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La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Considerazione quarta - Sacrifici di chiome

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Considerazione quarta - Sacrifici di chiome

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CONSIDERAZIONE QUARTA

sacrifici di chiome.

Versi 8-10. Caesariem... multis dearum... pollicita est.

Le chiome erano in tutela di Venere, delle Grazie, della Gioventú e delle Muse, cantate perciò da Pindaro «ben chiomate», e di Minerva, che andava oltramodo lieta de’ propri capelli. Medusa, insuperbendo dell’amore di Nettuno, * gareggiò di bella capigliatura con Pallade, la quale, perché era forse piú letterata che sapiente, non poté contenere la vendetta dell’invidia,* e convertì i capelli di Medusa in serpenti, e pose quella testa sull’egida a terror de’nemici. E Tibullo, lib. i, eleg. iv, v. 25:

          Perque suos impune sinet Dictynna sagittas
               adfirmes, crines perque Minerva suos.

E si vede nelle iscrizioni che le donzelle poneano la loro capigliatura sotto la tutela di Minerva. Tesoro gruteriano, mlxvii, 4;


minervae
memori . tvlli
a . svperiana . res
titvtione . siri
facta . capillorvm


A Minerva le vergini argive consecravano, prima di maritarsi, una ciocca di capelli (Stazio, Tebaid., lib. ii, 253); e da Giulio Polluce (Onomast ., iii, 3) sappiamo che nelle nozze erano consecrati i capelli a Diana, alle Parche ed a Minerva. Presso i trezenii (Luciano, De dea Syria) ad Ippolito. Del rito de’ capelli delle spartane prima delle nozze vedi Plutarco, in Licurgo. — Eran le chiome serbate a Bacco. Eneid., vii, 3S9:

          Evoe Bacche, fremens: solum te virgine dignum
          vociferans; elenim molleis tibi sumere thyrsos,
          te lustrare choros, sacrurn tibi pascere crinem.

* E Stazio, Tebaide, lib. viii, 402: «Crinem hic pascebat Baccho».* I naviganti in burrasca propiziavano Nettuno, votando il [p. 288 modifica] crine (Gioven., sat. xiii, 81), e salvi lo appendevano (Luciano, in Ermotimo, sulla fine): e Petronio ( Satirycon, cap. ciii) lo chiama «nanfragorum ultimum votum»1. I sette capitani contro Tebe (Eschilo, ne’ Sette, v. 42 e sg.),dopo avere giurato l’eccidio di quella cittá bagnandosi le mani nel sangue, appesero le loro chiome; poiché lo scoliaste greco a quel passo ove ricorre la voce Μνημεῖα, «monumenti, ricordi», chiosa: τρίχας, «crini», βοστρύχουν, «ciocche». — I leviti ebrei (Num., viii, 7), i sacerdoti gentili e le vestali consecrandosi si recideano i capelli (Plin., lib. x, 43). I cureti, sacerdoti di Giove, de’ quali vedrai nella Considerazione settima, traevano questo nome (Strabone, lib. x) dal loro capo tosato. * Pare che gli ebrei nelle pubbliche sciagure si radessero. Isaia, cap. xv, verso 2, nella distruzione di Moab: «in cunctis capitibus eius calvitium, et onmis barba radetur»; e poco prima, cap. iii, 17: «Decalvabit Dominus verticem filiarum Sion, et Dominus crinem earum nudabit». Bensí fu vietato a’ giudei di radersi ne’ funerali, come rito d’idolatri (Deuteronomio, xiv, 1); rito solenne a tutti gli orientali. Quinto Curzio, lib. x, c. 5; Svetonio, in Calig., cap. 5. Delle donne indiane antiche, Properzio, eleg. xiii, lib. iii: «Uxorum positis stat pia turba comis».

Si consecravano anche a’ fiumi (Eschilo, Persiani, v. 486; Omero, Iliad., xx, 140; Pausan., lib. v, p. 683; ibid., p. 638): ed è insigne ne’ Monumenti inediti illustrati dal Winckelmann la gemma ov’è inciso Peleo che promette al fiume Sperchio la chioma di Achille, se questi ritornava salvo da Troia (vol. 1, fig. 125). Si consecravano le chiome a’ morti Eschilo (Coefore, sul principio) dice «chioma luttuosa», πλόκαμον πενθητήριον, quella che Oreste doveva offerire al sepolcro del padre. Elettra (ibid., v. 178): καὶ τὴν κουρίμιν χάριν παΤρι; soavissima espressione. E Properzio, lib. i, eleg. xvii, 21:

Illa meo caros donasset funere crines.


