La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Considerazione terza - Diana trivia

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Considerazione terza - Diana trivia

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CONSIDERAZIONE TERZA

diana trivia.

Dalla favola si deve ritrarre la storia; poiché la favola non è se non tradizione oscura di cose avvenute, e può avere assai circostanze false, ma non può essere fondata sul falso. Lo storico deve ricavare le sue congetture dalle passioni umane, dalla perpetua e costante successione delle cose, dai detti degli autori e de’ tempi piú rischiarati per la storia, i quali possono illustrare il passato, ch’eglino aveano meno lontano di noi. Sopra queste fondamenta mi proverò di dimostrare che Diana fu una delle prime divinitá, e la prima forse, alla quale le antiche genti abbiano celebrato riti ed eretti templi.

Primamente la storia di tutte le nazioni ci mostra che le prime adorazioni furono offerte al Sole ed alla Luna.

Esaminando il corso e le azioni della Luna, la quale or si perdeva ed or ritornava, quelle menti balorde ed inclinate allo stupore ed alla paura le diedero gli uffici e gli attributi del Dio tutto-oprante e tutto-veggente: la fecero re e preside dell’inferno, dove il Timore, unica fonte delle azioni umane, trae le menti a fabbricare un mondo di premio e di pena.

S’hanno sempre a distinguere nella teologia degli antichi le favole, che dirittamente derivano dalle inclinazioni umane, da quelle che nascono dalla sapienza de’ sacerdoti e de’ pastori de’ popoli. La Teogonia di Esiodo presume sapienza, che le prime genti non possono avere mai. Difatti la dea Terra, il dio Cielo, la Notte, il Caos sono idee metafisiche, alle quali sí poco arrivò l’intelletto e la credulitá delle genti, che rari di que’ numi solenni ebbero templi. Da queste prime idee universali nacque poi la pluralitá de’ numi, donde Giove, Nettuno, Plutone, e le loro schiatte. Ma prima di Giove fu il Sole, prima di Nettuno fu il Mare, prima di Plutone Ecate o la Luna. Quante piú poi si scoprivano veritá morali, quanto piú le cause naturali si svelavano agli occhi de’ savi e de’ principi, tanto piú si moltiplicavano le allegorie, onde vestirle a’ popoli sotto le sembianze di religione. Vedi Discorso quarto. [p. 280 modifica]

Il nume della Luna, o Diana-Ecate, fu dunque anteriore agli altri custodi e re dell’inferno. Donde derivarono gli incantesimi e le orrende evocazioni, alle quali presiede sempre la Luna (Teucr., idil. ii; Orazio, Epod., ode v, v. 52; od. xvii, v. 3). Questo soprannaturale e mirabile orrendo degli incantesimi nasce nei tempi barbari, come si vede sopra tutto dalle tragedie di Shakespeare. Quindi Diana può movere fin Radamanto (Teocrito, idil. ii), e se v’ha cosa altra piú salda. È «dea mangiacani», κυνοσφαγὴς θεός (Licofrone, v. 77), rozzo e barbarico attributo; e le donne prese d’amore (passione eterna ed universale della natura, onde il Petrarca dice, Trionfo d’Amore, in, v. 150, ch’ella «aggiunge»

di cielo in terra, universale, antiqua)


invocavano la Luna (Scoliaste di Teocr., idil. ii, v. 10).

Il nome stesso greco di Diana, Ἄρτεμις, è composto delle parole ἀερα τεμνω, «aere rompere», onde ella ha doinio anche sopra l’aria; e fu quindi consecrato da’ greci un promontorio col nome d’Artemisio, perché v’era il tempio di Diana, ch’essi chiamavano «orientale» (TPlutarco, in Temistocle; Erodoto, lib. vii).

Abbiamo da’ poeti (Callimaco, in Diana) ch’ella era preside de’ porti e delle isole mediterranee, le prime che si conobbero, di tutti i monti e di tutte le selve, prime abitazioni de’ mortali: ed a Diana fu dedicato un timone di nave (Callimaco, loc. cit., v. 229); e Pindaro la chiama «fluviale» (pitica ii, V. 12): ποταμίας ἔδος Ἀρτέμιδος .

