La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Considerazione decimaseconda - Chiome bionde

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Considerazione decimaseconda - Chiome bionde

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CONSIDERAZIONE DECIMASECONDA

chiome bionde.

Era per gli antichi popoli d’assai pregio la bionda capigliatura e la fulva. Bionde sono le favolose persone de’ greci: Arianna (Ovid., De arte, lib. i, 532), Atalanta (Ebano, Stor. var., xiii, 1; Stazio, Tebaid. iv, 262), Cariclea (Eliodoro, lib. 11, in Aethiop.), Europa (Ovid., Fast., v, 609), Rodogine (Filostrato, nelle Immagini, lib. ii), Narciso (Callistrato, nelle Statue), Cupido (Apuleio, Metam., lib. 5), Fetonte (Ovid., Metam., ii), Antiloco (Filostr., ibid.). E molti eroi: Giasone (A. Gellio, Notti att., lib. ii, 26), Achille (Il., xxii. 141 et passim.; Filostr., nel proemio delle Immag .), Menelao (Il., x, 240; Odiss., i, 285, ed altrove), Radamanto (Odiss., lib. vii, 323), Meleagro (Il., lib. ii, 149), per non dir di tant’altri in Omero. Sappiamo che Davide (lib. De‘ regi, i, cap. xvi, 17) «erat rufus, et pulcher aspectu, decoraque facie»; e biondo era il grand’Alessandro (Elian., Stor. var., xii, 14) e Filadelfo (Teocr., idil. xvii,δ' ὀ μὲν αὐτῶν πυῤος, 103). Molte celebri donne: Lucrezia (Ovidio, Fast., ii, 763), Aspasia (Elian., Stor. var., xii, 1), Poppea (Plin., xxxvii, 3). Darete frigio fa biondi tutti gli eroi e le eroine dell’Iliade, ed Omero dá questo attributo a’ cavalli (Il., ix, 407; viii, 185). E piacemi di riferire i più gentili passi de’ poeti che dipingono le bionde chiome. Euripide dice che Amore

{{Ct|f=100%|v=.6|t=1|L=0px|φιλεῖ κατόπτρα, καὶ κόμης ξανθίσματα,

ama gli specchi e della chioma i biondeggiamenti,


e nell’Elettra, v. 1071:

Ξανθὸν κατόπτρῳ πλόκαμον ἐξήσκεις κόμης.

I biondi ricci della chioma ti componevi allo specchio.


Teocrito, volendo divisare la beltá di un pastore e la giovinezza di un altro: idil. vi:

 ... ἤς δ' ὀ μὲν αὐτῶν
πυῤῥος, ὁ δ'ἠμιγένειος.
Un d’essi,rosso, l’altro erasi imberbe.

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Ed altrove riunisce questi due pregi (idil. vili, v. 3):

Ἄμφω τώδ' ἤτην πυῤῥοτρίχω, ἄμφω ἀνάβω.

Era ad ambo il pel rosso, e imberbe il mento.


Donde Virgilio formò quel suo verso gentile, con che dipinse Mercurio (Eneid., lib. iv, 559):

Et crines flavos et membra decora iuventae.


Quando Aconzio in Ovidio (Eroid., xx, v. 57) descrive tutte le bellezze della sua Cidippe:

               Hoc flavi faciunt crines et eburnea cervix,
               quaeque, precor, veniant in mea colla mantis.

Ed Ociroe, nelle Metamorfosi, lib. ii, v. 635:

               Ecce venit rulilis humeros protecta capillis
               fllia Centauri.

Bionda è la Didone di Virgilio: Eneid., iv, 589:

          Terque quaterque manu pectus percussa decorum
          flaventesque abscissa comas:

e v. 698:

          Nondum illi flavum Proserpina vertice crinem
          abstulerat, Stygioque caput damnaverat Orco.

* Soavemente imitato dal Petrarca, Trionfo della morte, i, 113:

               Allor di quella bionda testa svelse
               Morte con la sua mano un aureo crine.*

E nel lib. xii, dove dipinge con gii stessi atteggiamenti la disperazione di Lavinia:

               Filia prima manu flavos Lavinia crines,
               et roseas laniata genas.

Nell’viii, v. 659:

               Aurea caesaries ollis, atque aurea vestis
               virgalis lucent sagulis; tum lactea colla
               auro innectuntur.

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Ed Ovidio si servi di questa dipintura, facendo risaltare sulle spalle de’ centauri il biondeggiar de’ capelli ( Metam ., xii, 395); e forse ebbe in mente i versi virgiliani
:

          Barba erat incipiens: barbae color aureus, aureaque
          ex humeris medios coma dependebat in armos.

