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L'Isottèo/Il dolce grappolo

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Il dolce grappolo

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Al libro detto Isottèo Ballata di Astìoco e di Brisenna


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I.

IL DOLCE GRAPPOLO.




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I.


O madonna Isaotta, il sole è nato
vermiglio in cima a ’l bel colle d’Orlando:
ei su’ vostri balconi ha ravvivato
le rose che morìan trascolorando.
Sorga da l’ampio letto di broccato
or la vostra beltà lume raggiando.
O madonna Isaotta, il sol che v’ama
con un lucido cantico vi chiama;
e gridano i paoni a quando a quando.

Udite voi salir nostre preghiere
o ancor vi tiene il Sonno in tra le braccia
Dolce sarebbe a’ nostri occhi vedere
i primi raggi su la vostra faccia

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ove il trapunto lin de l’origliere
ne la notte lasciò sua rosea traccia.
Palpita il vostro sen con più veloce
ansia a’ richiami de la nostra voce,
mentre la fante il busto alto v’allaccia?

“Levasi a lo mattin la donna mia
ch’è vie più chiara che l’alba del giorno,
e vestesi di seta Caturìa,
la qual fu lavorata in gran soggiorno
a la nobile guisa di Surìa„,
canta l’Antico ne ’l poema adorno.
“Il su’ colore è fior di fina grana,
ed è ornato a la guisa indiana;
tinsesi per un mastro in Romanìa„.

Levasi da ’l gran letto in su l’aurora
la mia donna; e la sua forma ninfale
tra le diffuse chiome a l’aria odora
e a ’l sol risplende più bianca de ’l sale.
Tutta di gocce tremule s’irrora
ne ’l lavacro di marmo orientale.
Miran le statue a torno quella pura
forma e tessuta ad arte in su le mura
ride la greca favola d’Onfale.

Ridono i fatti di Venere dia
su ’l cofano di cedro, alto lavoro

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d’artefici maestri di tarsìa,
che sta ne ’l mezzo d’un bacile d’oro;
ove con signorile atto la mia
donna gitta incurante il suo tesoro
di smeraldi, rubini e perle buone
che piovon come per incantagione
sovra il metallo nitido e sonoro.

Ella, composta in vago atteggiamento,
a mezzo della rara conca emerge;
e la fante con anfore d’argento
pianamente d’ambrate acque l’asperge.
A ’l diletto ella freme, e con un lento
gesto la chioma rorida si terge.
Come tondi i ginocchi e come bianchi!
Han da ’l respiro un dolce moto i fianchi
e il petto ad ogni brivido s’aderge.

O madonna Isaotta, è dura cosa
ir le beltà non viste imaginando.
A voi conviene omai d’esser pietosa
poi che da tempo in van prego e dimando.
La bocca picciolella ed aulorosa,
la gola fresca e bianca in fine quando
concederete a ’l bacio disiato?
O madonna Isaotta, il sole è nato
vermiglio in cima a ’l bel colle d’Orlando. —

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II.


Così chiamai l’amata in nona rima,
sotto il grande balcon di tiburtino
ov’han lo scudo il Guttadàuro-Alima
con gocce d’oro in campo oltremarino.
Dormìa la villa ne ’l silenzio: in cima
a li aranci de ’l nobile giardino
aprivano i paoni le gemmanti
piume verso la luce, e de’ lor canti
striduli salutavano il mattino.

Ella apparve. — Buon dì, messer cantore! —
disse ridendo con gentile volto.
— Non questo è il tempo gaio de ’l pascore,
ma voi siete di ver loquace molto.
Or seguite a trovar rime d’amore,
chè con benigno orecchio, ecco, v’ascolto. —
Io le dissi: — Madonna, io son già fioco.
Or voi di sì salutevole loco
scendete a me che son di pene avvolto! —

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Ella tacque; ed il capo inchinò mite:
ne li occhi le ridea novo pensiere.
Tutta quanta di porpora una vite
saliva da l’inferior verziere,
e le bacchiche foglie colorite
mesceansi con le rose a le ringhiere.
Avean piegato un dì li aspri sermenti
a la copia de’ grappoli rubenti
che il padre Autunno infranse ne ’l bicchiere.