Perché questa dea aveva possanza in cielo, in terra e nell’inferno, venne ch’ella accompagnava gli uomini nel nascere, ed assisteva alle madri (Orazio, Carme secolare, v. 13). Gli ateniesi chiamavanla λυσίζωνος;, «scioglicinto», ed a lei veggonsi ne’ poeti appese le zone muliebri (Teocrito, idil. xvii, 60). Era seguita dalle Parche, ministre di tutta l’umana vita: però vediamo in alcuni monumenti etruschi ch’ella assiste con le Parche agli sponsali. Ed Orazio con Diana nomina le tre dive (ibid., v. 25). La «lenis Ilithia» di questo poeta (v. 14) è la Εἰλείθυια de’ greci, diva tutrice di tutti i parti. Da Platone (vi delle Leggi) è mentovato il tempio di lei aperto alle incinte.

È anche detta «lucifera», portatrice di luce; e nelle medaglie si rappresenta con una face. Questo nome fu dato anche al pianeta di Venere; quindi e Venere e Diana sono chiamate «celesti». Vedi Considerazione nostra decima. [p. 281 modifica]

Dagli infiniti attributi derivarono gl’innumerabili nomi, Πολυωνυμίν; e Catullo (carme xxxiv, v. 21): «Sis quocumque placet tibi sancta nomine». Per la quale moltiplicazione di attributi e progressione di culti, Diana venne finalmente adorata come simbolo della Natura (Visconti, nel Museo Pio-Clementino ), ed in un monumento del Tesoro gruteriano (xli, 4) è detta «mater». Anzi Diana efesia (Bellorio, Lucerne antiche, parte ii, Museo Barberino) si rappresenta con grandi mammelle, quasi nutrice di tutti gli animali; spiegazione che a questo simbolo delle mamme danno gli espositori di Paolo apostolo (Epist. ad Ephesios). S’è notato, nella nota al v. 71, che Diana è chiamata Ὄπις, Cura divina, e gli inni a Diana diceansi per questo οὔπιτγοοι ὄνπιτγοι1, e si legge nelle iscrizioni (Tes. grut ., xli, 8) «Diana Opifera». Ma questi nomi o non sono primitivi, o non sono suoi propri ed esclusivi, come il nome di cui diremo poi.

Tornando a’ primi riti della dea, tutti sono barbari e non dissimili a’ suoi nomi. Archi, belve, uccisioni, lire, tripudi, celebri ed acuti ululati (Inno a Venere, attribuito ad Omero, v. 19): ed a’ tempi de’ romani restava ancora il rito degli ululati (Virg., eglog. iii, v. 26; e Servio, ivi); uso disceso sino da’ tempi iliaci: Eneid., iv, 609:

Nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes.


Origine di sí fatte cerimonie ne’ trivi parmi l’antico uso e piú naturale di piantare il simolacro de’ numi su le strade a cielo scoperto, e di coprirlo con rami d’alberi; onde il vecchio poeta romano: «Fascetiti’ tempia Dianae» (Lucilio, frammenti, lib. iii, 13). * Per religione antichissima s’appendevano i rastri e gli aratri ne’ quadrivi. Persio, Sai., iv, 28:

... Quandoque iugum pertusa ad compita figit *.


Al che è posteriore la magnificenza degli edifici divini. Priapo e Pane, dèi rusticani, serbarono assai tempo le adorazioni alla scoperta, dalle quali venne, come s’è detto nella nota al v. 59, il nome di «Diana Trivia». Ma il nome tutto proprio a Diana è quello di «cacciatrice»; e che, unito alle precedenti congetture, prova ognor piú l’antichitá di questo nume. Se sieno nati [p. 282 modifica] nello stato ferino i mortali, o tornati dopo grandi rivoluzioni dell’universo, non è questo il luogo di disputare. Credo bensí certo che allo stato ferino succedesse la caccia, e gli uomini ebbero quindi d’uopo di dèi «predatori». Onde tutte le statue di Diana serbano un che di selvaggio; e fu detta «dio cacciatore», appunto perché le umane menti sogliono venerare il dio aiutatore nelle loro necessitá, e lo vestono de’ propri attributi. Da’ primi sacerdoti della dea derivarono i miracoli de’ cacciatori uccisi da Diana per non avere offerta parte della preda alla infingarda voracitá sacerdotale; onde la favola di Adone, uno degli Argonauti ucciso da’cinghiali (Ovid., in Ibim, v. 505), di Ati sirio, di Ati arcade, sbranati per vendetta di Diana (Plutarco, in Sertorio), e la miseranda metamorfosi del cacciatore Atteone, il quale fu morto forse da’ sacerdoti per avere svelati i loro misteri: però si dice ch’ei vide ignuda la dea.