Né i figli e le amanti soltanto, ma le madri e le sorelle. Ovidio, ove non fu all’infelice Canace concesso di far l’esequie al figliuolo, Eroid., xi, v. 115:

          Non mihi te licuil lacrymis perfundere iustis,
               in tua non tonsas ferre sepulchra comas.

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Nelle Metamorfosi, lib. iii, 505, alla morte di Narciso:

. . . Planxere sorores
Naïdes, et sectos fratri imposuere capillos.

* Ed era rito di religione e d’amore per gli ebrei la consecrazione delle chiome sui morti. Geremia, cap. xvi, vers. 6 e 7. *

Saffo ci tramandò in un epigramma la pietá di parecchie donzelle che si recisero le «care trecce» per la morte di Timade, vergine loro compagna. Gli Amori piangono in Bione ( Idil., i, v. 81) κειράμενοι χαίτα; ὲπ’ Ἀδώνιδι, «mozzi i crini per Adone»: costume attestato da molte iscrizioni sepolcrali, ed inviolato dal tempo, poiché le donne greche dei miei giorni celebrano l’esequie a’ loro amanti recidendosi i capelli. * L’«uomo vano» di Teofrasto votava ad Apollo la chioma di un suo figliuolo, conducevalo a Delfo, ed appendeva in solenne monumento del voto i capelli ( Caratt ., xxi). Gli ateniesi di vita piú modesta facevano questa ceremonia nella loro patria in presenza de’ parenti radunati.*

Né v’ha scrittore antico, che non ti parli sovente e passionatamente di chiome. Apollo e Bacco, bellissimi fra gli dèi, sono cantati intonsi (Ovidio, Metam., lib. in, 421):

          Et dignos Bacco, dignos et Apolline crines.

          * Te catto qui gravidis hederata fronte corymbis
          vitea serta plicas, qui corntos palmite tigres
          ducis odorato perfustts colla capillo.

          Nemesianus, Eclog., iii, v. 18*

Anzi Apollo in Apollonio Rodio (lib. ii, v. 709) andava sin da fanciullo fastoso delle sue trecce ricciute e rannodate. Giove, accennando col capo i fati dell’universo, empie tutto l’Olimpo dell’ambrosia de’ suoi capelli. Vedi anche Callimaco ( Inno ad Apollo, v.38). Ottaviano Cesare dedicò nel tempio del padre la Venere di Apelle sorgente dal mare, che spremea l’onda dalle sue lunghe chiome. Ovidio, De arte, iii, 224, imitato dal Poliziano, canto i, st. 101.

          Nuda Venus madidas exprimit imbre comas.

Di che vedi Plinio, lib. xxxv, cap. 10. Chi perdea la chioma, perdea la beltá.

               Infelix modo crinibus nitebas,
               Phoebo pulchrior et sorore Phoebi!

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               At nunc, laevior aere vel rotando
               horti tubere quod creavit unda,
               ridentes fugis et times puellas;
               ut mortem citius venire credas
               scito iam capitis perisse partem.

Pari alla costernazione di questo garzonetto di Petronio dev’essere stata quella di Smerdia, amato da Policrate di Samo e dal vecchio Anacreonte. Il tiranno, avvisando che il fanciullo fosse lusingato dal canto del poeta, lo fece radere per gelosia (Eliano, Storie varie, lib. ix, 4; Ateneo, lib. xii, 9). Licurgo, severissimo contro tutte le mollezze, lasciò inviolate le chiome, perch’ei diceva che accrescevano bellezza a’ belli e fnceano piú terribili i brutti (Plutarco, in Licurgo e in Lisandro). Ma Paolo apostolo (Ad Corinth., i, cap. xi, 14) vieta le chiome, perch’ei promoveva una setta d’uomini che hanno ad essere dimessi e di aspetto e di cuore. * Piaceano bensí al beato apostolo le donne crinite ( ibid ., 15), e piacciono anche a me. * Onde il teologo inglese Carlo Maetio (Sylva quaest. insignium) nega a’ cristiani ciò che Licurgo non negava a’ lacedemoni. Rispose Iacopo Revio nel libretto Libertas Christiana circa usum capillitii defensa; e la questione divenne acre, e fu nel secolo passato sorgente di sofismi teologici e d’ingiurie. Ma di che argomento non sono eglino benemeriti i teologi? Ben fa Lorenzo Sterne, ὀ πακαρίτης, che, quantunque parroco anch’egli, beffa fumando i teologi Didio e Futatorio (The life and opinions of Tristram Shandy, vol. iv, cap. 27).