Cosí l’amico mio, che dagli antichi derivò le maggiori bellezze della sua poesia, nel ív del Bassville:

                    E furtive dall’elmo e sfolgoranti
               uscian le chiome della bionda testa,
               per lo collo e per l’omero ondeggianti.

Properzio e Tibullo fanno bionde le loro amiche. Tib., lib. i, elegia v, 44:

Non facit hoc verbis, facie tenerisque lacertis
     devovet, et flavis nostra puella comis.

E Properzio nella 11 elegia del lib. ii, dove canta le bellezze della sua Cinzia (ediz. Brouck):

Gloria Romanis una es Itu nata puellis.
     Romana accumbens una puella Iovi.
.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   
Fulva coma est, longaeque manus, et maxima tota
     corpore; et incedit vel Iove digna soror.

E questa capigliatura «fulva» era la leonina, cosí dipinta da tutti i poeti latini; ed un nostro italiano, di cui mi ricordo il verso, ma non ricordo né il luogo né il nome, chiama il leone

il fulvo imperador della foresta;


o fors’anche fu quel dilicato colore tra il nero e l’aureo, di cui scrive Ovidio, Amor., i, elegia xiv, 9:

Nec lamen ater erat, neque erat tamen aureus illis,
     sed, quamvis neuter, mixtus uterque color.
Qualem clivosae madidis in vallibus Idae
     ardua direpto cortice cedrus habet.

Peleo, padre di Achille, è detto «biondo» da Catullo in quel poemetto, ove mi paiono stemperati tutti i colori di Lucrezio e di Virgilio, v. 97:

Qualibus incensam iacltastis mente puellam
fluctibus, in favo saepe hospite suspirantem!

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Né meraviglierai di tante chiome bionde, e sí passionatamente cantate: erano in altissimo pregio in Roma; e da un passo di Catone1, presso Servio ( Eneide, iv, 698), appare che le matrone si fingessero bionde: «Flavo cinere unctilabant, ut rutilae essent». Ed affettavano chiome bionde le donne amorose ed eleganti sin da’ primi giorni della repubblica. Ovid., Fast., ii, v. 763:

Forma placet, niveusque color, flavique capilli,
     quique aderat nulla factus ab arte decor.

Delle parrucche bionde parlano Marziale e molti de’ moderni. Ovidio allude a’ crin biondi, di cui faceano traffico i compratori degli schiavi germani (Amor., i, elegia xiv, 45), quando l’amica del poeta perdé le chiome:

Nunc tibi captivos mittet Germania crines.


Del vario modo di comporre le chiome, vedi Ezechiele Spanhemio Observationes in Callim., a Inno a Cerere, v. 5. Claudiano nell’Epitalamio dí Onorio, v. 49, descrive l’antico uso delle acconciature. Parimenti Apollonio (lib. iii, v. 45), parlando di Venere:

Per le candide spalle abbandonando
in due liste le chiome, con dorato,
onde poi rintrecciarle in lunghe anella,
pettine le scevrava.

Alcuni degli imperadori si compiaceano de’ loro fulvi e biondi capelli, non imitando Augusto, che, sebbene li avesse di questo colore e mollemente ritorti, li trascurava, tosandosi troppo sovente (Svet., cap. 29). Non cosí Nerone (Svet., 51), né Ottone (Tacito, Stor., lib. i); ed il primo cantò in certi versi mentovati da Plinio (lib. xxxvii, cap. 3) i capelli di Poppea, chiamandoli «succinos», colore tra il nero e l’aureo, di cui parla distesamente l’autore citato. Lucio Vero, se s’ha a credere a Giulio Capitolino, «dicitur sane tantam habuisse curam flaventíum capillorum, ut capiti auri ramenta respergeret, quo magis coma illuminata flavesceret». Similmente di lui Elio Lampridio: «fuit capillo semper fucato, et auri ramentis illuminato». Né sia di meraviglia che le donne belle e [p. 323 modifica] gl’imperadori (perocché l’une e gli altri, inebriati per continue adulazioni, affettano divinitá) coltivassero le bionde capigliature. Apollo e Bacco, bellissimi numi, Mercurio e Minerva, protettori de’ capelli (vedi Considerazione nostra quarta), erano biondi. Ne’ frammenti dell’Inno alle Grazie da me citato, il capo di Pallade è detto Πυῤῥοκόμης2. Ecco la mia versione:

Involontario nel Pierio fonte
vide Tiresia giovinetto i fulvi
capei di Palla, liberi dall’elmo,
coprir le rosee disarmate spalle;
sentí l’aura celeste, e mirò le onde
lambir a gara della diva il piede,
e spruzzar riverenti e paurose
la sudata cervice e il casto petto,
che i fulvi crin discorrenti dal collo
coprian siccome li moveano l’aure.

