La Cassaria (prosa)/Atto quarto

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Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto
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ATTO QUARTO.




SCENA I.

VOLPINO servo, solo.


Tante avversità, tante sciagure t’assagliono, misero Volpino, da tutti i canti, che se te ne sai difendere, ti puoi dar vanto del migliore schermidore che oggi sia al mondo. O ria fortuna, come stai per opporti alli disegni nostri apparecchiata sempre! Chi avería possuto immaginarsi che, tolta che fussi di casa del ruffiano Eulalia, si avessi sì subito e sì scioccamente a perdere? la qual cosa se non1 agli amori di Erofilo è contraria, come pericula che mai più non si possa avere la cassa! Io mi credevo che, tosto che fusse in poter nostro Eulalia, devesse Erofilo aquerelarsi al Bassam della terra, e seguir tutto che oggi ordinammo; e son rimaso del mio credere ingannato: perciò che lui, solo intento a spiare della femmina tolta, va di là di qua tutta la città scorrendo; nè le mie suasioni o preghi, nè il proprio periculo di perdere la cassa, che val tanto, lo ponno indurre a quel che non facendo, oltra la disfazione e ruina di suo padre e sua, si suscita una continua guerra in casa, e a me tormenti e perpetua carcere apparecchia,2 e forse morte ancora. Da questo infortunio, benchè sia gravissimo, mi sapre’ forse difendere, s’io avessi tanto spazio che vi pensasse un poco; n’avessi tanto ch’io potessi respirare almeno! Ma sì da un canto mi occupa il dubbio che con la cassa il ruffiano non si fugga questa notte, dall’altro uno impreviso timore che ’l vecchio patrone non ci sopraggionga, e mi cogli e mi opprima in guisa che io non abbia tempo da comprarmi uno capresto con che mi impicchi per la gola, ch’io non so dove mi corra a rompere questo infortunato capo. Un servo da Calibassa or ora m’ha trovato, e [p. 33 modifica]déttomi che il vecchio mio non è uscito del porto, però che in quel punto che era per sciôrsi, arrivò da Negroponte un legno con lettere, che l’hanno così liberato3 d’ogni faccenda per che lui andava, che non gli è stato bisogno di gire più innanzi; e si meraviglia che già non fussi a casa, e che veduto io non l’avessi. Se non ch’io non gli do pur piena fede, or ora, senza uno attimo indugiare, andarei con quella maggior fretta che portar mi potessino le gambe, ad affogarmi in mare. Ma che lume è questo che di là viene? Oimè, che non sia il vecchio! Ahi lasso! è il patron certo. Tu sei morto, Volpino! Che farai, misero? dove ti puoi tu nascondere? dove precipitarti súbito, per levarti da tanti supplizî che ti si apparecchiano?


SCENA II.

CRISOBOLO vecchio patrone, VOLPINO, GALLO servi


Crisobolo.     Tanto mi sono, senza avvedermi, indugiato in casa del Plutero, che è fatto notte: però non ho perduto il tempo, chè ho risaldati alcuni miei conti con esso lui, ed ho fatto una opera che longamente ho desiderato di finire.

Volpino.     (Ah vile e pusillanimo Volpino! Dove è ita l’audacia, dove è l’usato tuo ingegno? Tu siedi al governo di questa barca, e sarai il primo che sbigottir ti lasci da sì piccola tempesta? Caccia ogni timor da parte, e móstrati qual ne’ pericolosi casi sei solito d’essere: ritrova l’antique astuzie, e quelle poni in opera; chè ci hanno più bisogno, che in altra tua impresa avessino mai.)

Crisobolo.     È per certo più tardi assai ch’io non pensai.

Volpino.     (Anzi molto più per tempo che non era il mio bisogno. Ma venga pur, venga a sua posta, chè apparecchiata ho già la tasca da fargli il più netto e il più bel giuoco di bagattelle, ch’altro maestro giocasse mai.)

Crisobolo.     Oh come è stata buona la sorte mia, che non abbia bisogno partir di Metellino al presente!

Volpino.     (Trista altrettanto è stata la nostra.)

Crisobolo.     Chè lasciare i miei traffichi e la roba mia a discrezione d’un prodigo giovane, qual è il mio Erofilo, e di schiavi senza fede, non era sicuro molto. [p. 34 modifica]

Volpino.     (Ben t’apponesti.)

Crisobolo.     Ma io sarò tornato così presto, che non avrà avuto pur tempo di pensar, non che farmi danno.

Volpino.     (Te n’avvedrai: se fussi corso più che pardo, non potevi giugnere a tempo. Ma che cesso io di cominciare il giuoco?) Che faremo sciagurati noi? distrutti e ruinati semo!

Crisobolo.     Or è Volpino che grida costà?

Gallo.     Così parmi.

Volpino.     O città scelerata e piena di ribaldi!

Crisobolo.     Debbe alcun male essere accaduto, ch’io non so.

Volpino.     O Crisobolo, di che animo sarai tu, come lo sappi?

Crisobolo.     O Volpino.

