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La castalda/Nota storica

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Nota storica

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La gastalda. Appendice - Atto III
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NOTA STORICA

Se a qualcheduno, preoccupato del luogo in cui si svolge l’azione della Castalda, frullasse di scrivere che intorno alla villeggiatura Goldoni compose non quattro ma cinque commedie, mettendo anche questa nel novero, sembra a me non avrebbe tutti i torti. L’ambiente scenico della Castalda è infatti nè più nè meno d’una villa, sul Brenta, di Pantalone; nè ciò è senza momento ne la trama, perchè quivi Florindo può avvicinare la sua Rosaura senza suonare il campanello, come dovrebbe in città: quivi, preavvisando o no, capitano e si fermano a loro agio gli amici, o magari degli scrocconi sul taglio d’Ottavio, e del non meno affamato suo servo Arlecchino; quivi a la sontuosa boria patrizia che suggerisce lo spreco d’ogni ben di Dio, e sostituita la liberalità a buon mercato di quella furba, indiavolata e civettuola Corallina (la castalda, o fattoressa e, se occorre, serva di Pantalone), che si propizia ognuno per fare poi alto a basso quello che vuole, ed essere in fondo lei la padrona di tutto e di tutti, compreso il padrone vero.

Se Goldoni però per le scene della sua commedia si propose uno sfondo villereccio, per quello che riguarda la figura della protagonista ebbe in mente le rare attitudini della famosa Maddalena Marliani, per la quale dettò inoltre la Serva amorosa e la Locandiera (V. Premessa nell’ediz. Paperini, e Memorie II, XIVMemorie di Carlo Goldoni); grande pregio codesto alla interprete, che gl’inspirò anche questi due capolavori. Ne la Castalda, parimenti che ne la Donna di governo e ne la Cameriera brillante, è quindi da vedere, secondo giudica a proposito Giuseppe Costetti (Bozzetti di teatro, Bologna, Zanichelli, 1887, pag. 190) «l’apoteosi della servetta festosa ed astuta che spadroneggia in casa e sfrutta in suo pro i senili ardori di Pantalone. Gli amori di Florindo con Rosaura, di Lelio con Beatrice sono già in seconda riga e occupano la scena soltanto a far maggiore il trionfo di Corallina, la quale aggiustatasi col vecchio consente magnanimamente a benedire con le proprie le nozze altrui».

Secondo le Memorie (II, XVI), Medebach avrebbe avuto in regalo dall’Autore la Castalda sullo scorcio del carnevale 1753; ma conviene piuttosto accogliere la data che nel tomo VII dell’ediz. Paperini, abbastanza prossima di tempo alla rappresentazione, e attenersi a quanto si legge nella Premessa della Donna vendicativa, dove Goldoni nomina per ordine tutte le commedie scritte per il S. Angelo. Ivi, nella serie, la Castalda segue immediatamente il Molière la cui data è sicurissima, essendosi recitato prima a Torino, quindi a Venezia nell’ottobre 1751. Perchè poi nel tomo VIII della paperiniana dove fu stampata la Castalda si rilevi, che fu recitata nell’autunno 1752 non si comprende, senza ammettere uno sbaglio al par di tanti altri, deliberati o no dall’autore affinchè ne ammattiscano i posteri, non esclusi i compilatori della edizione veneziana.

Così in cambio «di riformare la Commedia e d’intieramente rifarla» (Paperini, VIII, pag. 157), l’avesse egli ristampata tal e quale ci si offre nell’edizione Bettinelli, con la parte di Corallina in dialetto veneziano: perchè in questa edizione lo svolgimento si palesa assai più efficace, incalzante e simpatico che nella paperiniana. e il dialogo scorre vivace e disinvolto tanto da farci [p. 246 modifica]sul serio dubitare se sia vero che «pochissimo incontro facesse sopra la scena, quantunque la parte principale della Castalda fosse sostenuta dalla celebre Corallina, tanto ne’ fogli miei decantata e tanto universalmente applaudita»: parole di Goldoni (Paperini, VIII, ibid.).

Del resto, non conveniamo punto con lo Schedoni (Principii morali del teatro, Modena, 1828, pag. 46), il quale condanna la Castalda «per gli scherzi riprensibili»; nè tampoco col Meneghezzi (Della vita e delle opere di C. G., pag. 149), che ha l’aria di scandalizzarsi perchè Corallina dispensa generosamente a questo e a quello la roba non sua, e, peggio ancora, amoreggia con un servo che poi, com’è del suo interesse, abbandona per attaccarsi al vecchio e ricco padrone, ingattito di lei. Ma se è proprio la gloria di Goldoni aver portato alla ribalta uomini e donne quali veramente sono, cioè coi loro difetti e con le loro debolezze! Nè ci prenderemo la melanconia d’indagare con Marco Landau (C. G. In Beilage Z. Allgem Zeitung. Monaco, 1896, n. 52, 53) se il tipo della Castalda, egualmente che quello della Donna Vendicativa e della Donna di governo, trovisi già plasmato ne la Serva padrona del Nelli. Ma non ci sentiamo di mettere a fascio, come fa il Rabany (C. G. Le Théatre et la Vie en Italie au XVIII siecle, pag. 337), la Castalda con la Vedova scaltra e la Donna di Garbo, per poi cavarne la conclusione non peregrina che queste ultime due sono preferibili. Valutarla insomma tra le migliori col Reichel di Berlino (C. G. In seinem 200. Gerburtstage. Sonntagsblatt des Hannooerschen Couriers, 1907, n. 845), no; ma tra le mediocri, nemmeno.

