La birba/Parte II

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Parte II

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Parte I Appendice
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PARTE SECONDA1.

SCENA PRIMA

Cecchina da orbetta.

Cecchina.   Via, con l’orbetta

  Siè generosi,
  Mostreve pietosi
  No me abbandonò.
  Chi me dà un soldo?
  Chi me dà un bezzo?
  Qualcossa buttè2.
O poveretta mi, xe più d’un’ora
Che stago a chiappar freddo,
E ’l primo soldo non ho visto ancora.
(M’affatico a parlar in veneziano,
Che un tal mestier non fa perfettamente
Chi la favella ed il vestir non mente.
L’arte di cavamacchie
M’è andato male assai,
Onde quest’imparai
Nuovo mestier da certa vecchiarella
Che con simil finzion vive ancor ella.
In fatti mi contento. In pochi giorni
M’avanzai tal dinaro,
Che alle miserie mie può far riparo.
Oh se mi capitasse
Un qualche buon partito,
Vorrei pigliar marito, e benchè fosse
Molto inferiore alli natali miei,
Senza riguardo alcun lo piglierei).

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SCENA II.

Orazio e detta.

Orazio. Fate la caretate

A chisso pover’omino 3
Ch’è tutto sgangherato
Nelle gambe, e le braccia stroppeato.
Datemi no carlino,
Che canteraggio na canzuna4 bella
Napoletana sopra na citella.
  Bella figliama, se bolete,
  Ve daraggio lo mio core,
  Songo tutto, già Io sapete,
  Arso strutto pe’ vostro amore5.
 
Che voi siate consorte mia.
Anemo, via segnuri,
Na lemosena fate. (Oh che bel volto!
Da una cieca gentil lo storpio è colto6)
Cecchina. Alla povera orbina
Chi fa la carità?
Orazio.   (In questo stato7
Costei rassembra il cieco Dio bendato).
Cecchina. (Questo stroppio mi viene
A dimezzar la preda).
Orazio. Bella figliuola mia, dime no poco,
Sei de chisso paese?
Cecchina. Veneziana, sior sì.
Orazio.   (Com’è cortese!)
Sei zita, o maretata?
Cecchina. So una povera putta.
Orazio. Perchè no te marite?

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Cecchina. Perchè per mia desgrazia no ghe vedo.

Orazio. Se bè che no ce vide,
Se te vuoi maretà 8, te piglieraggio.
Cecchina. Ma vu no seu stroppià?
Orazio.   Siente, fegliola 9,
No secreto t’affido, ma sta zitta.
Io non songo stroppeato,
Ma chissa è na fenziune
Pe ingannà le persune 10,
Se no lo cride, aspetta in un momento
lo jetto le stampelle, e san deviento.
Cecchina. Oh cossa séntio mai!
Orazio. E per narrarti il tutto,
Non son napoletano,
Ma son figliuo! d’un galantuom romano 11.
Cecchina. Vu sè donca una birba?
Orazio.   In questo modo
Cento scudì avanzati ho nel taschino;
Se voi vi contentate,
Sarò vostro marito.
Ah se voi mi vedeste,
So certo che di me vi invogliereste 12,
Cecchina. Per dirvela, signore,
Io già cieca non sono,
Ma fingo come voi.
Orazio.   Ciel, ti ringrazio!
Mi vedete voi dunque?
Cecchina. Io vi vedo benissimo.
Orazio. Volete esser mia sposa?
Cecchina. Io son contenta. Ma...
Orazio.   Che ma?
Cecchina.   Quel volto

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Sì sporco, e quel vestito da birbante...

Orazio. Eh mi vedrete poi bello e galante,
Cecchina. Io non voglio più far vita sì trista.
Di già ch’ho la mia vista,
E voi stroppio non siete,
Qualche miglior mestier vuò che facciamo,
E che il mondo godiamo.
Anch’io tengo una borsa di denari;
L’impiegheremo assieme.
Voglio che ci13 vestiam da cortigiani.
Orazio. E poi dopo14 faremo i ciarlatani.

SCENA III.

Lindora e detti.