Ora i riti sono tutti di religione selvaggia, ma, pel vigore delle genti, né inoperosa né malinconica. Eguali a’ riti ed a’ devoti sono i sacritfici. Feroci pervennero sino dall’etá della guerra troiana, poiché Diana solo dei numi godeva, anche fra’ popoli inciviliti, di sangue umano, e tutti gli altri sacrifici d’uomini, che negli antichi poeti si leggono, sono inferie fatte agli eroi morti dagli alleati amici o parenti. E qui dirò le cagioni, inosservate dagli interpreti di Omero e de’ tragici greci, nel sacrificio di Ifigenia. Spiaceva (come succede in tutte le leghe) a’ piú de’ re greci che il capitanato stesse in mano di Agamennone; e, poiché surse tempesta in Aulide ov’era l’armata, Calcante, profeta e primate fra’ greci, congiurando con gli altri, affermò adirata la diva per una cerva ferita da Agamennone, né potersi propiziare la navigazione senza il sangue degli Atridi. Achille, potentissimo, dovea sposare Ifigenia, e si temeva non la parentela de’ due prepossenti regi riuscisse dannosa agli alleati; e sarebbesi rotta, ove la vergine fosse immolata. Che se Agamennone per paterna pietá ricusava, l’impero sarebbe caduto in altre mani. Vinse l’ambizione; e la morte d’Ifigenia fu poi perenne sorgente dell’«ira fatale» fra gli Atridi ed Achille. Cosí a Diana venne il nome di «scitica»; e fu sempre temuta come nume compiacentesi di umano sangue. Servono i principi ai tempi, ed i sacerdoti a’ principi. La necessitá di un iddio terribile fe’ trasferire in molte repubbliche il nume «scitico». Cangiati i tempi, si cangiarono i sacrifici; e Licurgo compensò le umane vittime con i flagelli (Pausan, in Atticis; Cic., [p. 283 modifica] Quaest. tusc., lib. ii, cap. 14). Numa, intento ad incivilire i romani, razza di masnadieri, ricusò anch’egli l’umano sangue alla dea, che si dice trasportata in Italia da Oreste (Ovid., Metam., xv, 481 e sg.; Lil. Giraldi, Syntag., xii). Ma, per adonestare presso a’ popoli ancor feroci questi miti sacrifici, si favoleggiò la cerva sacrificata sotto sembianze della vergine Ifigenia; e, per mantenere il terrore, fu il simolacro tenuto ne’ luchi, ed appagato di molte vittime, * sino dal tempo di Teseo: onde Virgilio, nel bellissimo episodio del viaggio d’Ippolito in Italia, 400 anni prima dell’èra di Romolo * (En., vii, 763):

          ... Egeriae lucis, Hymettia 2 circum
          litora, pinguis ubi et placabilis ara Dianae.

* Vedi anche Ovid., Metamorf., lib. xv *.

E per lungo ordine i sacerdoti si successero in Roma tutti barbari di nazione; disfidati da altro sacerdote, doveano combattere, ed il sacerdozio rimaneva al vincitore. Vedeasi in Sagunto di Spagna, sino da due secoli prima della guerra troiana (Plin., lib. xvi, cap. 40), un tempio di Diana trasportata dalla mia Zacinto.