Volpino.     Ma merita questo e peggio chi più si fida d’uno schiavo imbriaco, che del suo figliuol proprio.

Crisobolo.     Io tremo e sudo di paura che qualche grave infortunio non mi sia incontrato.

Volpino.     Lascia cura della tua camera, di tanta roba piena, a una bestia senza ragione, che sempre la lascia aperta, e mai non si ferma in casa.

Crisobolo.     Cesso io di chiamarlo? O Volpino.

Volpino.     Se questa notte non si ritrova, è totalmente perduta.

Crisobolo.     Volpino, non odi tu? Volpino, a chi dico io?

Volpino.     Chi mi chiama? Oh! è il patrone, è il patron, per dio!

Crisobolo.     Vieni in qua.

Volpino.     O patron mio, che Dio t’abbia...

Crisobolo.     Che ci è di male?

Volpino.     Menato or qui?

Crisobolo.     Che hai tu?

Volpino.     Era disperato, nè sapeva a chi ridurmi.4

Crisobolo.     Ch’è incontrato?

Volpino.     Ma poi ch’io ti veggio, o signor mio...

Crisobolo.     Di’ che ci è?

Volpino.     Comincio a respirare.

Crisobolo.     Di’ su presto. [p. 35 modifica]

Volpino.     Era morto, aimè! ma ora...

Crisobolo.     Ch’è stato fatto?

Volpino.     Ritorno vivo.

Crisobolo.     Dimmi insomma, che ci è?

Volpino.     Il tuo Nebbia...

Crisobolo.     Che ha fatto?

Volpino.     Quel ladro, quell’imbriaco...

Crisobolo.     Che cosa ha fatto?

Volpino.     Appena posso trarre il fiato, tanto son tutto oggi corso di giù e di su.

Crisobolo.     Di’ a una parola che ha fatto?

Volpino.     T’ha ruinato per sua sciocchezza.

Crisobolo.     Finiscimi d’uccidere; non mi tener più in agonia.

Volpino.     Ha lasciato rubare...

Crisobolo.     Che?

Volpino.     Della tua camera propria, di quella ove tu dormi...

Crisobolo.     Che cosa?

Volpino.     Di che a lui solo hai date le chiavi, e tanto glie le raccomandasti...

Crisobolo.     Che ha lasciato rubare?

Volpino.     Quella cassa, che tu...

Crisobolo.     Qual cassa, ch’io...?

Volpino.     Che per la lite che è tra Aristandro e... come ha nome?

Crisobolo.     La cassa che io ho in deposito?

Volpino.     Non l’hai, dico, chè è stata rubata.

Crisobolo.     Ah misero ed infelice Crisobolo! Lascia or cura della tua casa a questi gaglioffi, a questi poltroni, a questi impiccati! potevo non meno lasciarvi tanti asini.

Volpino.     Patron, se trovi la cucina mal in punto, di che hai lasciata a me la cura, gastigami, e fammi portar supplicio: ma della tua camera, che ho da far io?

Crisobolo.     Questa è la discrezion di Erofilo? questo è l’offizio d’un buon figliuolo? ha così pensiero, sollecitudine delle mie cose e sue?

Volpino.     A parlar per diritto, a torto ti corrucci con lui. E che diavol di colpa n’ha lui? Se gli lasciassi il maneggio e governo della tua casa, come fanno gli altri padri a’ lor figliuoli, e’ faría il debito, se ne piglierebbe lui cura, e forse n’anderebbon le tue cose meglio. Ma se più ti fidi d’un [p. 36 modifica]imbriaco, d’un fuggitivo servo, che del tuo proprio sangue, e che te n’avvenga male, non hai di che dolerti più giustamente che di te medesimo.

Crisobolo.     Io non so che mi faccia; io sono il più ruinato e disfatto uomo che sia al mondo.

Volpino.     Patron, poichè ti ritrovi qui, ho speranza che non sarà la cassa perduta; e Dio t’ha ben fatto tornare a tempo.

Crisobolo.     E come? hai tu nessuna traccia per la quale la possiamo trovare?

Volpino.     Tanto mi son oggi travagliato, e tanto sono ito come un cane a naso5 or di qua or di là, che credo saperti mostrare ove è la robba tua.

Crisobolo.     Se lo sai, perchè non me l’hai già detto?

Volpino.     Non dico che lo sappia, ma credo di saperlo.

Crisobolo.     Dove hai tu sospetto?

Volpino.     Tírati un poco più in qua; ancor più: chè tel dirò. Vieni anco più in qua.

Crisobolo.     Chi temi tu che n’oda?

Volpino.     Colui che credo che l’abbia rubbata.

Crisobolo.     Abita qui presso dunque?

Volpino.     In questa casa abita.

Crisobolo.     Che? credi questo ruffiano che abita qui, l’abbia rubata?

Volpino.     Io lo credo, e ne son certo.

Crisobolo.     Che indizio n’hai?

Volpino.     Ti dico che n’ho certezza. Ma, per dio, non perder tempo in voler ch’io ti narri per che via, con qual fatica, con qual arte io sia venuto a certificarmi di ciò, perchè ogni indugio è pericoloso troppo; chè ti so dire che s’apparecchia di fuggirsene all’alba il ladroncello.

