La Canzone del Carroccio/VII. La via Emilia
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VII.
LA VIA EMILIA
Il Podestà coi giudici e’ notari
scendono, in ricchi sciamiti velluti.
Vanno lor contra gli Anzïani artieri:
lento è lor passo e lor parola è breve.
5È scura omai la piazza di Bologna,
scura di ferro. Al chiaro sol d’ottobre
lucono punte d’aste e di roncigli.
I gonfaloni tremano come ale
d’uccelli incerti di spiccare il volo.
10Percuote l’ugna dei destrier le selci.
La gente ammira il suo Carroccio adorno:
i trombettieri con le lunghe trombe
in cui la guerra mugge come il mare
nella conchiglia; e i più valenti in guerra,
15che ad uno ad uno son mostrati a dito,
gli ultimi, eletti a non morir che a sera;
e il sacerdote con pianeta e stola,
che deve a notte benedire i morti.
Le madri in capo alzano i bimbi, come anfore
20andando al fonte.
Va! Che tu vada dove cade il sole
o il timon duro volga al sol che nasce,
va per la piana e larga via romana,
con sull’antenna il ramo dell’ulivo.1
25Non sei de’ carri che seguiano a tergo
legioni mosse a propagar l’imperio,
non sei de’ carri, ove dormian le donne
dei Goti scesi a metter fuoco a Roma.
Placido e forte per l’antica strada
30va, che attraversa le città munite,
le città belle; ed erano già fòri
e còmpiti e quadrati accampamenti,
e vi sonò, misto alle gaie voci
rustiche, il grave accento dei triari.
35Sorgon per tutto agili tremoli alti
pioppi del Po, scolte del re dei fiumi.
Nelle vigilie parlano tra loro,
sommessamente per la bianca strada,
che va su ponti eterni dall’Eridano
40a un Arco trionfale.
Strada non è, ma grande fiume anch’essa.
È la sua fonte appiedi d’una rupe
di Roma, presso il tempio di Saturno,
il vecchio Dio. Nasce a una pietra d’oro.2
45E prima specchia urne d’antichi morti,
di cui non sanno che i cipressi il nome!
Poi sbocca ai campi, sale ai monti, fende
le roccie, inoltra per le sacre selve;
finchè dall’Arco del trionfo sgorga,
50Po, nel tuo regno, ch’ha per guaite i pioppi.
Nè più ravvisa le città d’un tempo.
Ora riflette aspri serragli, torri
merlate, cerchi di massicce mura
e chiese ed inquïeti battifredi.
55Tutto è mutato. Pure il sacro fiume
che nasce appie’ del Campidoglio, ancora
porta notturno le memorie a flutti
con cupa romba... Va pel fiume eterno,
o nave nostra, con la vela nuova
60all’albero maestro!
Non per un fiume; per un mar tu varchi,
nave fornita d’ogni fornimento
per il passaggio. Un mare ti circonda,
uguale, immenso, e sempre a gli occhi ondeggia:
65un mare biondo e tremulo di spighe
donde s’esala già l’odor del pane,
un rosso mare di trifoglio, un mare
verde di folta canapa, un celeste
mare di lino, cielo sotto cielo,
70e bianche in mezzo nuotano le culle.
E varca, o nave, pel fecondo mare
che muta vista ogni filar di viti,
tra cui si spande il pero e il pesco, e il melo
colora i pomi del color dei fiori.
75E ti saluti, non la procellaria,
bensì la quaglia che tra il grano ha il nido.
E i bimbi ver’ te strillino, e da i solchi
parlino a te col lieto muglio i bovi.
E gioia all’alba dica, e dica a sera
80pace, la Martinella.
Note
- ↑ [p. 85 modifica]«sublimis est pertica sursum erecta cum pomo aereo deaurato, in qua inter alia insignia rubeum tentorium ponitur et vexillum longissimum, cum cruce alba, et desuper ramus olivae...». Così, del carroccio di Pavia, l’An., De laud. Papiae in R. I. S., XI.
- ↑ [p. 86 modifica]Il milliarium aureum.