Artemide s’è detto poc’anzi essere il nome proprio di Diana presso i greci, ed ha la etimologia dalle parole ἀέρα τέμνω). Presso i romani il regno dell’aria spettava a Giunone, Iuno. Ma Diana e Iuno vennero da un nome solo. Macrobio, Saturn., lib. i, cap. 9: «Pronunciavit Nigidius Apollinem Ianum esse. Dianam Ianam, apposita D litera, quae saepe I literae caussa decoris apponitur: ut ‘reditur’, ‘redhibetur’, ‘redintegretur’et similia». Oltre a questa etimologia, che divide fra Giunone e Diana il regno dell’aria, due altre, derivanti pure dal Lazio, confermano l’antichitá di questa dea. Diana viene da dies; e s’è veduto che si chiamava Lucifera; onde Lucifero appunto dagli italiani è chiamato «Stella Diana», chiamata anche da Plotino ( Ennead., lib. vi) «Iunonis stella», e da Platone nel Timeo: Δύο δε ἰσόδρομοι Ἀελίῳ ἐντὶ, Ἑρμᾶ τε καὶ Ἥρας τῆς Ἀφροδίτης καὶ Φωσφόρον τοὶ πολλοὶ καλέοντι. «Due astri vanno con corso al pari col Sole. L’astro di Mercurio e di Giunone, che da molti Venere e da altri Lucifero è detto». Anzi Plinio (lib. i, 8) la chiama «stella d’Iside e della madre degli dèi». Ecco la derivazione del nome Lucina, dato alla diva invocata ne’ parti, comune a Giunone ed a Diana: quindi è celebrato ne’ poeti (Callim., in Diana, v. 228; [p. 284 modifica] Virg., Eneid., i, v. 20) il culto che ambedue godeano in Samo. Da questa idea speciale si risali alla solenne, poiché, venendo a’ latini dal Ζεύς de’ greci la voce «Deus», e quindi «Diespiter», «Giove», la voce «Diana» suona divinitá universale ed eterna.

Onde questa confusione di nomi deve essere distinta dalla filosofica osservazione della storia. Idee metafisiche sono il Caos, l’Amore, la dea Notte, il dio Cielo, ecc., come infatti si leggono in Esiodo, in Ovidio e ne’ poeti teologi dell’antichitá: da queste deitá universali nasce Saturno (Κρόνος, il Tempo), Giove, Latona, Febo, Diana, ecc. Volgasi l’ordine; e si troverá Diana, Giove, Saturno, ecc., sino alla idea universale e la filosofica del Caos: il quale ordine ci condurrá alla progressione della storia umana: cacciatori, principi-sacerdoti, sacerdoti, apoteosi, poeti-teologi, filosofi. Onde non è meraviglia che il dio cacciatore, quantunque dotato d’infiniti attributi, tutti provenienti dalle prime idee del genere umano, sia poi divenuto ultimo nella teogonia del cielo. Ed ora è Diana nutrice di tutte le cose, ora è appena figliuola di Giove, cultrice delle montagne. Ma drittamente videro gli antichi greci, i quali col nome promiscuo di θεός, dio, chiamarono gli dèi e le dèe; il che s’è notato con esempi ai vv. 7-10. Anzi Servio (Eneid., ii, 632) cita un sitnolacro di Venere barbata, col corpo e veste femminea, con natura e scettro virile. * Cosa notata quasi con le stesse parole anche dall’amico suo Macrobio nel terzo de’ Saturnali (cap. 8), ove cita l’autoritá di Aristofane, ed il seguente passo di Levino: «Venerem igitur almum adorans, sive foemina, sive mas est, ita uti alma noctiluca est» *.

L’attributo di perpetua virginitá, tutto proprio di Diana, discende dagli antichissimi matrimoni dello stato selvaggio e geloso. S’è detto in nota ai vv. 72-6 che «vergine» suona «sposa giovine». Cosí «casta» suona «fedele»: onde Catullo nel nostro poemetto (v. 83): «Casto petitis quae iura cubili»; e nell’epistola ad Ortalo da noi tradotta (v. 20) chiama «casto» il grembo della donzella che medita furti amorosi. Cosí dunque s’hanno ad intendere gli attributi di castitá e di virginitá cantati alla diva. Nell’Inno a Venere, attribuito ad Omero (v. 16), cantasi che l’amorosa dea non domò Diana col riso e con gli scherzi; e quel passo va interpretato col costume de’ matrimoni primitivi. * «On a fait Diane ennemie de l’amour, et l’allégorie est très-juste; les tangneurs de l’amour ne naisseni que dans un doux repos; un violent exercice étouffe les sentimens tendres». J.-J. Rousseau, Èmile, lib. vi, verso la fine*. [p. 285 modifica]

Gli assiri e gii egizi, antichissimi popoli, adoravano Diana o la Luna, poiché Semiramide nella medaglia degli ascalomti, riportata dal Noris ( Epoche de’ siromacedoni, dissert. v, cap. 4), è figurata con la Luna crescente sul capo, associando al culto della Luna la famiglia dei principi; del che si parlerá nella Considerazione nona. * Filocoro presso Macrobio (Saturn., lib. iii, cap. 8) afferma che la Luna avea gli attributi di Venere *. Tralascio gli altri culti di Diana presso gli assiri, poiché discesero a noi da un’etá men lontana di questa.