Crisobolo.     Che ti par ch’io faccia? chè sì oppresso mi veggio all’improvviso, ch’io non so dove mi volga.

Volpino.     Mi par che andiamo súbito al Bassam, e che a lui facci intendere che uno ruffiano tuo vicino t’ha rubbato una tua cassa, con la qual s’apparecchia di fuggire; e che lo preghi che non ti manchi di justizia, e che mandi teco alcuno delli suoi a cercare la tua robba, perchè ti credi ancor l’abbia il ruffiano in casa. [p. 37 modifica]

Crisobolo.     Che indizio, che prova gli saprò dar io per fargli constare che sia così?

Volpino.     Non è buono indizio, che essendo ruffiano non sia ladro ancora? e dicendolo, non ti sarà creduto più che a dieci altri testimoni?

Crisobolo.     Se non avem meglio di cotesto, siam forniti.6 A chi dànno più credito i gran maestri in questo tempo, e più favore, che alli ruffiani? e chi più beffano, che gli uomini costumati e da bene? a chi tendono più insidie, che alli mia pari, che hanno fama d’esser ricchi e denarosi?

Volpino.     Se vi vengo io, darò bene al Bassam tali indizî e conjetture e prove, che non potrà, se ben volesse, negare di crederti; che a te le lascio di narrare, per non indugiar più. Andiam più presto e studiamo il passo, chè, mentre tardiamo a dir parole, non ci facesse il ruffian la beffa.

Crisobolo.     Andiamo, che... Deh férmati, che m’è venuto in animo di far meglio.

Volpino.     Che meglio puoi tu far di questo?

Crisobolo.     Rosso, corri qui in casa di Critone, e pregalo da mia parte che venga a me súbito, e meni seco o suo fratello, o qual vogli altro de’ sua domestici. Corri, dico; ti aspetto qui; vola.

Volpino.     Che ne vuoi fare?

Crisobolo.     Vô entrare improvviso in casa del ruffiano. Non poss’io, avendo uno o dua testimoni degni di fede appresso, tôr7 la robba mia dovunque io la ritrovi? Se per parlare al Bassam andassimo ora, sería l’andata vana: o che trovassimo8 che cenar vorrebbe, o che giocherebbe a carte o a dadi, o che stanco da le faccende del giorno si vorría stare in ozio. Non so io l’usanza di questi che ci reggono, che quando più soli sono e stannosi a grattar la pancia, vogliono dimostrare aver più occupazione; fanno stare un servo, alla porta, e che li giocatori, li ruffiani, gli incivili9 introduca, e dia a gli onesti cittadini e virtuosi uomini ripulsa? [p. 38 modifica]

Volpino.     Se gli facessi intendere dell’importanza che fusse il tuo bisogno, non ti negarebbe audienzia.

Crisobolo.     E come se li farebbe intendere? Non sai tu come li uscieri e portonari usano a rispondere? — Non se gli po’ parlare. — Digli che sono io. — Ha commesso che non se gli faccia imbasciata. — Come t’hanno così risposto, non po’ replicarli altro. Ma farò pur così, che sarà meglio e molto più sicuro, pur che la cassa vi sia.

Volpino.     V’è senza fallo; sicchè entravi securamente, e hai pensato benissimo.

Crisobolo.     Intanto che aspettiamo Critone, dimmi un poco: quando e come vi accorgesti che fusse rubbata la cassa, e con che indizî sei venuto a cognizion che l’abbi avuta questo ruffiano?

Volpino.     Sería lunga diceria, nè averemmo tempo. Andiamo a trovare la cassa prima, chè ben ti conterò ogni cosa poi.

Crisobolo.     N’averemo d’avanzo; e se non mi pôi fornire il tutto, fa che ne sappi parte.

Volpino.     Comincerò, ma so che non te ne dirò la metade, chè non ci sarà tempo.

Crisobolo.     Me n’averesti già detto un pezzo: or di’ su.

Volpino.     Poi che pur vuoi ch’io te ’l dica, te ’l dirò: or odi. Oggi, da poi che avemmo desinato d’un pezzo, e già tuo figliuolo era tornato a casa (chè mangiò fuora), venne il Nebbia a trovare Erofilo, e gli portò le chiavi della tua camera, senza che gli fussi chiesta da alcuno.

Crisobolo.     Buon principio questo fu di obbedirmi; quello appunto che gli avevo commesso!

Volpino.     Egli disse: — Io voglio andar sino alla piazza per una mia faccenda; fa serbar, fin ch’io torni, questa chiave. — Erofilo, senza altrimenti pensarvi, la piglia; il Nebbia va fôr di casa, nè mai più è ritornato.

Crisobolo.     Ancor m’ha in questo assai bene obedito. Eh perchè10 io non gli avevo espressamente commesso che non si partisse di casa mai!