Or, poiché la chioma fu sì cara cosa per gli antichi, Berenice die’ gran pegno di amore al marito, votando la sua. Temendo forse Domiziano che i popoli non fossero al suo tempo sì creduli come sotto a’ primi Tolomei (sebbene avrebbe trovato e poeti e sacerdoti ed astronomi, che di capelli avrebbero fatto stelle: * ed Orazio promettevalo alla strega Canidia:

               . . . . . . Sive mendaci lira
               voles sonori; tu pudica, tu proba
               perambulabis astra sidtis aureum.

               Epod., XVII, 39),*

consecrò ad Esculapio in Pergamo dentro una pisside d’oro la chioma di Flavio Earino, avvenentissimo giovinetto (Stazio, Selve, iii). Ma non le chiome solo: i giovinetti consecravano la prima lanugine del mento a’ numi dotati di eterna gioventú (Callim., in [p. 291 modifica] Delo, v. 298; Gioven., Satire, iii, v. 1S6; Marziale, lib. iii, epigr. 6). La religione a’ tempi degli imperadori prese qualitá dalla universale corruzione. Xifilino nota, sebben ora non mi sovvenga dove, che i «ludi giovenili», di cui Tacito fa motto (Annal., xiv, 15), vennero istituiti per la commemorazione della prima barba da Nerone deposta: il che imitò da Ottaviano, che tenne per festivo il giorno della barba e lo decretò pubblico (Dione, cap. 61 e 80). Ma Nerone, degno suo successore, non pago dell’anniversario, consecrò ad aeternam rei memoriam la sua lanugine a Giove Capitolino dentro una pisside d’oro contornata di gemme (Svetonio, in sexto Caesare, cap. 12). Per isdegno contro gli dèi, * che gli avevano rapito Festo, carissimo de’ liberti, * voleva anche Caracalla abbruciare i suoi capelli sull’ara, mentre stava sacrificando, * inferie al suo Patroclo; * ma, stendendo la mano per istrapparseli, si trovò calva la testa (Erodiano, Storia, lib. iv, 12). E calvo era. Le medaglie lo rappresentano chiomato: ma o quelle chiome sono parrucche, di cui vedi nella Considerazione nona, o (sia detto con pace degli antiquari) le medaglie mentono. Luciano nel libro Pro imaginibus, poco dopo il principio, narra che la famosa Stratonica, moglie di Seleuco e poi del figliuolo di lui Antioco, della quale canta anche il Petrarca ( Trionfo d’Amore, ii, v. 115 e sg.), promise due talenti al poeta che meglio lodasse le sue chiome. Tutto il mondo sapeva che per malattia,

          quod solum formae decus est, cecidere capilli;

pur vi furono poeti che cantarono:

          Quis expedivit Psittaco suum χαῖρε?
          Magister artis ingeniique largitor
          venter:

ed il ventre insegnava il canto ad Ulisse ( Odiss ., lib. xvii, 286, ed altrove), e le linde adulazioni ad Orazio (lib. ii, epist. 2). Cosí la paura avrá consigliato alle province di battere medaglie benchiomate al calvo imperadore. Ben disse Giovenale (Sat., iv, v. 70) che nulla v’ha di sí stravagante, che i potenti non credano di se stessi e che gli adulatori non facciano credere.


Note

  1. * E un poveretto di nome Lucilio, scampato dal naufragio, dedicò per gratitudine agli dèi marini la sua chioma tosata: non aveva altro (Luciano, epigr. 34, ediz. Reitzio, Amsterdam, Wetsienn, 1743, t. iii). *