L'isola misteriosa/Parte seconda/Capitolo XIV

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Parte seconda - Capitolo XIV

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
Parte seconda - Capitolo XIV
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CAPITOLO XIV.


Inventario — La notte — Alcune lettere — Continuazione delle ricerche — Piante ed animali — Gran pericolo corso da Harbert — A bordo — La partenza — Brutto tempo — Un barlume d’istinto — Perduti in mare — Un fuoco acceso opportunamente.

Pencroff, Harbert e Gedeone Spilett erano rimasti silenziosi nel bujo; Pencroff chiamò con voce forte; nessuna risposta.

Il marinajo battè allora l’acciarino ed accese un fuscello; quella luce illuminò per un istante una saletta che parve assolutamente abbandonata. In fondo era un camino grossolano con poche ceneri fredde ed un fastello di legna secca. Pencroff gettò il ramoscello infiammato, la legna scoppiettò mandando una viva luce.

Il marinajo ed i suoi due compagni videro allora un letto in disordine, le cui coperte umide ed ingiallite provavano che da un pezzo non serviva più. In un cantuccio del camino erano due ramini coperti di ruggine ed una pentola rovesciata. [p. 43 modifica]

In un armadio si vedevano alcune vestimenta di marinajo semi-ammuffite; sulla tavola un piatto di stagno ed una Bibbia rosa dall’umidità. In un angolo alcuni utensili, zappa, piccone; due fucili da caccia, uno dei quali rotto. Sopra una tavola che formava credenza, un barile di polvere ancora intatto, un barile di piombo e molte scatole di capsule; il tutto coperto da un fitto strato di polvere che lunghi anni forse avevano accumulato.

— Non v’è nessuno, disse il reporter.

— Nessuno, rispose Pencroff.

— Ed è un pezzo che questa camere non fu abitata, fece osservare Harbert.

— Sì, un pezzo, rispose il reporter.

— Signor Spilett, disse allora Pencroff, invece di tornare a bordo, io credo che valga meglio passare la notte in quest’abitazione.

— Avete ragione, Pencroff, rispose Gedeone Spilett, e se il suo proprietario torna.... ebbene! non si lamenterà forse di trovare il posto occupato.

— Non ritornerà, disse il marinajo crollando la testa.

— Credete che abbia lasciato l’isola?

— Se avesse lasciato l’isola avrebbe portato seco le armi e gli utensili, rispose Pencroff. Voi sapete qual prezzo i naufraghi diano a questi oggetti. No, no, ripetè il marinajo con accento convinto, egli non ha lasciato l’isola. Se fosse andato via sopra un canotto costrutto da lui, tanto più non avrebbe abbandonato questi oggetti di prima necessità! No, egli è nell’isola.

— Vivo? domandò Harbert.

— Vivo o morto; ma se è morto non si è seppellito da se medesimo, immagino, rispose Pencroff, ne troveremo almeno le reliquie.

Fu adunque convenuto di passar la notte nell’abitazione abbandonata, dopo d’averla scaldata a suffi[p. 44 modifica]cienza con una provvista di legna che si trovava in un canto.

Chiusa la porta, Pencroff, Harbert e Gedeone Spilett, seduti sopra una panca, se ne stettero là quasi mutoli, ma molto pensosi. Erano in una disposizione di spirito da poter immaginare ed aspettare ogni cosa; porgevano avidamente ascolto ai rumori che venivano dal di fuori. Se la porta si fosse aperta d’improvviso per lasciar passare un uomo, non ne sarebbero stati molto maravigliati, malgrado tutto l’abbandono di cui si vedevano le traccie nella casa; erano disposti a stringere la mano di quell’uomo, di quel naufrago, di quell’amico incognito.

Ma non s’intese alcun rumore. La porta non s’aprì e le ore passarono a questo modo.

Oh! come parve lunga la notte al marinajo ed ai suoi due compagni! Solo Harbert aveva dormito per due ore, perchè all’età sua il sonno è un bisogno. Erano impazienti tutti e tre di ripigliare l’esplorazione della vigilia e di esplorare l’isolotto fin ne’ suoi cantucci più riposti.

Le argomentazioni di Pencroff erano assolutamente giuste. Pareva certissimo che posto che la casa era abbandonata e vi si trovavano ancora gli strumenti, gli utensili, le armi l’ospite suo fosse morto.

Bisognava adunque cercarne le reliquie e seppellirle almeno cristianamente.

Apparve il giorno. Pencroff ed i suoi compagni procedettero immediatamente all’esame dell’abitazione.