Volpino.     Tu vedi! Stiamo così un pezzo ragionando d’una cosa e d’un’altra: venimmo a dire, come parlando accade, di andare uno giorno a caccia. In questo venne Erofilo a ricordar d’un corno che soleva avere, e che già molti giorni non [p. 39 modifica]l’aveva veduto; e gli venne volontà di cercare se fusse nella tua camera. Tolse la chiave, apre l’uscio, io gli vo dietro: nell’entrare fu primo tuo figliuolo, che s’avvide non v’era la cassa; a me si volta, e dice: — Volpino, ha mio padre, che tu sappi, restituita la cassa di Aristandro, che tanti giorni ha tenuto in diposito? — Lo guardo, e tutto resto attonito, e gli rispondo che no; e certo mi ricordo che, quando ti partisti, la vidi a capo al letto, ov’era solita di stare. In un tratto m’avveggio della sciocca astuzia del tuo Nebbia, che, tosto che s’ha veduto mancar la cassa, ha portato la chiave della camera ad Erofilo per farlo partecipe della colpa, che è tutta sua. Pigli tu, come io voglio inferire?

Crisobolo.     Intendo. Ah ribaldo! s’io vivo...

Volpino.     Fa il sciocco, ma è malizioso più che ’l diavolo: tu non lo conosci bene.11

Crisobolo.     Séguita.

Volpino.     Or, come io ti dico, patron mio caro, Erofilo ed io, veduto questo, esaminammo, e tra noi discorremmo chi la possa aver tolta. Io dimando il suo parere ad Erofilo, Erofilo a me dimanda il mio; che dovemo fare, che via tenere per venire a qualche notizia: consigliamo e masticamo un pezzo, se sapremmo12 finalmente ove ricorrere, dove battere il capo. O patron mio dolce, dopo ch’io nacqui non fui mai nel maggiore affanno, nel maggior travaglio mai. Io m’ho trovato oggi a tal ora così di mala voglia, così disperato, che disideravo e che avrei avuto di somma grazia d’esser morto, anzi di non essere mai nato. Ma ecco Critone col fratello Aristippo: io ti narrerò questa cosa più ad agio.

Crisobolo.     Non m’hai con tutte queste ciance produtto alcuno indizio che ’l ruffiano, più che altri, abbi avuta la mia cassa; nè so con che speranza di ritrovarla io debbi intrarli in casa.

Volpino.     Entrali sicuramente, e se non ve la trovi, impiccami, ch’io te ’l consento. S’io non avessi più che certezza, non ti direi che tu v’entrassi.


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SCENA III.

CRITONE, CRISOBOLO mercanti, VOLPINO servo.


Critone.     Per tutto son ladri, ma più in questa terra che in altro loco del mondo. Come possemo noi mercanti avere animo di andare a torno, se nelle nostre proprie case non siamo sicuri? Crisobolo, Dio ti guardi: siamo qui per farti, ove possiamo, beneficio.

Crisobolo.     Ben m’incresce di sconciarvi a quest’ora; a voi toccherà un’altra volta il comandarmi.

Critone.     Non accadono fra noi queste parole, chè vorremmo far per te ogni gran cosa.

Crisobolo.     Voi sarete contenti di venir meco in questa casa, ed essermi testimoni di quel che fare vi voglio.

Critone.     In questo ed in maggior servizio puoi comandarmi.

Crisobolo.     Non più parole; andiamo.

Critone.     Andiamo.

Volpino.     Stendetevi lungo il muro, e nascondasi il lume, e lasciate bussare a me; e come aprano, intrate tutti. Io tenerò la porta, acciò mentre voi cercaste in un cantone, non levasse13 da un altro il ruffiano la cassa, e la mandasse altrove.14

Crisobolo.     Bussa, e fa come ti pare.15


SCENA IV.

FULCIO, VOLPINO servi.


Fulcio.     Sono alcuni avantatori16 che frappano e bravano di far cose, che quando poi si viene alla prova, non ardiscono tentarle; fra li quali è questo briaco Volpino, che disse oggi di far per mezzo d’un suo amico al ruffiano un [p. 41 modifica]giunto d’una sua femmina il più bello e meglio disegnato del mondo, e che poi verrebbe avvisarne d’ogni successo, acciò che noi fornissimo quel resto a che non poteva lui innanzi. Siamo Caridoro ed io stati tutta sera alla posta, nè ancor n’aviamo udita novella. Io vo per saper se ha mutato proposito, pur se qualche impedimento gli è venuto in mezzo.

Volpino.     (Io sento venire uno in qua: par che lui vadi per battere alla porta nostra.) Olà, che cerchi? chi dimandi tu?

Fulcio.     O Volpino, io non cerco, io non domando altri che tu.

Volpino.     Io non ti avevo, Fulcio, conosciuto: che vuoi?

Fulcio.     Che si fa? avete mutato consiglio? o pur non vi ricordate più di quel che dicemmo oggi?

Volpino.     O Fulcio, il diavol ci ha messo il capo con tutte le corna, e non pur, come si dice, la coda, per guastare i nostri ordini in tutto.

Fulcio.     Che ci è di male?

Volpino.     Te ’l dirò, ma... taci taci.