Ella disse ridendo: — Io pongo un patto,
vago sire, a la mia dedizïone.
— Il vago sire — io dissi — accoglie a ’l tratto
quel ch’Isaotta Guttadàuro pone. —
Ed ella: — Quando un sol grappolo intatto
ne’ vigneti che bagna il Latamone
lungh’esso il chiaro colle solatìo
troveremo, io sarò pronta a ’l disìo
vostro e sarete voi di me padrone. —

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III.


Ella discese allora: un giuramento
fece sicuro il gran patto d’amore.
E prendemmo la china. Senza vento
era l’aria; ne ’l placido candore
erano i campi senza ondeggiamento,
brevi selve di canne erano in fiore.
Quasi una gratitudine beata
a ’l sole offrìa la terra bene amata:
era novembre, il tempo de ’l sopore.

D’innanzi, il Latamon, fiume regale,
lambiva in suo lunante arco i vigneti
ove l’ebro clamor vendemmiale
ed i carmi de’ rustici poeti
salutato avean già l’almo natale
de ’l vino autor di gioia, ora quieti.
Disse madonna: — Siate accorto e saggio:
quivi incomincia il pio pellegrinaggio. —
D’in torno s’inchinarono i canneti.

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Io dissi: — Non mi giova la fortuna,
o madonna Isaotta, ne ’l trovare. —
Ed ella a me: — Non ha virtude alcuna
il fino Amore per v’illuminare?
Il grappolo tardìo dove s’aduna
da lungo tempo, come in alveare,
la dolcezza de ’l miele a ’l lento foco
de ’l sole, aspetta noi per qualche loco. —
Io dissi: — Non mi stanco di cercare. —

Noi camminammo giù per la vermiglia
china che discendeva a l’acque d’oro.
Da lungi a quando a quando una famiglia
di villici sorgendo da ’l lavoro
ci guardava con alta maraviglia;
e le fanciulle interrompeano il coro.
Venendo innanzi con giulivo ardire
una gridò: — Che mai cerchi, o bel sire? —
Ed io risposi a lei: — Cerco un tesoro. —

Noi così camminammo: ella men lesta,
poi che non concedeami anco la mano.
In guardare tenea china la testa,
bella come la bella Blanzesmano
allor che cavalcò per la foresta
a fianco a ’l suo Lancialotto sovrano.
Le fronde sotto i pie’ stridevan forte;
ma a quelle viti ignude aspre e contorte
li occhi chiedevan la dolce esca in vano.

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Disse Madonna: — Riposiamo al fine. —
Era lungi un trar d’arco il bel rivaggio.
L’alta erba mareggiava in sul confine
placidamente, come biada a maggio;
or sì or no giungea da le colline
di citisi e di timi odor selvaggio.
Pareva il sol d’autunno per le chiare
vie de ’l cielo un novello orbe lunare:
i vapori facean mite il suo raggio.

Ella disse. Non mai le sue parole
ebber soavità così profonda:
cadevan come languide viole
da l’arco de la sua bocca rotonda.
E quel sorriso fievole de ’l sole
ancor la testa le facea più bionda.
Era, d’intorno, un grande incantamento.
Era il diletto mio qual d’uom che, lento,
in giaciglio di fiori ampio s’affonda.

Tacque. Uno stuol d’augelli, d’improvviso,
attraversò con ilari saluti.
Noi trasalimmo, come ad un avviso
misterioso de la terra; e, muti,
impallidendo ci guardammo in viso.
Poi prendemmo sentieri sconosciuti.
I pioppi nudi e senza movimento
parevan candelabri alti d’argento;
ed i lauri fremean come leuti.

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IV.


Oh ne la valle concava d’Orlando
inaspettata vista de ’l tesoro!
Giacea la bella vigna fiammeggiando
con tralci di rubino e foglie d’oro;
e uno stuolo d’augelli roteando
facea nel mezzo della vigna un coro.
— O madonna Isaotta, ecco la vita!
io le gridai con l’anima rapita.
Ed in alto gridò lo stuol canoro.

Io la trassi a quel loco: ella più lesta
venìa, chè forte io la tenea per mano.
Tutta rosea volgea da me la testa,
bella come la bella Blanzesmano
allor che la baciò per la foresta
l’amato suo Lancialotto sovrano.
E le dissi: — O Madonna, io tengo il patto.
Per voi colgo il fatal grappolo intatto. —
Ella mi diede il bacio sovrumano.