L'arte popolare in Romania/Capitolo III

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Capitolo III

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CAPITOLO III


gli ornamenti della casa rurale.


La casa del contadino romeno o balcanico, e massime quella del primo, ben difficilmente è del tutto priva di ornamenti. Ognuno degli elementi che la compongono ne ha la sua parte.

Siccome il legname rappresenta l’elemento principale della costruzione, specie nelle regioni in cui si ha più agio di pensare all’arte, la massima parte di tali ornamenti son dovuti alla scultura nella quercia dura, nel fragile abete, talora nel noce prezioso, o nel tenero tiglio.

Avvicinandosi alla corte, quando la cinta non è chiusa dal graticcio di rami o da semplici tavole non lavorate, poste orizzontalmente fra i pioli piantati in terra, si scopre subito il disegno accurato del recinto. Le foglie, i fiori, sono imitati in modo strettamente schematico nell’intaglio delle tavole (1). Spesso si consacra una cura speciale al portone, trattando con grande abilità dei disegni molto vari, di puro carattere geometrico: talora tuttavia si ha l’impressione che quelle stelle inscritte o no in un circolo, quegli zig-zag, quelle croci, non siano dovuti alla sola imitazione delle porte d’ingresso delle chiese, in pietra scolpita (2); nè è da escludersi che anche [p. 50 modifica] esse abbiano derivato qualcosa dall’arte rustica. Al di sopra delle porte, scolpite anch’esse, s’innalza talora tutto un delicato merletto di legno, come a Bălești (Gorj).

Un lavoro perfettamente simile scolpisce la base di legno delle colonnette, gli orli del tetto, in breve tutto quanto entra nella composizione del balcone. Certi fregi sono d’una complicazione e d’una delicatezza estreme. Spesso il parapetto scolpito del balcone si curva in fuori per sostenere i fiori piantati in piccole casse oblunghe di legno. La dorsale del tetto è spesso irta di tavole piantate obliquamente nel senso della altezza; ma tutta l’ingegnosità dell’artefice si esplica nel dare le forme più svariate alle due guglie o frecce, bolduri, săgeți, che non solo hanno una linea finemente dentellata, ma che portano alla loro superficie dei disegni assai complicati diversi da una casa all’altra: ve ne sono a fiori di giglio, a bottoni appena schiusi, etc. Le guglie possono essere sostituite da banderuole di latta recanti una insegna su cui è talvolta incisa la data della costruzione. Spesso il camino esterno è di legno ricoperto di assicelle, e, senza avere ornamenti, è interessante per la sua forma generale, come il camino veneto di mattoni. La porta è anche fatta in un altro modo, spessissimo a losanghe o a rombi. Non ho mai visto una decorazione simile attorno alle finestre: ma nelle case ricche in mezzo alle commessure si trovano delle sculture in rilievo.

Le colonnette non hanno solo dei capitelli copiati talora su quelli delle chiese, che sono di forme svariatissime, comprese quelle a corna di ariete uscenti da foglie ricurve d’acanto. Alla base, e fino a una certa distanza, scendendo da questo capitello c’è tutta una serie di linee a x o a croce di rilievi paralleli, che fanno un notevole effetto. Non ho mai riscontrato il caso di colonnette scannellate; la superficie resta assolutamente liscia. Si trova spesso più comodo annettere alla cima della colonna delle sottili tavolette di legno lavorate a parte. [p. 51 modifica]

Il mobilio presso i Romeni non offre che ben poche occasioni alla ornamentazione. Sulla lavița di cui si è già parlato, a un tempo letto e sedia, si accumulano fino al soffitto delle «scorze», delle «paretare», che ho trovate in liste dotali dell’antico regime, dei tappeti, delle camicie, la dote insieme dell’ava, della madre, delle figlie.

Il soffitto, tavan o bagdadie (due termini turchi e di origine assai recente; prima pare che si dicesse ceriu, cielo, come nella casetta del pastore), può esser coperto da un intonaco suscettibile di assumere forme derivate evidentemente da quelle che si vedono nelle chiese (come l’aquila bicipite che ricorda Bisanzio, e in Valacchia la famiglia regnante dei Cantacuzeni, d’origine costantinopolitana). Ma più spesso, nelle case dei contadini presenta dei travi sporgenti separati da tavole rientranti, che offrono un motivo alla decorazione, come avviene di tutto quanto forma una parte in rilievo della costruzione.