Fulcio.     Che turba è questa che con tanto romore esce? che strepito esce di casa del ruffiano?


SCENA V.

LUCRANO ruffiano, CRISOBOLO, CRITONE, VOLPINO.


Lucrano.     Si fa così a’ forestieri, uomo da bene, eh?

Crisobolo.     Si fa così a’ cittadini, ladro, eh?

Lucrano.     Non passerà come tu pensi; me ne dorrò sino al cielo.

Crisobolo.     Io non anderò già tanto alto a dolermi, ma bene in loco ove la tua scelerità sarà punita.

Lucrano.     Non ti persuadere, perch’io sia ruffiano, ch’io non debba essere udito...

Crisobolo.     Ancora ardisci a parlare?

Lucrano.     E che non abbia lingua a dire le ragion mia.

Crisobolo.     Cotesta ti farà il capestro uscire un palmo della bocca. Che audacia avrebbe se in casa nostra avesse ritrovato il suo?

Lucrano.     Porròmmi, e farò porre quanti n’ho in casa al tormento, e farò constare a qual voglia giudice, che la cassa m’ha data pegno un mercatante per lo prezzo d’una mia femmina, come v’ho detto. [p. 42 modifica]

Crisobolo.     Ancor apri la bocca, ladron manifesto?

Lucrano.     E chi più di te manifesto, che mi vieni a rubare, e ne meni li testimonî teco?

Crisobolo.     Se non parli cortesemente, ti farò, ghiotton...

Critone.     Non gridar con questa cicala, che non è convenevole a un par tuo: andiamo. Se tu pretendi che ti si faccia torto, lásciati veder in palazzo dimani. Andiamo.

Lucrano.     Mi vedrete, siatene securi: non andarà, non, per dio, come vi credete forse. (Ma or son troppi, ed io son solo: ben ci rivederemo in loco dove non averanno sì gran vantaggio).

Crisobolo.     Vedesti voi mai il più audace e presuntuoso ladro di costui?

Critone.     Non veramente. Gran ventura hai avuta, Crisobolo, che mi piace.

Crisobolo.     La maggior del mondo.

Critone.     Vuoi altro da noi?

Crisobolo.     Che di me, dove io possa, vi degnate servirvi. To’, Volpino, quel lume, e ritornali a casa.


SCENA VI.

FULCIO, VOLPINO, CRITONE, ARISTIPPO.


Fulcio.     Vuoi ch’io t’aspetti, Volpino?

Volpino.     Voglio, chè ho da ragionare un pezzo teco.

Fulcio.     Ritorna presto.

Volpino.     Sarò qui súbito; ma meglio è che venga tu ancora.

Fulcio.     Vai lontano?

Volpino.     Vo a lato questo canto, alla prima casa.

Fulcio.     Verrò anch’io.

Volpino.     Vien, chè torneremo insieme ragionando. Oh diavolo!

Fulcio.     Che ti rompa ’l collo. Che hai tu?

Volpino.     Io son ruinato, io son disfatto!

Fulcio.     Che hai di nuovo?

Volpino.     To’ questo lume, e accompagna questi gentil’uomini a casa. Maladetta la mia sì poca memoria!

Fulcio.     Tenetelo voi, e fatevi lume voi stessi, chè voglio ciò che di nuovo a questo pazzo accade intendere.

Critone.     Buon servitori tutti due sete, e cortesi giovani per certo! [p. 43 modifica]

Aristippo.     Converrà che facciamo come i cavalieri da Napoli, che si dice s’accompagnan l’un l’altro.

Fulcio.     Che hai tu, bestia? che t’è accaduto di fresco?

Volpino.     Ahi lasso! ch’io ho lasciato il Trappola in casa con li panni del mio vecchio indosso, e non mi son ricordato, prima che arrivi il patron, di correre a dispogliarlo, e rendergli il suo gabbano, che serrai nella mia stanza.

Fulcio.     Ah trascurataccio! va súbito e fallo nascondere, chè non lo veda Crisobolo almeno.

Volpino.     Io sarò tardi; e tardi ben son stato, chè sento il rumore e ’l strepito grande.


SCENA VII.

CRISOBOLO, VOLPINO, TRAPPOLA.


Crisobolo.     Dove ti credi fuggire? sta saldo, viso di ladro: onde hai tu rubbata questa mia veste?

Volpino.     (Che farai più, sciagurato Volpino?)

Crisobolo.     Tu dê esser quell’uom da bene che m’averà rubata la cassa ancora.

Volpino.     (Oi! me gli potessi accostare all’orecchio un poco!)

Crisobolo.     Tu non rispondi, truffatore? a chi dico io? Ajutatemi, chè non mi fugga. Tu non vuoi parlare, eh? Costui è mutolo, o che lo finge.

Volpino.     (Non potea all’improvviso infortunio trovar miglior riparo: ora è da soccorrergli.) Patron, che hai a far col mutolo?

Crisobolo.     Ho trovato costui nella cucina vestito alla guisa che tu vedi.