Era stata fabbricata davvero in una felice posizione, sul pendío d’una collinetta riparata da cinque o sei magnifici alberi di gomma.

Dinanzi alla sua facciata ed attraverso gli alberi l’accetta aveva fatto un largo vano che permetteva agli sguardi di spingersi sul mare. Una piccola prateria, circondata da una barriera di legno che cadeva [p. 45 modifica]in rovina, conduceva alla spiaggia, alla cui mancina si apriva la foce del rigagnolo.

Quell’abitazione era stata costrutta con tavole, le quali, era facile vederlo, provenivano dallo scafo o dal ponte d’una nave. Era dunque probabile che una nave disalberata fosse stata buttata alla costa sull’isola, che almeno un uomo dell’equipaggio si fosse salvato, e che, per mezzo dei rottami della nave, quest’uomo, avendo strumenti a sua disposizione, avesse costrutto quella casa.

E ciò fu molto più evidente quando Gedeone Spilett, dopo aver fatto il giro della casa, vide sopra una tavola probabilmente una di quelle che formavano il pavese della nave naufragata queste lettere già mezzo cancellate:

BR.TAN.A

— Britania! esclamò Pencroff, che il reporter aveva chiamato, è un nome comune a molte navi, e non potrei dire se questa fosse inglese od americana.

— Poco importa, Pencroff.

— Poco importa infatti, rispose il marinajo, noi salveremo il superstite del suo equipaggio a qualunque paese appartenga. Ma prima d’incominciar l’esplorazione, torniamo al Bonaventura.

Una certa inquietudine aveva preso Pencroff circa il suo battello. Pensava:

— Se l’isolotto fosse abitato e se qualche abitante se ne fosse impadronito!...

Ma a questa inverosimile supposizione si strinse nelle spalle. Il fatto è che il marinajo non era dolente d’andare a far colazione a bordo.

La strada già tracciata non era lunga: un miglio appena. Si rimisero dunque in cammino scandagliando collo sguardo i boschi, attraverso i quali capre e porci fuggivano a centinaja. [p. 46 modifica]

Venti minuti dopo aver lasciato l’abitazione, Pencroff ed i suoi compagni rivedevano la costa orientale dell’isola, ed il Bonaventura, trattenuto dall’ancora che mordeva profondamente la sabbia. Pencroff non potè trattenere un sospiro di soddisfazione. Infine quel battello era creatura sua, ed è diritto dei genitori essere sovente inquieti più del ragionevole.

Si risalì a bordo, si fece colazione in guisa da non aver bisogno di desinare se non tardissimo; poi, terminato il pasto, l’esplorazione fu ripigliata e condotta colle cure più minuziose.

Insomma era probabilissimo che l’unico abitante dell’isolotto fosse perito, onde era meglio un morto che un vivo, di cui Pencroff ed i compagni cercavano le traccie.

Ma vane furono le ricerche. Durante la prima metà della giornata frugarono fra i fitti alberi che coprivano l’isolotto.

Bisognò pure ammettere allora che, se il naufrago era morto, più non rimanesse traccia del suo corpo e che qualche belva ne avesse divorato perfino le ossa.

— Ripartiremo domani all’alba, disse Pencroff ai compagni, i quali, verso le due dopo il mezzodì, si coricarono all’ombra d’un gruppo di pini per riposarsi alcuni istanti.

— Io credo, aggiunse Harbert, che possiamo senza scrupoli portar via gli utensili che appartennero al naufrago.

— Lo credo anch’io, rispose Gedeone Spilett, e queste armi e questi utensili completeranno il materiale del Palazzo di Granito. Se non m’inganno, la provvista di polvere e di piombo è importante.

— Sì, rispose Pencroff, ma non dimentichiamo di catturare una o due coppie di questi porci, che nell’isola Lincoln non ce ne sono.

— Nè di raccogliere i semi, aggiunse Harbert; essi [p. 47 modifica]ci daranno tutti i legumi dell’antico e del nuovo continente.

— Sarebbe conveniente star qui un giorno di più, disse Spilett, per raccogliere tutto quanto ci può essere utile.

— No, signor Spilett, rispose Pencroff, e vi domanderò di partir domani stesso all’alba. Il vento mi pare voglia piegare all’ovest; e, dopo di aver avuto vento favorevole per venire, lo avremo favorevole per andarcene.

— Allora non perdiamo tempo, disse Harbert alzandosi in piedi.

— Non perdiamo tempo, rispose Pencroff; voi Harbert pensate a raccogliere i semi che conoscete meglio di noi, frattanto il signor Spilett ed io andremo a far la caccia ai porci; anche se non abbiamo Top, spero bene di riuscire a pigliarne qualcuno.