La tavola piccola, rotonda, con tre piedi corti, cinie, serve unicamente ai pasti della famiglia, e non è mai decorata. Vi si siede attorno su semplici sgabelli a tre piedi che partono da uno stesso punto, di lavoro comune. Essi continuano la tradizione dello scamnum romano, di cui si è conservato il nome: scaun, con molti derivati (scăunel, scăuieș, derivazione semasiologica: Scaunul Domniei, la sede del principato). Sebbene la lavița faccia le veci di letto, esiste ancora, specialmente nelle case di montagna, dove occupa le parti laterali del balcone, il letto separato, il cui nome attuale, pat, fu ricondotto al bizantino «patos» (3), ma che dapprima si chiamava strat, da stratum (il senso si è conservato nello [p. 52 modifica] «strat» dei fiori, l’aiola, il «letto dei fiori», nello «strat» del fucile, il calcio) (4).

Non ci sono armadi, salvo nelle case di costruzione moderna o in quelle delle regioni che subirono l’influsso occidentale, dei Sassoni della Transilvania, dei Tedeschi colonizzati nella Bucovina e nel Banato, ed anche nella Bessarabia. Il nome solito, turco, di dulap, significa in realtà semplicemente legno d’una certa specie (in Transilvania c’è pure il nome tedesco di «coastăn», Kasten; variante romena dialettale arțar (5). Il vero armadio (in francese la parola viene dal mobile che contiene le armi) si trova nello spessore del muro, se questo è in muratura, e i ripiani son formati da tavole qualsiasi. Questo sistema si trova pure nelle case degli antichi boiari. Non offre quindi motivo alcuno di ornamentazione.

Gli oggetti che non sono esposti — specie i capi di vestiario — , o che non sono posati — i «bibelots» — sul davanzale interno della finestra, fra i vasi di fiori e i frutti più belli o sotto la nuvola diafana delle tende finemente tessute — , vengon riposti in una cassa, lada (diminutivo: lădița). Abbiamo già parlato di quelle che si vendono sui mercati, provenienti dalla Transilvania, da Brașov, con quei larghi fiori che son riusciti a piacere a una nazione amante, per tradizione, degli oggetti stilizzati. La forma più antica non è dipinta, e tanto meno colorita nel modo che ricorda l’Occidente e di cui i Magiari, col tulipano ancestrale, vollero fare il principale motivo della loro arte popolare nella pittura. Formata da quattro tavole verticali nelle quali se ne incastrano una o due orizzontali e chiusa da un coperchio che abbraccia le due [p. 53 modifica] estremità, essa è ornata, sopra un legno secco ma facile a lavorarsi, di linee tracciate con un chiodo: circoli concentrici, semicerchi, un grande fiore in mezzo; sui lati delle strisce combinate che possono o no formare delle altre stelle. È il tron, il trono, il cui nome proviene senza dubbio dalla più remota antichità.

Per le stoviglie — si dice ancora vas, e il termine è generico; ma il nome specifico del vasellame di cucina, derivato dallo slavone, è: blide, singoiare — blid (il fabbricante che lavorava nelle radure dei boschi si chiama anch’egli blidar) — si usa un mobile speciale, su cui converge tutta la preoccupazione artistica dell’artista contadino: il blidar. Le semplici tavole laterali, poste nel senso della larghezza, senza rivestimento nella parte posteriore, perchè si appoggia sulla parete, sono decorate nel modo più ricco. Traforate, ornate di foglie stilizzate, lavorate col chiodo in modo complicatissimo, esse presentano talora delle specie di scudi con cerchi, e poi croci, formule di serpenti protettori, quadrati punteggiati. Gli stessi artigiani innalzano le croci delle strade maestre, che talvolta furono altari campestri, le cruci o troițe, le «trinità» (6), formate da una o da due branche parallele collegate da una fascia trasversale, o da tre che divergono dalla base, ornate di disegni dall’ingenua colorazione, che talora rappresentano in incavo Adamo ed Eva, la Vergine, il Cristo sulla croce, santi, etc., percorse da linee trasversali di colore, come i grembiuli delle contadine, e talora coperte da un tetto simile a quello che s’innalza al disopra dei portoni. Possono anche avere un uccello sulla cima, e in fatto di sculture hanno sopra tutto quei circoli, quelle stelle, che sono, come dicemmo, l’unica decorazione dei «troni», accanto a degli zig-zag, a delle punteggiature. Talora vi sono parecchie croci riunite, chiuse come [p. 54 modifica] in un quadro da un circolo. Le forme sono così svariate che è impossibile tener loro dietro con una descrizione metodica. L’album Voinescu ha sulla copertina un curioso esempio di croce che corta sopra il tetto il sostegno d’un pozzo. Più semplici, le croci dei cimiteri, fatte dagli stessi cruceri rurali, finiscono talora con le estremità scolpite nello stesso modo delle «guglie», delle «frecce» dei tetti. E si potrebbe aggiungere ancora tutto, un gruppo di oggetti per la chiesa, di cui tratteremo a parte in un altro capitolo.