Volpino.     Chi diavolo ha condotto questo mutolo in cucina?

Crisobolo.     E non gli posso far rispondere una parola.

Volpino.     E come vuoi, se è mutolo, che risponda?

Crisobolo.     È mutolo costui?

Volpino.     Che? non lo conosci?

Crisobolo.     Non lo vidi mai più.

Volpino.     Tu non lo conosci? il mutolo che sta nella taverna della Simia?

Crisobolo.     Che mutolo, che simia vuoi tu ch’io conosca? A tuo dire, parrebbe ch’io andassi, manigoldo, alla taverna. [p. 44 modifica]

Volpino.     Mi par che abbia indosso la tua veste: sì, ben la riconosco.

Crisobolo.     E di che mi corruccio io?

Volpino.     E lo tuo cappello in capo.

Crisobolo.     Mi par che abbia del mio fino alle scarpe.

Volpino.     È così, per dio: questa è la più strana pratica del mondo. Non gli hai tu domandato chi l’ha del tuo sì messo in punto?

Crisobolo.     Che vuoi tu ch’io gli domandi, se non mi sa rispondere, e s’egli è mutolo?

Volpino.     Fa che tu l’accenni. Ma lascia domandarlo a me, che lo soglio intendere non meno ch’io faccia te.

Crisobolo.     Domándalo.

Volpino.     Chi t’ha dato la veste del patrone? cotesta, cotesta donde l’hai avuta?

Crisobolo.     (Questo pazzo ragiona con le mani come fanno gli altri con la lingua.) Sai tu che dica?

Volpino.     Chiaro accenna che uno qui di casa gli ha tolti i suoi panni, e che gli ha lasciati questi fin che torni, e per ciò t’attendeva egli.

Crisobolo.     Un qui di casa? deh fa, se sai, che ti accenni qual di casa è stato.

Volpino.     Faròllo.

Crisobolo.     (Io gli guaterei cento anni alle mani, e non saperei un minimo costrutto cavarne.) Che vuol dire quando leva la mano, e che si tocca or il capo or il volto?

Volpino.     Mostra che è stato un grande, asciutto, che ha grosso il naso, ed è canuto, e che parli in fretta.

Crisobolo.     Io credo che voglia dire il Nebbia, ch’altro non è in casa così fatto. Ma come sa che parli in fretta? adunque ode costui?

Volpino.     Non ho detto che parli in fretta, ma che partì in fretta. Vuol dire ch’è il Nebbia senza fallo: tu l’hai più presto inteso, che non ho io.

Crisobolo.     Che ha voluto fare quel pazzo a tôrre i panni di questo mutolo?

Volpino.     Or m’appongo perchè: poichè s’ha veduto mancare la cassa, si debbe esser fuggito; e per non esser conosciuto, si sarà d’abito mutato.

Crisobolo.     Perchè non ha più presto lasciato a costui li suoi panni, che li miei?

Volpino.     Che diavol so io? Non conosci tu come è pazzo? [p. 45 modifica]

Crisobolo.     Menalo tu in casa, e dàgli qualche tabarro vecchio, chè non macchiasse la mia veste.

Volpino.     Lasciane la cura a me.

Crisobolo.     (Potrebbe essere anco altramente: sì, potrebbe in verità: non è da credere a questo Volpino ogni cosa, che non è però evangelista.) Non andare; aspetta, Volpino. Non ci disse il ruffiano che gli aveva data la cassa un mercatante? e non ce lo dipinse, se ben mi ricordo, vestito in questo modo proprio?

Volpino.     Ti vuoi fondare in le ciance di quel ribaldo?

Crisobolo.     Nè miglior terreno sei ancor tu, dove io mi fondi. Io farò, altramente. Rosso, Gallo, Marocchio, tenete costui, e legátemelo.

Volpino.     Perchè così?

Crisobolo.     Al Subasti17 vô mandarlo, chè con la corda provi se può guarirlo, sì che parli.

Volpino.     Non so io s’egli è mutolo? Pur, se ti pare che finga, il menerò al ruffiano; e se sarà il mercatante di che dubiti, lo conoscerà di botto.

Crisobolo.     Io non vô altro mezzo in questo. Spacciatevi, e se non avete altro, spiccate la fune del pozzo. Legagli le mani dietro, ma levagli, col malanno, prima la mia veste.

Trappola.     Escusami, Volpino: fin che altro non ho sentito che parole, t’ho voluto servire...

Volpino.     (Aimè!)

Trappola.     Ma per te non voglio essere nè storpiato nè morto.

Crisobolo.     O beata fune, anzi miracolosa, che sì ben risani i mutoli! Chi te la ponesse alla gola, Volpino, credi tu che ti sanasse del ghiotto? Or rispondimi tu: chi t’ha dato li miei panni?

Trappola.     Tuo figliuolo e costui mi vestirno oggi così.

Crisobolo.     A che effetto?

Trappola.     Per mandarmi a pigliare una femmina di casa un ruffiano.

Crisobolo.     Fusti tu quel che vi recasti la mia cassa?