Lindora.   Chi ha drappi vecchi, (di dentro

  Chi ha veste vecchie,
  Chi ha coridoro15 vecchi
  Da vender?16
Orazio. È questi un strazzaruolo:
Uno che compra e vende li vestiti;
Comperarne vorrei, s’egli l’avesse,
Un per voi, un per me.
Cecchina.   Giove il volesse!
Lindora.   Chi ha capei vecchi,
  Chi ha rami vecchi
  Da vender?
Orazio. Caro amico...
Lindora.   Andè in pase,
Che mi no gh’ò monea.
Orazio. Io già la carità non vi chiedea.

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Ditemi, avreste niente

Che m’andasse alla vita?
Lindora. Son strazzariol, ma mi no vendo strazze.
Orazio. Ed io straccie non compro.
Un abito vogl’io da cavaliero.
Cecchina. Ed io da gentildonna uno ne voglio.
Lindora. Vare che musi! Dove gh’aveu i bezzi?
Orazio. Questi qui sono scudi.
Cecchina. E questi son zecchini.
Lindora. Quando la xe cussì, gh’avè rason.
Ve mostro un per de cai, ma su la giusta 17.
Vardè sto abito intiero,
El xe niovo de pezza,
Fatto all’ultima moda,
E su la vostra vita el par tagiao;
Si lo volè, vel dago a bon marcao 18.
Orazio. Questo saria a proposito.
Quanto costa? Non dite uno sproposito.
Lindora. A pian, che vôi che femo un sol contratto.
Sto andrien19 per sta patrona
Saria giusto una mana 20,
E la lo poi portar senza sottana.
Cecchina. E questo quanto val?
Lindora.   Poche parole
Vói che femo tra nu:
Cento ducati in tutto.

Cecchina. Hu hu hu hu!
Orazio.
Lindora. Via, no ve fe paura,

Me remetto alle cosse del dover.
Orazio. Vi do cinquanta scudi.
Lindora.   In ogni forma

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Vôi cho restè contento:

Tiolè la roba, e deme i bezzi.
Orazio.   In questa
Borsa sono, contate.
Lindora.   In t’una occhiada
Ve so dir se i xe giusti.
Orazio. Andiamo all’osterìa
Dove alcun’altra bagattella io tengo
Adattata al bisogno. Indi alla Piazza
Andremo immantinente,
E faremo stupir tutta la gente.
Cecchina. Andiamo, che ancor io
Mi voglio pone in buona positura,
E in Piazza voglio far la mia figura. (partono

SCENA IV.

Lindora sola.

Lindora. Chi l’averave dito

Che do pitochi avesse tanti bezzi?
Cussì anca mi, cantando canzonette,
Ho fatto quattro soldi,
E me son messa a far sto bon mistier,
Con el qual delle volte, in un momento,
Se ghe pol vadagnar cento per cento.
Però sto capital tutto no è mio,
Che no gh’ò tanto al mondo,
E sti abiti stessi
Che in sto ponto ho vendui,
In credenza i ho abui,
Come saver se puol,
Da quel mio sior compare strazzarìol.
Da omo m’ho vestio,
Perchè se mio mario

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Me cognoscesse, gh’averia paura

Che despoggiada resteria a drettura.
Benchè, quando ghe penso,
Me vien da pianzer. Povero mario,
El sarà andà de mal;
El sarà in sepoltura, o all’ospeal.
Questo è el solito fin de chi voi far,
Come che se sol dir, d’ogni erba un fasso,
Perchè chi no mesura
El voler col poder, puoco la dura.
  Quanti quanti paregini21
  Tutti gala e tutti mina22
  Dopo aver fenio i zecchini,
  A magnar la polentina
  Xe redotti ai nostri di!
  Se sguazza, se gode,
  Se osserva le mode,
  E zo a tombolon
  Co23 no se pol pì24.
Ma cossa vedio mai?
L’abito che ho venduo, lo vedo adosso
De Orazio mio mario.
Lu è quel che l’ha comprò, lu xe el pitocco,
E Cecchina sarà forsi culìa 25.
Me voggio retirar,
E in desparte ascoltar vôi quel che i dise.
Orazio xe alla fin le mie raìse 26. (si ritira 27

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SCENA V.