Ovidio, di Minerva ( Tríst ., i, eleg. x):

Est mihi sitque, precor, flavae tutela Minervae.

E nel primo degli Amori, eleg. 1, v. 7:

Quid, si praeripiat flavae Venus arma Minervae,
     ventilet accensas flava Minerva faces?

Ma le Grazie stesse (Pindaro, ode nemea v, versi ultimi):

                         Ἄνθεα ποιάντεα φέρειν στεφανώ-
                         ματά, σὺν ξανθαῖς Χάριsιν.
                         I fiori verdeggianti portano corona-
                         menti con le bionde Grazie.

E lo stesso poeta loda i greci pe’ biondi capelli. Nemea tx, v. 40:

     Ξανθοκομᾶν Δαναῶν
     ἦσαν μέγιστοι.

Ma ben conveniva alle Grazie la capigliatura di colore dilicato e soave, che presume il candore delle membra, e non isbatte sí [p. 324 modifica] mente sulla tinta rosea del volto. Piacemi di riferire la traduzione de’ frammenti greci da me citati dianzi e nelle note al v. 57:

 ... Or delle Grazie
nè d’aurei raggi liberale è il crine,
siccome è il crine del divino Apollo,
allor ch’ei monta per lo sacro clivo
d’Olimpo, e piú s’infocano i cavalli
non pur del grido e de’ spumosi morsi
al comandar, o della sferza al fischio;
de’ dardi il tintinnir dentro il turcasso
aureo, capace, e pien di eterna possa
quei quattro corridori incalza, quando
del saturnio signor veggon le case,
meta di Febo. Né di foco rosse
sono le trecce delle care Grazie,
quali sotto il cimier contien Bellona
pari alla giuba delle sue poledre,
che pel di lionessa hanno e vigore.
Nè son ricciute come il crin d’Amore,
non come quel di Cintia cacciatrice
pallide, e tutte rannodate al collo.
Ma donde spesse cascano le chiome
sembran piú fosche, e sono auree le ciocche,
che sparse al vento van mutando anella
e mostrati vari ognor biondeggiamenti.
Spiran soave odor, ma non di mirra,
non delle rose di Cirene odore,
inclite rose! Ma cotal fragranza
mandano pari all’armonia, che diede
d’Orfeo la lira, allor che, al sacro capo
dalle baccanti di Bistonia infissa,
venne nell’alto Egeo, spinta dai monti,
e un’armonia suonò tutto quel mare,
e l’isole l’udiano e il continente,
sebben né vate mai né arguta corda
di Lidia cantatrice a quel fatale
suono die’ legge e nome....

Quantunque questa poesia non abbia i caratteri della nobile semplicitá omerica, e senta, al mio parere, la raffinatezza de’ poeti latini, veggonsi nondimeno «disiecti membra poëtae» ed un ardire felice. Ecco dove si dipinge Giove, che scende ai convito apprestato da Venere in Tempe: [p. 325 modifica]

Della luce infinita i rai deposti
tutto-veggenti e il telo onnipotente,
scendeva in terra fra l’ambrosie tazze
Giove, dell’universo animatore.
Rizzarsi i numi, e Cipria riverente
cedeagli il loco; armonizzar le lire
s’udiano allor delle vergini muse,
e cantar Febo, ed olezzare i boschi,
e risuonare i tessali torrenti,
e risplendere il cielo, e delle dive
raggiar piú bella l’immortal bellezza;
che Giove padre sorrideva, e, in lui
con gli occhi intenta, l’aquila posava.


Or torno alle chiome bionde, alle quali il Winckelmann ( Monumenti inediti) ed il buon Lavater concedono la preminenza. Milton fa bionda la madre del genere umano (Parad. perd., canto iv). Ne’ poemi di Ossian sono in piú pregio le chiome nere, perché il clima freddo de’ caledoni era ferace di biondi: per la contraria ragione Callimaco esalta in Berenice

devotae flavi verticis exuviae.

Tuttavia non mancano in Ossian rossi-criniti, e bellissima fra le altre è questa pittura:

La bionda ricciaia cadegli per le rubiconde
guance in lunghe liste
d’ondeggiante luce.

Son biondi gli angeli in Dante. Purgat. canto viii, 34:

Ben discerneva in lor la testa bionda.

E Manfredi re di Sicilia (Purgat., canto iii, 107):

Biondo era e bello e di gentile aspetto.

