La Colonia Eritrea/Parte I/Capitolo VIII

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Capitolo VIII

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CAPITOLO VIII.

(1890).




Il generale Orero — Mangascià prevale nel Tigrè contro il legato imperiale e contro gli altri pretendenti — Menelik in marcia per il Tigrè — Marcia di Orero su Adua — Sua ritirata — Convegno di Ausen — Doppiezze ed inganni di Menelik — Ritorno di Menelik nello Scioa — L’articolo 17 del trattato d’Uccialli contestato da Menelik — Dissidi tra Antonelli ed Orero — Rimpatrio del generale — Il generale Gandolfi primo governatore dell’Eritrea — Prima vittoria italiana di Agordat contro i dervisci.


Mentre l’Italia estendeva i suoi domini fino a quella linea Mareb-Belesa-Muna, che fu ritenuta da allora in poi la frontiera indispensabile alla nostra colonia, ras Mangascià prevaleva contro degiacc Seium rappresentante di Menelik e stabiliva il suo dominio sulla maggior parte delle antiche provincie tigrine, disconoscendo ogni autorità del Negus.

Ciò valse a determinare Menelik a muovere finalmente contro il Ras per sottomettere il Tigrè, farsi incoronare in Axum ed affermarvi la sua autorità imperiale.

Il generale Orero, avuta la certezza che il Negus era già arrivato al lago Ascianghi, nell’intento palese di prestargli man forte e di facilitare la sua missione, secondo le [p. 55 modifica]istruzioni del Governo, ma più specialmente con quello occulto di imporsi militarmente nel Tigrè e di trovare l’occasione di prendere contro ras Alula una rivincita di Dogali, determinò di eseguire la famosa marcia su Adua.

Postosi alla testa di circa 6000 uomini tra italiani ed indigeni e con 6 pezzi di artiglieria e con tutti i relativi servizi, il generale Orero s’avanzò arditamente oltre il Mareb per la via di Gundet, ed il 26 gennaio del 1890 tra le accoglienze festose della popolazione e del clero entrava nella capitale tigrina ove commemorava il terzo anniversario dell’eccidio di Dogali.

Intanto Toselli, il futuro eroe di Amba-Alagi, si spingeva colle sue truppe fino a Makallè.

Ma l’impresa di Orero, che era stata tuttavia approvata da Maconnen mentre era ancora residente a Massaua, fu giudicata temeraria e compromettente verso il Negus dal conte Antonelli, anch’egli residente nella colonia; il quale timoroso dell’ardimento del generale, e di complicazioni che compromettessero gli effetti della sua politica, riuscì a provocare dei contrordini dal Governo che indussero Orero a ritirarsi al di qua del Mareb. Questi alcuni giorni dopo si ritirava da Adua, lasciandovi quale suo rappresentante ras Sebath, capo alleato dell’Agamè.

Frattanto Menelik dopo aver avuto un piccolo scontro con Mangascià, giungeva a Makallè verso la metà di febbraio e procedeva quindi lentamente verso Adua, mentre il [p. 56 modifica]Ras tigrino, con Alula, campeggiava nel Tembien.

Parve che Menelik rimanesse poco edificato e tutt’altro che sicuro del contegno delle popolazioni tigrine, le quali non tralasciarono alcuna occasione di mostrare il loro odio e disprezzo per gli Scioani; sì che giunto nelle vicinanze di Ausen (tra Makallè ed Adua) si soffermò nella sua marcia, rinunziando alla vagheggiata incoronazione nella città santa di Axum.

Incontro al Negus, e scortato da ras Sebath, mosse allora l’inviato diplomatico italiano conte Antonelli, per assistere alle trattative che dovevano disporre del Tigrè, e dei confini della nostra colonia.

Sebath e Antonelli credevano di aver già in mano i frutti della loro opera a favore del Negus, ma un’amara delusione li aspettava.

Menelik sebbene, ricevendo Maconnen di ritorno dall’Italia, ne avesse approvato la condotta, e ratificata la convenzione addizionale al trattato di Uccialli, quando vide impossibile sottomettere e spodestare colla forza Mangascià cui i Tigrini e Alula restavano costantemente fedeli, venne segretamente con lui a trattative, ricevendolo anche personalmente ad Ausen, giocando così malamente il nostro inviato diplomatico ed il suo alleato Sebath.

Senza neppure aspettare i costoro consigli Menelik dispose del Tigrè a suo talento, assegnando a Mangascià la parte occidentale, a Seium quella orientale, compreso l’Agamè, ed interponendo fra essi e la colonia Eritrea con residenza ad Adua, un altro capo scioano chiamato Mesciascià Uorchiè. [p. 57 modifica]

Sebath quando seppe così disposto del suo dominio fuggì segretamente dal convegno di Ausen, recandosi a contrastarne il possesso e ad apprestare la difesa; Antonelli invece dovette ingoiare la pillola, e rassegnarsi alle disposizioni di Menelik.