Orazio, Cecchina e detta ritirata.

Orazio. Cara Cecchina mia, giacchè la sorte

Ci fa trovare assieme,
Stiamoci in buona pace.
Cecchina. Signor fratello mio, quel che vi piace.
Di venire con voi non mi ritiro,
E vi starò lieta e contenta ognora,
Purchè assieme con voi non sia Lindora.
Lindora. (Sentì che petulante!)
Orazio.   Eh non temete,
Alla moglie scacciata io più non penso:
Vadi 28 pur a cantar le canzonette.
Lindora. (Che razze maledette!)
Orazio. Ce la farem tra noi, cara sorella.
Lindora. (Adess’adesso ghe la vôi far bella).
Orazio. Orsù, montiamo in banco:
Voi col cantar il popolo attraete;
Ed io, come sapete,
Venderò quel vital contraveleno,
Ch’io già composi di farina gialla,
Miele, vitriolo e galla,
Ch’è quel composto che si vende a maca 29
Dai ciarlatani, in nome di teriaca.
Cecchina. Quanto rider io voglio!
Orazio.   Andiamo al banco;
Se capitasse un qualche fazzoletto,
Che fosse buono assai,
Mettetelo in saccoccia,
E a chi ve lo cercasse poi, direte
Ch’egli si è perso, ed altro30 non sapete.
Su via, signora Olimpia, a sti signori

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Diamo divertimento.

Oggi non parlo di medicamento.
Cecchina.   Che bella vita è quella dei birbanti:
  Si gode il mondo a spalle dei baggiani.
  Si mangia e beve senza aver contanti,
  Ed oggi non si pensa per dimani. (canta
Orazio. Adess’adesso canteremo il resto.
Signori, in questo giorno
D’interesse non parlo.
Questo è l’arcano mio: chi vuol comprarlo?
Costa un ducato al vaso,
Ma viva lor signori,
Più resister non posso:
Vi do per dieci soldi il vaso grosso.
A che serve? A che vale?
Eccovi la ricetta:
Vivifica, purifica.
Fa buona pelle, scalda, scaccia, e sana
Ferite, maccature,
Botte, percosse, calci di cavallo.
È buon per tutti i mali,
E con celerità guarisce i calli.
Quelli che son vicin, lunghin la mano;
Chi è da lontan, mi getti il fazzoletto.
Signori, io vi prometto,
Che sarete contenti.
Oltre l’altre virtudi, io cavo i denti
A suon di campanello,
Meglio che non faceva il Padoanello31.
Lindora. Siori, no ghe credè, che’l xe un furbazzo,
Credème a mi, son vostro patrioto.
Mi son a tutti noto,
Gh’ò posto in Piazza, e gh’ò bottega vecchia,

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E cavo denti meggio de Scarnecchia.

Da tutti i forestieri
Ch’el mio valor contrasta,
Me defendo col nome, e tanto basta.
  El mio balsamo è perfetto,
  El fa sempre bon effetto:
  Torototò, tintiti
  Purrichinella che dixe de sì.
Orazio. E chi è quel temerario
Che ardisce tanto?
Lindora.   Tasi, che debotto32
Sbianchisso 33 i petoloni34.
Cecchina.   Che arrogante!
Sfidatelo a pigliar qualche veleno.
Orazio. Briccone, ad un mio pari
Si parla in tal maniera?
Ho il privilegio del gran Can de’ Tartari,
E il mio saper profondo
Già mi rese famoso a tutto il mondo.
Lindora. Di’ pur quel che ti vuol, mi te cognosso.
Siori, saveu chi l’è? L’è un tal Orazio,
Che xe vegnuo da Roma,
Dopo aver consumada ogni sostanza,
Dopo aver maltrattada so muggier.
Con culìa, che è Cecchina so sorella,
Va caminando el mondo,
E facendo el mistier del vagabondo.
Cecchina. (Oimè, siamo scoperti!)
Orazio. È un mendace costui, nessun gli creda.
Lindora. Acciò che tutti veda,
Che quel che digo xe la verità,
Mi son Lindora; mi son to muggier.