Harbert prese adunque il sentiero che doveva condurlo verso la parte coltivata dell’isolotto, mentre il marinajo ed il reporter rientravano direttamente nella foresta.

Molti campioni di razza porcina fuggirono dinanzi ad essi; questi animali agili non sembravano disposti a lasciarsi avvicinare. Pure, dopo mezz’ora d’inseguimento, i cacciatori erano riusciti ad impadronirsi d’una coppia che si era rintanata in un fitto boschetto, quando s’udirono delle grida a poche centinaja di passi nel nord dell’isolotto.

A quelle grida si mescevano accenti orribili che nulla avevano di umano.

Pencroff e Gedeone Spilett si drizzarono, ed i porci approfittarono di questo movimento per fuggirsene nel punto in cui il marinajo preparava le corde per legarli.

— È la voce di Harbert, disse il reporter.

— Corriamo! disse Pencroff.

E subito il marinajo e Gedeone Spilett corsero rapidamente verso il luogo d’onde partivano quelle grida. [p. 48 modifica]Fecero bene ad affrettare, poichè allo svolto del sentiero, presso ad una radura, videro il giovinetto atterrato da un essere selvaggio, senza dubbio da una scimmia gigantesca che stava per sbranarlo.

Gettarsi su quel mostro, atterrarlo alla sua volta, strappargli Harbert, poi tenerlo saldamente fu la cosa d’un istante per Pencroff e Gedeone Spilett.

Il marinajo aveva forze erculee; il reporter anch’esso era robustissimo; malgrado la resistenza del mostro, esso fu legato in modo da non potersi più muovere.

— Sei ferito, Harbert? domandò Gedeone Spilett.

— No, no.

— Ah, se ti avesse ferito, questa scimmia! esclamò Pencroff.

— Ma non è una scimmia, rispose Harbert.

A queste parole Pencroff e Gedeone Spilett guardarono l’essere singolare che giaceva a terra. Veramente non era una scimmia. Era una creatura umana, era un uomo. Ma quale uomo! Un selvaggio in tutto l’orribile significato della parola, e tanto più spaventevole in quanto sembrava essere caduto nell’ultimo grado dell’abbrutimento.

Capelli irti, barba incolta scendente fino al petto, corpo quasi nudo, tranne un lembo di coperta sulle reni, occhi feroci, mani enormi, unghie lunghe smisuratamente, colorito scuro come mogano, piedi induriti come se fossero stati fatti di corno; tale era la miserabile creatura che pure bisognava chiamare un uomo. Ma in verità si aveva diritto di domandarsi se in quel corpo ci fosse ancora un’anima o se il volgare istinto del bruto fosse sopravvissuto in lui.

— Siete proprio sicuro che sia un uomo, o che lo sia stato? domandò Pencroff al reporter.

— Ahimè! non v’è dubbio, rispose costui.

— E sarebbe questo il naufrago? disse Harbert.

— Sì, rispose Gedeone Spilett, ma il disgraziato non ha più nulla d’umano. [p. 49 modifica]

Il reporter diceva il vero.

Era evidente che se mai il naufrago era stato un essere incivilito, l’isolamento ne aveva fatto un selvaggio, forse anco peggio, un uomo dei boschi. Suoni rauchi gli uscivano dalla gola fra i denti aguzzi come quelli de’ carnivori, fatti per non istritolare altro che carne cruda.

La memoria doveva averlo abbandonato da un pezzo, senza dubbio, e da un pezzo pure egli non sapeva più servirsi de’ suoi utensili, delle sue armi, e non sapeva più fare del fuoco.

Si vedeva che era agile, pieghevole, ma che tutte le qualità fisiche s’erano in lui sviluppate a danno delle morali.

Gedeone Spilett gli parlò, egli non parve comprendere e nemmanco intendere.... eppure, guardandolo bene negli occhi, il reporter credette di vedere che la ragione non fosse spenta in lui.

Il prigioniero non si dibatteva e non cercava di spezzare i suoi legami. Era egli ridotto all’impotenza dall’aspetto di quegli uomini di cui era stato il simile!

Ritrovava egli in un cantuccio del cervello qualche ricordanza fuggitiva che lo riconduceva all’umanità? Se fosse stato libero avrebb’egli tentato di fuggire o sarebbe rimasto? Non ne fu fatta la prova, e dopo di aver considerato il miserabile con estrema attenzione:

— Qualunque egli sia, disse Gedeone Spilett, checchè sia stato, è nostro dovere di condurlo con noi all’isola Lincoln.