Trappola.     Con una cassa mi vi mandorno, che avessi a lasciarvi pegno, e così feci.

Crisobolo.     A questo modo, Volpino, tu hai avuto auda[p. 46 modifica]cia di porre in mano d’un fuggitivo ruffiano a tanto pericolo la roba mia; e dare a mio figliuolo, che sì t’avea raccomandato, così buono consiglio; e farti beffe di me, ed aggirarmi il capo come io fusse il maggior sciocco del mondo? Non te ne vanterai, per dio. Lasciate cotesto, e legatemi quel traditore.

Volpino.     O patrone, tuo figliuolo m’ha sforzato a fare così: tu me gli lasciasti per servo, non per curatore o maestro.

Crisobolo.     S’io non morrò in questa notte, io darò per te uno esempio a quest’altri, che non ardiranno usarmi fraude mai più.

Volpino.     O signor mio!...

Crisobolo.     Io t’insegnerò, scelerato. Vien tu ancor dentro, chè tutta questa pratica vô sapere a pieno.


SCENA VIII.

FULCIO servo, solo.


La cosa va mal per noi, ma per Volpino va peggio. Come la mutabil fortuna ha sottosopra il tutto riversato, che sì prospera n’avea seguíto un pezzo, e non ci avería lasciati ancora, se non l’avesse arrestata la poca memoria di questo sciocco! Io non so che altro mi far meglio, che confortare Caridoro a18 levarsi dall’impresa; chè, poichè a satisfarli in li amorosi desiderî non son buono, sarò forse a persuaderli quel che sarà l’utile, l’onore e la quiete sua. Deh che farò per questo? che gli potrà giovare le mie parole? nulla, per dio: a pericolosa disperazione lo trarran, più presto che lo riducano a ragione; sì nella mal condotta invenzione di Volpino sarà con troppa baldanza il mísero fermato! Oltra ciò, se per mio mezzo non ha venire a buon fine di sì bramato intento, non mi sarà grande e perpetua infamia? Parrà ch’io non sappia ordire astuzia, se non ho sempre Volpino a lato che m’insegni; e di quante n’ho per addietro a buon porto condotte, s’io manco in questa or che son solo, n’averà tutta la gloria Volpino. Guardimi Dio ch’io sia tenuto suo discepolo, e ch’io mi lasci imprimere sì brutta macchia in viso! Che farò dunque? Io farò bene... Come farò? Io farò... non è buono, verría scoperto... Che s’io vo per un’altra via?... e per quale? per questa... sarà il medesimo. Tentiam quest’altra, è meglio forse: non è; è pur manco male; tanto [p. 47 modifica]è: ma chi19 gli giungessi questo uncino, saría forse buona. Sarà buona per certo, sarà ottima, sarà perfetta. Io l’ho trovata, io l’ho conclusa; così vô fare, e riuscirà netta; e mostrerò che non sono il discepolo, ma il maestro de’ maestri. Orsù, mi muovo con un esercito di menzogne per dare il primo guasto a questo ruffiano avaro. Così, Fortuna, mi sii20 favorevole; chè se mi riesce il disegno, ti fo voto di stare imbriaco tre giorni. Ma ecco che li miei preghi esaudisce, chè mi manda lo inimico di far male21 in contra.


SCENA IX.

LUCRANO ruffiano, FULCIO.


Lucrano.     (Quanto più differisco a lamentarmi, fo le mie ragion deboli. Io stavo espettando che ritornasse il Furba, perchè venisse meco; ma poi che non appare, me n’anderò pur solo.)

Fulcio.     O Dio, ch’io ritrovi Lucrano in casa...

Lucrano.     (Costui mi nomina.)

Fulcio.     Acciò che io gli avvisi della ruina che gli viene addosso...

Lucrano.     (Che dice costui?)

Fulcio.     Sì che salvi la vita almeno.

Lucrano.     (Aimè!)

Fulcio.     Benchè, se gran ventura non l’ajuta, spacciato lo veggio.

Lucrano.     Non bussar, Fulcio, ch’io son qui, se tu mi cerchi.

Fulcio.     O infelice, o sciagurato Lucrano, che fai tu qui? perchè non fuggi?

Lucrano.     Ch’io fugga?

Fulcio.     Chè non ti nascondi, chè non ti levi del mondo? Poverello, fuggi.

Lucrano.     Perchè vuoi ch’io fugga?

Fulcio.     Tu sarai impiccato súbito súbito, se ti ritrovano.

Lucrano.     Chi mi farà impiccare? [p. 48 modifica]

Fulcio.     Il Bassam mio signore. Fuggi, ti dico: ancor ti stai? fuggi, misero.

Lucrano.     E che ho fatto io, che meriti la forca?

Fulcio.     Hai rubato Crisobolo il tuo vicino.

Lucrano.     Non è così.

Fulcio.     E egli t’ha ritrovato in casa con testimonî il furto. Ed ancora t’indugi? fuggi presto, fuggi: che fai?

Lucrano.     Se vorrà intendere il Bassam le ragion mie...