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Orazio. a due Oh oh, che sento mai!35
Cecchina.
Lindora. Mi son quella, furbazzo,

Che t’ha vendù quei abiti
Co ti finzevi d’esser un pitocco,
E quella scagazzera... 36
Cecchina. A me questo? Guidona,
Aspettami che vengo.
Lindora. Vien pur, che za t’aspetto.
Te vói maccar el muso.
Orazio. Presto, presto, fermate.
Cecchina. Eccomi. ’
Lindora. Vien avanti.
Orazio. Vi fate svergognar dagli ascoltanti.
Lindora. Questo qua xe mio mario.
Cecchina. Egli è ancora fratei mio.
Orazio. Tutte due ragione avete.
Che volete?
Lindora. Che ti vegni a star con mi.
Cecchina. Che tu resti voglio qui.

Orazio. a tre La volete mai finir?
Lindora. La volemio
Cecchina. La vogliamo
Orazio. Meglio è dunque, donne care,

Che torniamo in compagnia.

Lindora. a due Con culìa no voggio star.
Cecchina. Con colei non voglio
Orazio. Dunque addio,

Lasciatemi andar.
Lindora. Oe fermève.
Cecchina. Non partite.

Lindora. a due Senza vu non voggio star.
Cecchina. Senza voi non voglio
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Orazio. O aggiustatela fra voi,
O vi lascio tutte due.
Lindora.+ Mi vdi esser la patrona.
Cecchina.+ Ancor io vuò comandar37.
Orazio.+ Faremo così,
Un giorno per una.
Vi basta?
Lindora. a due Sì, sì.
Cecchina.
Orazio. Cara consorte...
Lindora. Marito bello...
Cecchina. Dolce fratello...
a due Mi sento tornare
La pace nel sen.
Orazio. Andiamo.
Cecchina. Vi sieguo.
Lindora. Son vostra muggier.
Tutti.
Così il mondo caminando,
Diremo cantando
Che la Birba è un bel mestier.


Fine dell'Intermezzo.


Note

  1. Nell’ed. Valvasense (1735) questa è la Parte Terza.
  2. Nelle vecchie edd. segue: Via etc.
  3. Così Tevernin e Zatta. Nelle edd. precedenti: pover’homo o pover’uomo.
  4. Tev. e Zatta: canzona.
  5. Valvasense: vostr’amore. — E ’l mio core ecc.
  6. Valvas., Ghisl., Tev.: stroppio.
  7. Valvas.: Oh che peccato!
  8. Così Tev. e Zatta. Edd. precedenti: maretar.
  9. Valvas.: feliulla.
  10. Tev. e Zatta: fenzione e persone.
  11. Valvas.: Ma son, figliola, un galant’uom Romano.
  12. Valvas.: involgereste.
  13. Valvas. e Ghisl.: si.
  14. Valvas, e Ghisl.: doppo.
  15. Cuoi dorati.
  16. Ed. Zatta: Chi ha coridoro vecchi da vender?
  17. Un paio di capi, ma scelti. Vedi a pag. 33, n. 2 e vedi i Rusteghi, vol. XVIII, pag. 27.
  18. Tev. e Zatta: mercao.
  19. Più comunemente andriè: v. Molmenti, Storia di Venezia ecc. vol. III, p. 130 (ed. VI)
  20. Manna.
  21. Vedi a pag. 27.
  22. Vedi a pag. 24, n. I e 33, n. 7.
  23. Quando.
  24. Nelle più antiche stampe segue: Quanti etc.
  25. Colei.
  26. Le mie viscere: vol. II, pag. 20, n. d. Nel significato proprio: radici.
  27. Così nell’ed. Valvasense.
  28. Così tutte le edizioni.
  29. Così per la rima.
  30. Ghisl., Ter., Zatta: e d’altro.
  31. Valvas.: Paduanello.
  32. Quasi quasi.
  33. Sbianchir in lingua furbesca significa coprire, palesare un segreto.
  34. Mancamenti, magagne nascoste: vol. II, pp. 270 e 562.
  35. Zatta: Come! che sento mai!
  36. Merdosa: v. Boerio.
  37. Zatta: Ed lo pur voglio esser tal. Queste non sembra correzione del Goldoni, ma del tipografo.