— Sì, sì, rispose Harbert, e potremo forse con qualche cura destare in lui un barlume d’intelligenza.

— L’anima non muore, disse il reporter, e sarebbe una gran soddisfazione lo strappare questa creatura di Dio allo stato dei bruti.

Pencroff crollava il capo in aria di dubbio.

— In ogni caso bisogna provare, rispose il reporter; l’umanità ce lo comanda. [p. 50 modifica]

Era infatti questo il loro dovere di esseri inciviliti e cristiani. Tutti e tre lo compresero, essi sapevano bene che Cyrus Smith darebbe la sua approvazione.

— Lo lasceremo noi legato?

— Forse camminerebbe se gli sciogliessimo i piedi, disse Harbert.

— Proviamo, rispose Pencroff.

Le corde che legavano i piedi del prigioniero furono sciolte, ma le sue braccia rimasero avvinte fortemente. Si rizzò egli di per sè e non parve mani festare alcun desiderio di fuggirsene. I suoi occhi asciutti dardeggiavano sguardi acuti sui tre uomini che erano con lui, e nulla dinotava che egli si ricordasse d’essere un loro simile od almeno d’esserlo stato. Un fischio continuo gli usciva dalle labbra, il suo aspetto era feroce; pur non cercò di resistere.

Per consiglio del reporter, il disgraziato fu ricondotto nella sua abitazione, pensando che la vista degli oggetti che gli appartenevano potessero fare in lui qualche impressione e che bastasse una scintilla a ravvivare il suo pensiero oscurato, a riaccendere la sua anima quasi spenta.

L’abitazione non era lontana; in pochi minuti vi giunsero; ma colà il prigioniero non riconobbe nulla, sembrava aver perduta la coscienza di tutte le cose.

Che altro si poteva congetturare di quel grado di abbrutimento in cui il miserabile era caduto, se non che la prigionia nell’isola datava da tempo remoto e che, giuntovi ragionevole, l’isolamento avevalo ridotto in tale stato?

Al reporter venne allora in mente che la vista del fuoco agirebbe forse sopra di lui, ed in un istante una di quelle belle fiammate, che attirano perfino gli animali, illuminò il casolare. La vista della fiamma sembrò dapprima fermar l’attenzione del disgraziato, ma subito egli diè indietro, ed il suo sguardo istupidito si spense. Evidentemente non vi era nulla a [p. 51 modifica]fare, tranne che condurlo a bordo del Bonaventura. Così fu fatto, e colà egli rimase sotto la guardia di Pencroff. Harbert e Gedeone Spilett ritornarono nell’isolotto per farvi le loro operazioni, ed alcune ore dopo ritornavano alla spiaggia portando gli utensili e le armi, una raccolta di semi mangerecci, alcuni capi di selvaggina e due coppie di porci; il tutto fu imbarcato, ed il Bonaventura si tenne pronto a levar l’ancora appena si facesse sentire la marea del domani.

Il prigioniero era stato collocato nella camera di prua, dov’egli rimase tranquillo, silenzioso, sordo e muto insieme.

Pencroff gli offrì da mangiare, ma egli respinse la carne cotta che gli fu presentata e che, senza dubbio, non gli conveniva più. Ed infatti, avendogli il marinajo mostrato una delle anitre che Harbert aveva ucciso, egli l’addentò con avidità bestiale e la divorò.

— Credete che si correggerà? chiese Pencroff crollando il capo.

— Forse, disse il reporter; non è possibile che le nostre cure finiscano coll’agire sopra di lui, poichè solo l’isolamento l’ha fatto com’è, ed ormai non sarà più solo.

— È un pezzo, senza dubbio, che il povero uomo è in questo stato! disse Harbert.

— Forse, rispose Gedeone Spilett.

— Che età può egli avere? chiese il giovinetto.

— È difficile determinarlo, rispose il reporter, poichè è impossibile vederne i lineamenti sotto la fitta barba che gli copre la faccia; ma non è più giovane, ed immagino che debba avere almeno cinquant’anni.

— Avete osservato, signor Spilett, come i suoi occhi sono profondamente incavati sotto l’orbita? domandò il giovinetto.

— Sì, Harbert, ma aggiungo che sono più umani di quello che si sarebbe tentati di credere all’aspetto della sua persona. [p. 52 modifica]

— Infine vedremo, rispose Pencroff; sono curioso di conoscere il giudizio che darà il signor Smith del nostro selvaggio. Andavamo in cerca d’una creatura umana, e portiamo a casa un mostro! Ma infine si fa quello che si può.

