito; dello spirito di moralità, di legalità, di pietà, ecc. Ma, anche i signori Antiliberali non hanno altro desiderio; il solo oggetto di discussione è la preferenza che entrambi ambiscono di aver per sè soli la parola. Lo Spirito rimane il padrone assoluto degli uni e degli altri, e se questi si contendono, Io fanno unicamente per sapere chi siederà sul trono ereditario del «luogotenente del Signore ». Meglio è assistere tranquillamente, da spettatore, alla lotta, con la certezza che le bestie feroci della favola si dilanieranno come quelle reali; i loro cadaveri putrefacendosi ingrasseranno il terreno che maturerà le nostre messi.

Ritorneremo più tardi su parecchi altri casi di follia Vocazione, Veracità, Amore, ecc.

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Se oppongo la spontaneità dell'inspirazione alla passività della suggestione, quello che è proprio a quello che è dato, avrebbero torto di rispondermi che, tutto tenendo a tutto e l'universo intero formando un tutto solidale, nulla di ciò che noi siamo ed abbiamo è per conseguenza isolato, ma quello che possediamo ci viene dalle influenze dell'ambiente : insomma, cioè, «offerto». L'obbiezione non può reggere, perchè Ve una grande differenza tra i sentimenti e i pensieri svegliati in me da ciò che mi circonda e i sentimenti e i pensieri che mi vengono dati r Dio, immortalità, libertà, umanità, appartengono appunto a questi ultimi. Essi ci vengono impressi dall'infanzia e si radicano in noi più o meno profondamente; ma sia che essi governino gli uni a loro insaputa, sia che in altre nature più ricche germoglino e giganteggino, sono sempre dei sentimenti ricevuti tali e quali, non mai prodotti: la prova è che noi vi crediamo ed essi si impongono a noi. Che esista un Assoluto e questo Assoluto possa essere concepito, sentito e pensato, è un articolo di fede per coloro che consacrano il loro tempo a penetrarlo e a definirlo. Il sentimento dell'Assoluto è per essi un datum, sul cui testo ogni loro attività si limita a marginare le glosse le più diverse. Allo stesso modo, il sentimento religioso era per Klopstock un «dono» che tradusse sotto forma d'opera d'arte nella sua Nlessiade. Se la Religione l'avesse solo stimolato a sentire e a pensare, e se egli avesse saputo opporle se stesso, sarebbe pervenuto ad analizzare e finalmente a distruggere l'oggetto delle sue pietose effusioni. Invece, divenuto uomo, egli continuò a manifestare e ravvivare i sentimenti di cui il suo cervello era stato infarcito fino dall'infanzia, e dissipò il suo talento e le sue forze ad abbigliare vecchie pupattole.

Si comprenderà ora quale valore pratico assume la differenza che facciamo tra i sentimenti che ci sono dati e quelli provocati in noi dalle circostanze esteriori. Questi ultimi ci sono propri essi sono egoisti, perchè non ci furono innestati e imposti come sentimenti; al contrario, i primi ci sono dati, e noi li consideriamo come un'eredità, -li- coltiviamo, ed essi ci posseggono. Chi non ha potuto osservare, e anche provare, che tutta la nostra educazione consiste nell'incidere nel nostro cervello certi sentimenti determinati, invece di lasciare nascere e germogliare, o bene o male, quelli che vi avrebbero trovato il loro terreno adatto? Allorché noi sentiamo pronunciare il nome di Dio, dobbiamo provarne timore; se si pronuncia avanti a noi il nome di Sua Maestà il Principe, dobbiamo sentirci penetrati di rispetto, di venerazione e di sottomissione; se ci parlano di moralità, noi dobbiamo figurarci qualche cosa di inviolabile; se ci parlano del male o dei malvagi, non possiamo astenerci dal fremere; e così di seguito* Questi sentimenti formano lo scopo dell'educatore: essi sono obbligatori. Se, per esempio, il fanciullo si dilettasse al racconto delle imprese dei malvagi, si renderebbe colpevole, e quindi meritevole d'«esser condotto sulla buona via» a colpi di scudiscio. Allorché noi siamo ben provvisti di sentimenti imposti arriviamo alla maggiore età e possiamo essere «emancipati». Il nostro corredo consiste in «sentimenti elevati pensieri sublimi, massime edificanti, principi eterni, ecc.». I giovani sono maggiorenni quando cinguettano come i vecchi; e vengono spinti nelle scuole perchè vi possano apprendere il vecchio ritornello; e l'ora della emancipazione suona quando l'hanno mandato hen bene a memoria.

A noi non è permesso di sentire, ad ogni nome o ad ogni oggetto che ci si presenta, il primo sentimento che in noi nasce; il nome di Dio, per esempio, non deve svegliare in noi delle immagini ridicole o dei sentimenti irriverenti; quello che dobbiamo pensare e sentire ci è anticipatamente tracciato e prescritto.

Tale è il senso di ciò che si chiama «cura, d'anime» la mia anima e il mio spirito devono essere modellati nel modo che ad altri conviene, non come converrebbe a me stesso. Si sa a quali fatiche bisogna sottoporsi per acquistare un sentimento proprio di fronte a molti nomi che si sentono pronunciare tutti i giorni; e quanto sia difficile ridere in faccia a colui che aspetta da noi, quando ci parla, un'aria di compunzione e una risposta untuosa! Ciò che ci è dato è cosa estranea, non appartiene a noi propriamente; perciò è «sacro», e quindi è dif ielle liberarci dal «santo timore» che ci ispira.

Molti vantano oggi la «serietà», la «gravità nelle cose e- negli affari di grande importanza», la «gravità tedesca», ecc. Questo modo di prendere le cose sul serio dimostra chiaramente quanto siano inveterate e gravi la pazzia e l'ossessione- Perchè non v’è nessuno più serio del pazzo allorché si mette a cavalcare la sua chimera favorita: egli prodiga tanto zelo nelle sue cose, che non permette nè celia nè osservazione alcuna.