Se si aggiunge l’immagine santa, la icona, che gli artisti popolari copiano sul vetro, grossolanamente, in Transilvania, specie nel villaggio di Nicula, ma che in Moldavia è fatta all’encaustico secondo procedimenti arcaici e su modelli presi nei libri, e forse anche in vecchi quaderni di pittori di chiese (7), abbiamo tutto quanto la casa dei contadini romeni presenta in fatto di lavorazione del legno.

Tutti i Balcani usano lo stesso fondo primitivo. Gli esempi romeni caratteristici s’incontrano in Serbia, in Bulgaria e nella Macedonia.

Accanto all’ornamentazione del legno (8) ce n’è un’altra che si applica mediante forme sull’intonaco fresco.

Nella regione montuosa, ove l’intonaco stesso ha solo uno scopo pratico, questa ornamentazione si trova soltanto in esemplari isolati. Ho già parlato delle figure che appaiono qua e là nel soffitto. In un caso, nel distretto di Dâmbovița, due circoli concentrici sono tracciati al di sopra della cantina, sugli sporti del balcone aperto. In una casa del distretto [p. 55 modifica] di Prahova vi sono cornici circolari che contengono figure dovute all’immaginazione popolare, più o meno prive di senso, somiglianti, in forma più semplice e più rozza, ai tipi rappresentati sui dischi di smalto che ornano le chiese di Stefano il Grande in Moldavia.

L’Oltenia non conosce affatto questi ornamenti. In Valacchia si trovano solo in certi distretti: Ilfov, Prahova, Dâmbovița, ove io stesso ho potuto osservarli. Attorno alle porte e alle finestre o in larghe linee lungo i muri, presentano in rilievo accentuato «soli», intrecci di losanghe, croci ornate, talora anche, per degenerazione frequentissima, vasi di fiori sbocciati, uccelli e persino animali e figure umane. I modelli, che peraltro nessuno si limita mai a copiare soltanto, dovettero esser presi negli elementi della scultura, di carattere però più orientale, riproducente direttamente rami di foglie, fiori non stilizzati, ma anche, alla base, quelle stesse ruote contenenti la croce o i raggi solari delle chiese del XVII e XVIII secolo.

Nelle case più ricche dei boiari o dei semi-boiari di campagna anche le belle e grandi colonne che formano l’ingresso della corte sono ornate di rilievi, e talora vi si aggiungono delle smerlettature di latta, massime dopo che la latta, verso la metà del XIX secolo, fu adoperata per i tetti.

Il colore non viene usato per ornare la casa del contadino o quella quasi rustica, mentre forma il principale elemento della decorazione delle chiese, col «tappeto» di affreschi in Moldavia nel XVI secolo, e in Valacchia fin verso il 1850. I muri sono semplicemente imbiancati a calce, il che permette di dar loro parecchie volte all’anno un sereno aspetto di freschezza. Da qualche tempo il turchino si mescola alla tinta generale dalle parti di Vâlcea nell’Oltenia e in fondo alla Moldavia. La policromia è in uso soltanto sulle capanne degli zingari, che sono i soli a offrire delle ingenue rappresentazioni colorate sulle pareti della loro abitazione.

Note

  1. Jänecke, op. cit. p. 29.
  2. In Transilvania, una porta del paese abitato dagli Sziculi, a Mikhaza, «la casa di Mikó», di Micu, porta la data 1626 (v. Sigerus: Din Transilvania e le nostre figure). Non vi è alcuna differenza essenziale fra la porta degli Sziculi e quella dei Romeni.
  3. V. Bogrea propone l’etimologia pavatum; cfr. il doppio signi écato di strat.
  4. L’identità di significato è rappresentata dalla variante: patul pustii.
  5. Segnalato da V. Bogrea, che conosce anchee, in Transilvania, armar.
  6. Le croci di pietra, più semplici, sono opera dei costruttori di chiese.
  7. V. la nostra comunicazione al Congresso di Storia dell’Arte, nel 1920. Fu ritrovato da Transilvani stabiliti in America un bel prototipo di S. Giorgio su vetro, che data dal XVIII secolo.
  8. Tutta una vallata valaoca, quella del Teleajen, riproduce nei balconi dei contadini in forme divenute astratte il sole tra leoni dello stemma dei Filipescu.