L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie/III. Poesie varie filosofiche e autobiografiche/IV.
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IV
NELLA PROMOZIONE DELLA SANTITÀ DI CLEMENTE XII
AL SOMMO PONTIFICATO ( 1730 ) Che insolito in me sento e raro e novo, onde in quest’egro afflitto, ch’ai fondo mi premea, mortale incarco, piú che spedita mai volar si vide 5aquila altera o scitica saetta,
fendo le nubi e m’ergo su te superbe, stolide, feroci, empie cime di Pelio, Ossa ed Olimpo? Ecco di sfera in sfera,
io di pianeta in pianeta e d’astro in astro,
il piú puro del eie! squarcio e sorvolo. Deh! come giá l’argivo legno occhiuto, Perseo, le spoglie del famoso Alcide, e ogni nitro che fissò la greca gloria 15a l’etra de’ suo’ eroi chiaro trofeo,
mi fugge sotto e cade, s’impicciolisce, si dilegua e sgombra!
Oh quanto corto, oh quanto col suo lungo aguzzar l’occhio ne’ vetri 20è quel che ne le stelle Urania osserva!
Poiché quanto le fredde sono minor de la gran fascia ardente, tanto maggior de la gran fascia ardente sparsa vegg’io d’inaccessibil luce 25zona che cinge e tiene avvolto il mondo,
ov’ a note di ben saldo diamante alto vi leggo sculti i grand’ imperi; i quai ben da una parte
tutti insieme attenuti
30latini e greci e assiri e medi e persi,
con magnanimo sforzo ciascun tenta e s’adopra a sé di trarre tutto l’orbe de’ popoli e de’ regni; ma da la parte opposta 35tutti col suo forte soave cenno
pei vasti campi de l’immenso abisso gli si strascina dietro il sommo Giove.
Del divin cenno e nume a condur la grand’opra 40sono menti e virtú ministre elette;
a le quali fremendo dura necessitá presta ubidisce, e con necessitade
ben cento e mille Enceladi e Tifei,
45di vizi vinti, debellati e domi,
con cervici di bronzo e ferrei petti, con braccia e piante di ben duro acciaio, tra lo strido e ’l fragor d’aspre catene gemono in eseguire il gran comando.
50Oh mio pur troppo infermo occhio mortale!
che lá nel basso mondo, per ravvisare il vero che nascondono in sé le cose umane, tutte scevere e sole
55tu le scorgevi, e si scevere e sole
l’umane cose nascondéanti il vero, e ti dolea, con grave sdegno gentil de la ragion delusa, veder misero il giusto e ’l reo felice.
60Vedi ora, vedi, come
quelli che ti pareano e laidi e brutti, o dal fato scoppiati over dal caso usciti orrendi mostri, rapportati tra loro e ben intesi
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POESIE VARIE
quai ti presentali ora di bellissimi obbietti eterne forme.
Su la grand’Asia il capo la superba Babelle alza e torreggia, perché dipoi per Alessandro il Magno a la greca sapienza in Dario inchini.
La perfida, feroce, alta Cartago, eh ’ambiziosa affetta
su l’impero del mar quello del mondo, dal fulmin de la guerra inclito Scipio veduta appena e tócca, consegrata cadeo
a la virtú romana, arsa e distrutta.
Di sua felicítade ebbra ed insana,
donna de le provincie,
infuria ne’ capricci e ne’ piaceri
sfacciatamente dissoluta Roma,
che per ornar di marmi e bronzi e d’oro
parve insultare a la natura il fasto;
confa meraviglioso
splendid’ampio covile
di tante crude, immani, orrende fiere,
da l’aquilon gelato
scendon barbare genti a darle il foco,
perché, quando a si rei fini infelici
pur condussero il mondo
e la sapienza e la potenza umana,
contro a le quai nimiche il vero Iddio
sostenne la celeste
con prove di miracoli e martiri,
quivi fermasse il regno
sua veritade eterna,
la qual a un bene immenso ed immortale gli oracoli dettasse ai ver-credenti.
Questa somma e sovrana gloria di Roma ond’è l’Italia in pregio,
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io
che di questa di cui oggi nel mondo ne’ mestieri di Marte e di Minerva non vede il sol piú valorosa parte, i primi regi col possente Augusto v’adorano divoti il gran triregno; da minaccevol turbo di fiera guerra, in punto ch’a lei manca del catolico gregge il gran pastore, posta in forse, di sé forte paventa.
Quivi al grand’uopo e al paragon di tutti gli altri almi, incliti padri, ognun de’ quali fora degno pastor di tanto gregge, il gran Clemente s’alza al sagro soglio. Tanto grand’uopo e paragon fan prova quanta virtú inalzovvi il gran Clemente.