Fulcio.     Non perder tempo in ciance, pover uomo; fuggi col diavol, fuggi; chè non è venti braccia lungi il barigello, che ha commissione di subito impiccarti, e mena il boja seco. Fuggi, diléguati presto.

Lucrano.     Ah Fulcio, mi ti raccomando: io t’ho amato sempre, poi ch’io ho avuta tua conoscenzia, e studiato di farti ove ho possuto piacere.

Fulcio.     E per questo son venuto ad avvisarti.

Lucrano.     Io ti ringrazio.

Fulcio.     Chè se mio patron lo sapesse, mi farebbe impiccar teco: ma fuggi e non gracchiar più.

Lucrano.     Aimè, la casa e la roba mia!

Fulcio.     Che casa? che roba? fuggi col malanno.

Lucrano.     E dove debb’io fuggire?

Fulcio.     Che so io? ho fatto il mio debito un tratto: se sei impiccato, tuo danno; già non voglio esserti impiccato appresso.

Lucrano.     Ah Fulcio! ah Fulcio!

Fulcio.     Non mi nomare, che sia squartato! chè non ti oda alcuno, chè non rapporti al mio signore ch’io t’abbi avvisato.

Lucrano.     Non mi lasciar, di grazia; mi ti raccomando.

Fulcio.     Alle forche ti raccomando. Non vorrei per quanto vale il mondo, che al Bassam fusse detto che t’avessi parlato.

Lucrano.     Ah, per Dio! odi una parola.

Fulcio.     Non è tempo ch’io espetti, chè mi pare non so che sentire, e son certo ch’è il bargello.

Lucrano.     Io verrò teco.

Fulcio.     Non venir; fuggi altrove.

Lucrano.     Sì, verrò pure.




Note

  1. Interpretiamo così le stampe antiche, che pongono sino; e intendiamo: se agli amori di Erofilo non è contraria, oh come pericola ec. Il Barotti, che altri anche seguono, faceva imprimere: «sì agli amori di Erofilo non è contraria, come ec.» Lezione, se confermata da manoscritti, da preferirsi ad ogni altra.
  2. Ant. stamp.: apparecchiata.
  3. Ant. stamp.: risvegliato; senza che torni facile indovinare da che nascesse lo scambio.
  4. Le antiche edizioni: redurre; che qui ha senso di Voltarsi, Aver ricorso; non comune per certo, e non ispiegato. Nella seguente commedia I Suppositi (atto IV, sc. 8) troveremo, colla significazione stessa, Ricorrersi.
  5. Andare a naso per Andare fiutando, è frase osservabile, quando ai maestri piaccia, e non osservata.
  6. Pensiamo così essersi detto piuttosto per ironia, che invece di finiti; il quale da sè mal potrebbe significare Spacciati, o corrispondere alla più usitata costruzione: La è finita per noi.
  7. Ant. stamp.: Tuor.
  8. Così, e non (come il Barotti ed altri) troveremmo, le antiche edizioni. L’autore avea forse scritto trovaressimo.
  9. Avvertiamo che le antiche stampe hanno: li civili.
  10. Della significazione qui data a perchè (la quale ancora per questo passo rimane invincibilmente confermata), parlasi nella nota 1, pag. 68 della seguente commedia in prosa.
  11. Tutte queste parole nelle altre edizioni sono poste in bocca di Crisobolo: a noi è sembrato doverle restituire a Volpino, come richiede il senso, e come è nella Commedia in versi. — (Tortoli.)
  12. Così ha la stampa del Barotti, seguita ancora da altri; e pare da intendersi: consigliamo e mastichiamo (forse consigliammo e masticammo) se (colla forza del lat. si forte) finalmente sapremmo ec. Le vecchie edizioni, omettendo il se, pongono sapremo. Nella verseggiata si legge: «siamo in dubbio...; non sappiamo ove ricorrere, Non sappiamo ove volgerci, ec.»
  13. Ant. stamp.: la levasse.
  14. Queste parole pure nell’altre edizioni son poste in bocca di Crisobolo, anzichè di Volpino, come il contesto e l’autorità della commedia in versi richiedono. — (Tortoli.) — A Volpino avevale restituite anche il Barotti.
  15. Anche qui il personaggio nell’altre edizioni è sbagliato, leggendosi Critone e non Crisobolo. Vedi la commedia in versi. — (Tortoli.)
  16. Così le antiche stampe. Nelle Rime antiche e nelle Lettere del Bembo trovò l’Alberti Avvantarsi.
  17. «Probabilmente (dice un moderno commentatore) era questi il bargello di Ferrara ai tempi del poeta.» Ma è da considerare, che la scena è supposta dall’autore in Metellino, e non in Ferrara.
  18. Ant. stamp.: da.
  19. Qui le antiche frammettono: non.
  20. Ant. stamp.: sia.
  21. Così hanno tutte le edizioni, e il passo, come ognun vede, non ha senso. Che debba leggersi disarmato, anzichè di far male? — (Tortoli.) — Potrebbe intendersi come detto ironicamente, o a maniera di antifrasi, quasi: mi manda incontro quel malfattore di ruffiano.