Passò la notte, e se il prigioniero dormisse o no, non si sa; in ogni caso, sebbene fosse slegato, non si mosse. Era come quelle belve che i primi momenti di prigionia accasciano e che più tardi sono riprese dalla rabbia.

Il domani, 15 ottobre, all’alba, avvenne il mutamento di tempo preveduto da Pencroff. Il vento aveva piegato al nord-ovest e favoriva il ritorno del Bonaventura, ma soffiava forte, e perciò doveva rendere la navigazione difficile.

Alle cinque del mattino fu levata l’ancora. Pencroff prese un terzaruolo della sua gran vela e volse la prua all’est-nord-est in modo da navigare direttamente verso l’isola Lincoln. Il primo giorno della traversata non fu segnalato da alcun accidente, il prigioniero se ne era rimasto tranquillo nel camerino di prua, e siccome egli era stato marinajo, pareva che le agitazioni del mare producessero in lui una specie di reazione salutare. Gli tornava in mente qualche ricordo del suo antico mestiere? Ad ogni modo, se ne stava cheto, sbalordito meglio che stremato.

Il domani, 16 ottobre, il vento soffiò forte risalendo ancor più al nord, e per conseguenza in direzione meno favorevole alle mosse del Bonaventura, che balzava sulle onde. Pencroff fu presto ridotto a tenere il più presso, e senza dir nulla cominciò a sentirsi inquieto dello stato del mare che si rompeva con impeto contro la prua del battello. Certo se il vento non cambiava, egli doveva impiegare maggior tempo, per giungere all’isola Lincoln, di quello che ne avesse impiegato a venire all’isola Tabor. Infatti la mattina del 17, dopo quarantott’ore che il Bonaventura era [p. 53 modifica]partito, nulla indicava che fossero nei paraggi dell’isola. Era impossibile d’altra parte, per valutare la via percorsa, riferirsene all’estimo, perchè la direzione e la velocità erano state irregolarissime.

Ventiquattr’ore dopo non si aveva ancora nessuna terra in vista. Il vento era impetuoso ed il mare detestabile. Bisognò manovrare con rapidità le vele del battello, che colpi di mare coprivano, prendere dei terzaruoli e spesso cambiare le mure facendo piccole bordate. Accadde anzi che nella giornata del 18 il Bonaventura fu interamente coperto da un’ondata, e se i suoi passeggieri non avessero presa la precauzione di legarsi al ponte, sarebbero di certo stati portati via.

In quell’occasione Pencroff ed i suoi compagni, occupatissimi nel liberarsi, ricevettero un ajuto insperato dal prigioniero, il quale si slanciò dal boccaporto come se il suo istinto di marinajo avesse preso il sopravento, e spezzò il pavese con un vigoroso colpo di pertica per far scorrere più presto l’acqua che empiva il ponte. Poi, sbarazzato il battello, ridiscese nella sua camera senza aver proferito parola.

Pencroff, Gedeone Spilett ed Harbert, assolutamente sbalorditi, l’avevano lasciato fare; frattanto la condizione era pessima, ed il marinajo aveva ragione di credersi smarrito in quell’immenso mare, senza alcuna probabilità di ritrovar la sua strada. La notte del 18 al 19 fu oscura e fredda, pure verso le undici il vento cessò, si acquetarono le onde, ed il Bonaventura, meno scosso, acquistò una maggiore velocità; del resto, s’era comportato a maraviglia.

Nè Pencroff, nè Gedeone Spilett, nè Harbert pensarono a riposarsi nemmeno un’ora. Vegliarono con cura estrema perchè, o l’isola Lincoln non era lontana, e la si vedrebbe all’alba, oppure il Bonaventura, spinto dalle correnti, era andato alla deriva sottovento, e diveniva quasi impossibile correggerne la direzione. [p. 54 modifica]

Pencroff, sebbene inquietissimo, non disperava, poichè avea un’anima fortemente temprata, e seduto al timone cercava ostinatamente di scandagliare l’ombra fitta che lo avvolgeva.

Verso le due del mattino egli si levò all’improvviso:

— Un fuoco, un fuoco! esclamò.

Infatti una viva luce appariva a venti miglia nel nord-est. L’isola Lincoln era là, e quella luce, accesa evidentemente da Cyrus Smith, mostrava la via da seguire.

Pencroff, che si dirigeva troppo al nord, modificò la direzione e volse la prua a quel fuoco, che brillava nell’orizzonte come una stella di prima grandezza.