Dal quale giudizio non ci rimuovono gli altri personaggi della commedia, che se anche non emergono come Corallina, fanno alla medesima comico e piacevole contorno. Per esempio quel Lelio, cui Beatrice, Corallina e la stessa Rosaura ne accoccano di belle, non è una gustosa macchietta con gli errori (Pantalone li battezza spropositazzi) di cui ingemma le sue amorose svenevolezze (Cfr. Schmidbauer. Das Komische bei Goldoni. München, 1906, pag. 109); quel Lelio, dico, tanto bene incarnato nella stessa Compagnia Medebach dal Landi (V. Notizie del Bartoli, che per una svista scambia Leandro per Lelio), e nel secolo scorso da Adamo Alberti, famoso altresì per la parte di Ludretto nella nota trilogia del Bon (Rasi. I Comici Ital., I, pp. 17-20)? Non parliamo poi di Pantalone (certamente nelle prime recite il celebre Collalto), sempre quel credulo bonaccione che conosciamo, e zimbello delle donne accorte; di Arlecchino che spiattella a Corallina con la più simpatica faccia tosta del mondo le tre pietanze al zorno che gli passa il suo padrone: Polenta, acqua e bastonade (A. I. Sc. I). Ed anche quest’ultimo, Ottavio, il nobile spiantato «che sopporta tutte le umiliazioni inflittegli per amor del desinare» (Falchi. Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pag. 104), non è forse un tipo schizzato dal vero?

Nessuna meraviglia perciò, che la commedia venisse accolta con favore al S. Luca di Venezia il 2 dic. 1796, quando fu di nuovo rappresentata dalla Compagnia Perelli; e, prima ancora, a Modena nel 1759, nel 1767 e nel 1857 (V. Miscell. modenese a C. G, pp. 237, 240, 241); a Zara nel 1767 dalla Compagnia Rossi col vecchio Duse (Dalmata, Zara, 27 febbr. 1907); nessuna meraviglia, ch’entrasse nel repertorio della R. Compagnia Sarda nel 1826 [p. 247 modifica](Costetti. La R. Compagnia Sarda. Milano, 1893); e che ricomparisse a Modena nel giugno, 1860, questa volta col sottotitolo: La Castalda veneziana o La fame supera la vergogna (Tardini. La Drammatica nel Nuovo T. Comun. di Modena. Modena, 1898, pag. 125); sottotitolo punto goldoniano e molto farsesco. Più tardi, ci consta soltanto della riproduzione dello Zago che la dà in veneziano, non potremmo garantire se a norma dell’ediz. Bettinelliana, come sarebbe desiderabile; ma certamente con l’amore, che il nostro capocomico pone in ogni sua esumazione del teatro goldoniano.

Nè la fortuna della Castalda s’arresta qui. Conta pure alcune versioni: delle quali però, a quanto mi scrive il più informato dei nostri goldonisti, Edgardo Maddalena, solo certa quella croata di B. Brusma, e che si recitò al teatro Nazionale di Zagabria il 29 ottobre 1908, protagonista la rinomatissima attrice Gram. E c’è financo un dramma giocoso ricavatone dallo stesso Goldoni, e musicato da Baldassare Galuppi; dramma che si rappresentò al nostro S. Samuele nel carnevale 1755 (Musatti. Dr. music, di C. G. e d’altri tratti dalle sue commedie, Bassano, 1900) e che venne replicato a Brescia col titolo: La serva astuta nella fiera d’agosto 1755 (Piovano, Bald. Galuppi in Riv. music. ital., 1908, e a pag. 64 dell’Estr.).

Finalmente va soggiunto che Goldoni dedicò la commedia al patrizio genovese Marcello Durazzo del fu Gian Luca «che ha le ricchezze in casa e le virtudi nel cuore»: e dal cui suocero, Girolamo, (leggesi nella stessa Dedica) ricevette molti benefici.

C. M.


Questa commedia fu stampata la prima volta dentro l’anno 1753, nel t. VII dell’ed. Bettinelli di Venezia, così come era stata recitata dalla compagnia Medebach: ma per la nuova stampa di Firenze, l’anno 1735 (ed. Paperini, t. VIII, (alsam. 1734), il Goldoni la rifuse, o meglio la rifece tutta quanta. Nel Settecento si ricordano a Bologna le edd. Pisarri (VIII, ’54) e Corciolani (XI, ’55), a Pesaro l’ed. Gavelli (VIII, falsam. ’34), a Torino le edd. Fantino Olzati (X, ’57) e Guibert Orgeas (XII, ’73). a Venezia le edd. Savioli (IV, ’70) e Zatta (cl. 2.a, IX, ’91), a Livorno l’ed. Masi, a Lucca l’ed. Bonsignori. - La presente ristampa fu condotta sull’ed. Paperini, curata dall’autore, e in Appendice offre per intero il testo men noto del Bettinelli. Valgono le osservazioni già fatte per le commedie precedenti.