L'apologia di Socrate/Capitolo VIII

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Capitolo ottavo

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Platone - L'apologia di Socrate (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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In ultimo andai agli artefici, perché mi sapeva da me non essere io intendente di nulla; e quelli sapeva di avere a trovare intendenti di molte e belle cose. E non mi fui ingannato, perché veramente essi intendevano cose che non intendeva io, e da questo lato erano piú sapienti di me. Ma, o Ateniesi, i buoni artefici mi parve che il medesimo peccato avessero che i poeti, dacché ciascuno, per lo adoperare bene sua arte, si credeva sapientissimo anche nelle altre maggiori cose; e questa stoltizia oscurava quella sapienza. Onde per parte dell’oracolo interrogai me medesimo se io volessi essere cosí come sono, né per nulla sapiente della loro sapienza né ignorante della loro ignoranza, o avere l’una e l’altra cosa, che hanno quelli. Risposi a me e all’oracolo, che mi giovava essere come sono.