Anche la delimitazione italiana secondo la linea Mareb-Belesa-Muna, voluta dal Governo e corrispondente allo stato di fatto, come accennava la convenzione addizionale, non potè effettuarsi per l’opposizione che trovò nei Ras e nel Negus; il quale, premendogli di ritirarsi al più presto dal Tigrè, si limitò a nominare dei delegati scioani che, insieme a Mesciascià, ad Antonelli e ad altri delegati da nominarsi dall’Italia, si accordassero circa i predetti confini. I delegati scioani ebbero l’intesa di concedere come linea di confini quella di Siket, con esclusione dell’Okulè-Kusai e del Seraè che erano già occupati e posseduti dai nostri; e per meglio riuscire nel loro scopo essi cercarono di invadere, con truppa armata, questa regione; ma ne furono impediti dai Delegati per l’Italia1, i quali non solo si opposero energicamente all’effettuazione di un tale disegno, ma non vollero neppure intraprendere alcuna trattativa che non avesse per base la linea del Mareb-Belesa-Muna; lasciando ogni cosa impregiudicata fino ad ulteriori pratiche da farsi presso Menelik.

Questi frattanto si ritirava frettolosamente [p. 58 modifica]allo Scioa e lo accompagnava il Degiacc Seium, il quale facendo di necessità virtù, rinunziava a Sebath e ad altri capi le provincie orientali del Tigrè, che erano state a lui assegnate, ma che gli altri possedevano effettivamente e si apprestavano a difendere a tutt’oltranza.

Il subdolo contegno tenuto dal nuovo Negus nel convegno di Ausen, palesò apertamente la sua malafede e la sua doppiezza. Ottenuta la corona imperiale cogli aiuti e col consenso dell’Italia, la ripagava della più aperta ingratitudine, mancando a tutti gli accordi convenuti.

Cominciò inoltre a sollevare obbiezioni circa l’articolo 17 del trattato di Uccialli, col quale si era obbligato a servirsi dell’Italia come intermediaria nelle relazioni internazionali, ed a riconoscerne così il protettorato sull’Etiopia, adducendo per iscusa che tale articolo era stato tradotto male dal testo amarico da lui approvato.

Quale importanza egli annettesse a quel trattato già lo mostrava il fatto che fino dal 14 dicembre 1889 aveva già violato l’articolo predetto comunicando direttamente alla Germania ed alla Francia, il suo avvento al trono d’Etiopia. E sebbene poi in seguito alle premure dell’Antonelli ed alle sollecitazioni del Governo italiano, Menelik acconsentisse, mentre era ancora nel Tigrè, a farsi rappresentare dall’Italia ad una conferenza internazionale a Brusselles, lo faceva più specialmente perchè in tale conferenza l’Italia avrebbe fatto [p. 59 modifica]riconoscere il diritto d’importare armi in Abissinia.

Malgrado tuttociò il governo italiano prestò l’opera sua ad insediare in Adua il rappresentante imperiale Masciascià Uorchiè, incaricandosi anche, senza poterne poi avere alcun compenso, di somministrargli viveri ed altri aiuti in omaggio a quella politica scioana che il Negus sfruttava tutta a suo vantaggio.

I gravi ed aperti dissensi sorti tra il conte Antonelli ed il generale Orero relativamente alla nostra politica coloniale, determinarono quest’ultimo a chiedere il rimpatrio, ed in sua vece nel mese di giugno 1890 veniva inviato a Massaua il generale Gandolfi che assumeva per primo il titolo di Governatore dell’Eritrea.

L’opera del generale Orero nella nostra colonia fu breve, ma rimase segnalata per la ardimentosa marcia compiuta con grande perizia su Adua, che affermò per la prima volta il potere dell’Italia nella capitale tigrina.

Nell’amministrazione interna della colonia e nelle relazioni colle tribù arabe circonvicine, egli seguì le tracce del suo predecessore, adoperando una politica conciliatrice ed energica che si acquistò il rispetto e la stima di tutti.

Fu sulla fine del suo periodo di comando, cioè nel giugno 1890, che comparvero in scena per la prima i dervisci contro la colonia.

Un migliaio circa di essi erano penetrati tra i Beni Amer nostri dipendenti, predando, uccidendo e devastando il paese. Il capitano Fara, mosso da Keren ad incontrarli, li [p. 60 modifica]sorprendeva poco lungi da Agordat sul Barca, e li attaccava alla baionetta sbaragliandoli completamente, uccidendone oltre a 250 e togliendo loro il bottino ed i prigionieri che trasportavano.

In seguito a questo fatto Agordat divenne da allora il nostro posto avanzato sulla frontiera verso il Sudan.






Note

  1. Tra questi Delegati era il futuro eroe di Amba Alagi capitano Pietro Toselli.