Rispetto agli egizi, la loro Iside è rappresentata or con le corna, or con la luna crescente, or con grandi mammelle, or col sole e con la luna sul petto; e s’è dimostrato dal Pluch ( Histoire du Ciel, tom. ii) ch’ella è l’Artemide de’ greci e la Diana de’ latini; il dio insomma rappresentante la Natura. * Parla Erodoto di una solennitá anniversaria in Egitto celebrata a Diana Bubaste, pari alle orgie de’ greci, e dove concorrevano piú di 700,000 uomini, e le mummie de’ gatti di tutto l’Egitto. Vedi anche la Dècade egyptienne, n° 5, p. 135*. E, poiché Diana fu adorata nei luchi alla scoperta, come sopra è detto, però le viene ne’ marmi il nome di «dea nemorensis», del cui tempio parlano Strabone (lib. v) e Filostrato (nella Vita di Apollonio ); e Seneca, per tacere di Virgilio e di Orazio, la chiama ( Ippolito, verso 406) «regina nemorum»; cosí io credo che i luchi proibiti nel Deuteronomio (xvi, 21), nell ’Esodo (xxxiv, 13) e ne’ libri De’ regi (iv, xviii, 4) fossero d’Iside o Diana. Ma, per mostrare come gli ebrei, antichissimo popolo, non abbiano traslata ne’ paesi invasi questa religione, di cui pur s’erano imbevuti in Egitto, non abuserò di aiuti soprannaturali, poiché l’umana ragione ci guida bastantemente. Volle Mosè di tanti schiavi, razza di stranieri rifuggiti per fame in Egitto e domiciliatisi poi per l’abbondanza, fare un popolo. Né di schiavi si fa popolo, senza mutar loro quella seconda natura, creata dal lungo costume negli uomini. Ond’ei si giovò delle reliquie dell’avita religione, e scrisse la Genesi per insuperbire gli ebrei dell’antica gloria e della schiatta celeste. E, per costituire un popolo feroce ed intollerante, rappresentò un Iddio sterminatore e feroce, perché la religione è l’immagine de’ costumi e dell’indole d’ogni nazione. Ove l’ebrea religione fosse stata tollerante, non avrebbero essi potuto con tanta ferocia derubare ed uccidere gli egizi, ed, usciti d’Egitto, acquistar nuove terre con la strage de’ popoli amici e nemici. Male gli scrittori tacciano queste opere [p. 286 modifica] di crudeltá, le quali sono, dati que’ casi, di alta sapienza politica. Mosè voleva assuefare gli ebrei a rispettare se stessi, odiando e spregiando tutto il genere umano; gli astrinse quindi a vivere nel deserto, accattando la vita col ferro e col fuoco; e nel deserto scrisse gli statuti criminali e le leggi mandate da Dio; nel deserto, lontano dalle orme di tutti i viventi, fondò i fasti, la teologia e la politica di quel popolo. Anzi, perché non restasse vestigio de’ costumi e delle religioni egizie, egli fece spendere quaranta anni pel viaggio di pochi mesi, acciocché morissero tutti quelli che erano stati infetti degli stranieri istituti, ed entrassero ne’ nuovi regni i soli giovani, nati nel deserto ed educati ferocemente. Il che avvenne.

Stringo, e dico che tutte queste congetture, sebbene nulla ciascuna per sé, coacervate, mi sembrano di alcun peso per stabilire: 1° che Diana Trivia abbia questo nome per le prime adorazioni de’ mortali a questo nume della caccia, primo stato dell’umanitá; 2° che, moltiplicandosi le idee e le necessitá de’ popoli, si moltiplicarono gli attributi del dio cacciatore. Gli uomini dotti possono con questi indizi andare piú oltre nello studio della storia del genere umano. Per me poco ho detto, di moltissimo che avrei potuto dire: ma né io scrivo trattati, né stimo in fatto di erudizione grande merito il diffondersi, bensí il contenersi.

  1. Cosí l’ediz. del 1803, curata dal F.; gli edd. fior, corressero, non bene, in Ὄπύμνοι (sic). Forse va letto οὔπιγγοι? [Ed.].
  2. * Altri leggono «humentia» *.