* Verso trapiantato dal Berni (Orl. inn., lib. ii, canto xii, st. 43), ove descrive Astolfo:

Grande era e biondo e di gentil presenzia.* [p. 326 modifica]

E bionda era l’amica di Dante. Canzone «Cosí nel mio parlar voglio esser aspro», st. 5:

E fareil volentier, sí come quegli
che ne’ biondi capegli,
ch’Amor per consumarmi increspa e ’ndora,
metterei mano e piacereile ancora.

Clorinda, Erminia ed Armida in Torquato Tasso son bionde, e bionda era la sua donna, per cui sí mestamente cantò; * benché, ne’ ritratti ch’io vidi nella serie di tutta la prosapia degli Estensi, madama Leonora e madama Lucrezia fossero dal tristo pittore dipinte con chiome nere.* Ma il «dotto» mondo corre dietro le fredde eleganze del Cardinal Bembo e di tutta quella schiera di cortigiani e monsignori, senza pur mai nominare il canzoniere di Torquato, ove le molte colpe del secolo sono vinte dalle bellezze, degne di quell’alto ingegno e dell’amore infelicissimo ch’ei cantava.

E bionda è Bradamante e molte eroine in Ariosto. * Bionda è Alcina (Orl. fur., canto vii, st. 11), Olimpia (canto x, st. 33), Angelica ( ibid ., st. 96): biondo il giovinetto Medoro (canto xix, st. 28); Angelica anche negli altri romanzieri (Berni, Orl. inn., canto iii, st. 40), e Marfisa nello stesso poeta:

avvolte al capo avea le trecce bionde.
 (ibid., canto xxvii, st. 62).*

Del Petrarca non par lo: assai ritratti, che serbansi ancora di Laura, mostrano ch’ei non immaginò bionda la sua amante, come fecero i monsignori, i quali, per imitare in tutto il Petrarca, finsero amanti ritrose e chiome bionde. * Delle chiome di Laura cantò amabilmente il Petrarca, e la pinse cosí, che né Correggio potrebbe agguagliarlo. Vedi il son. lxi:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi;

e son. clxii, p. 1, v. 7-103; e altrove:

Le chiome all’aura sparse e lei conversa
in dietro veggio.

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Ma ne’ sonetti clxiii, clxiv le chiome della sua bella son bistrattate; e nel clxvi4 è pazza quell’iperbole:

Le chiome che, a vederle,
di state a mezzodi vincono il sole.*

Il Casa, unico de’ poeti minori degno di essere letto, nella canzone del Pentimento dipinge il biondeggiar delle chiome:

 . . . o se due trecce bionde
sotto un bel velo fiammeggiar lontano.

Ed il Bronzino, dipingendo una gentildonna vestita alla foggia di madonna Laura tenente il canzoniere, fa appunto che le chiome biondeggino soavemente sotto un velo. 11 ritratto è pieno di passione e di veritá; doti della scuola toscana. Il Pickler nel suo cammeo di Saffo colse lo stesso pensiero del poeta e del pittore: la natura aveva creata la gemma tutta per quell’artefice insigne. Aveva il vermiglio de’ labbri, le rose delle guance, il candore del collo e l’aureo delle chiome coperto da un bianchissimo velo, da cui trasparivano. Sappiamo che Saffo era bruna; ma chi vorrá incolpare l’artefice, se attribuí all’amorosa ed immortale fanciulla il crine d’Amore e de’ numi? Frattanto questo miracolo della natura e monumento eterno dell’arti moderne non è piú in Italia; né so a che mani è commesso.



Note

  1. * Porcjo Catone, nel libro dell’Origini; e il resto va corretto cosí: «Mulieres nostrae capillum flavo cinere ungitabant, ut rulilus esset crinis». *
  2. Il F. aveva stampato dapprima Πυῤῥόκαμος, che poi nell’errata-corrige, corresse in Πυῤῥόκομης inesattamente, per colpa del tipografo; e questa correzioni accolsero gli edd. fiorentini [Ed.].
  3. «il Foscolo usò della ediz. di Venezia, 1717, presso Seb. Coleti, con note dei Tassoni, del Muzio e del Muratori. La copia di questa ediz., giá pertenuta a! Foscolo, ora trovasi in Firenze, presso il possessore degli autografi di lui: è corredata di varie postille in margine e volanti. In una di queste ultime, a proposito di questo sonetto, che corrisponde al cxliv dell’ediz. Marsand, leggesi la postilla che segue: vv. 7-10. ’Nessun greco cantò mai sì amabilmente le chiome’». Cosí gli edd. fiorent. Aggiungo che questo Petrarca esiste ora nella r. Biblioteca Marucelliana, pervenutovi eoi libri del fondo Martelli [Ed.].
  4. Corrispondono ai sonn. cxlv, cxlvi, cxlviii della suddetta ediz. Marsand [Ed.].