La castalda/La gastalda. Appendice/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Giardino.
Florindo, poi Lelio.
Florindo. Orsù, convien risolvere. Conviene ch’io medesimo parli al signor Pantalone, e che gli sveli il mio cuore, e senta da lui se sperar possa di ottenere la sua figliuola in consorte. Il servo lo averà avvisato ch’io desidero parlargli. Non ardisco entrare senza la di lui permissone. Mi lusingo ch’egli non mi saprà negare la grazia. Se esamino le circostanze, tutte mi sembrano favorevoli a’ miei desideri. Come? Lelio in casa del signor Pantalone? Come c’entra costui?
Lelio. (Io nuoto in un mar di giubilazione). (da sè)
Florindo. (Tanti riguardi per me, e costui viene ammesso liberamente?) (da sè)
Lelio. Oh capitalissimo amico mio! Vi saluto e vi abbraccio rotondamente.
Florindo. Mi consolo vedervi qui. È molto tempo che voi ci siete?
Lelio. Sono arrivato nel meriggio della mattina per tempo.
Florindo. Bravissimo, ho capito. Dove siete alloggiato?
Lelio. Sono ospitale del signor Pantalone.
Florindo. Ospitale?
Lelio. Sì signore, godo l’esuberanza delle sue grazie.
Florindo. Me ne rallegro infinitamente. È molto che essendovi la sua figliuola, faccia a voi una simile finezza.
Lelio. Non sapete nulla?
Florindo. Di che?
Lelio. Non sapete le novità matrimoniali?
Florindo. No certamente.
Lelio. Oh, ve lo dirò io. Sappiate che io sono destinato a essere cognato del signor Pantalone.
Florindo. Suo cognato?
Lelio. Sì signore, suo cognato congiunto.
Florindo. Sposate voi qualche sorella del signor Pantalone?
Lelio. Oh! sorella. Altro che sorella! sposerò la sua femminina prole.
Florindo. La sua figliuola?
Lelio. Sì signore, l’unico tronco della sua casa.
Florindo. E sposando la sua figliuola sarete suo cognato?
Lelio. Certamente cognato per linea transversale.
Florindo. (Costui è un pazzo, non può esser vero). (da sè)
Lelio. Verrete voi alle mie nozze?
Florindo. Quando si faranno?
Lelio. Quando i raggi della luna riscalderanno l’aria serena.
Florindo. Quand’è così, volete aspettare un pezzo.
Lelio. Un pezzo? Domattina mi vedrete in toro.
Florindo. Come in toro?
Lelio. Ah, non avete studiato, non conoscete la figura del toro?
Florindo. Sì sì, avete ragione. (Povero sciocco, lo compatisco). (da sè)
Lelio. Oh, se sapeste quanto bene mi vuole la nostra sposa!
Florindo. Perchè dite nostra?
Lelio. Perchè la prendo per tutta la casa.
Florindo. Oh bellissima! Volete prendere una moglie per tutta la famiglia?
Lelio. Sì signore, le mogli si prendono per la conversazione delle famiglie.
Florindo. (Mi fa da ridere a mio dispetto). (da sè)
Lelio. Ehi, l’ho regalata.
Florindo. Dite da vero?
Lelio. Da verissimo.
Florindo. Cosa le avete donato?
Lelio. Un cerchio brillantato.
Florindo. Si brillantano i cerchi?
Lelio. Non sapete nulla. Voglio dire un brillante diamantato nel cerchio.
Florindo. Sì sì, v’ho capito.
Lelio. Oh cara! Quant’è vezzosa! Che luci vermiglie! Che ciglia porporine! Che faccia porporina! Che seno umile e rispettoso!
Florindo. Ma voi la descrivete a meraviglia.
Lelio. L’ho tanto impressa nel cerbero, che mi par di vederla col sopracciglio.
Florindo. (Ecco il signor Pantalone). (da sè) Amico, con vostra buona licenza. (in atto di partire)
Lelio. Addio, vado ad esalare i fumi dell’amor mio al cospetto della mia Venere. (via)
Florindo. Se non sapessi essere costui un stolido, mi avrebbe posto in angustia, col timore ch’ei dicesse la verità.
SCENA II.
Pantalone e Florindo.
Pantalone. Son qua, patron mio, cossa me comandela?
Florindo. Signore, scusate l’incomodo...
Pantalone. Senza tanti complimenti. La me fa finezza a parlarme speditamente, perchè gh’ho diversi interessi che me tien occupà.
Florindo. Favorite in grazia. Voi conoscete a pieno la mia persona?
Pantalone. Sior sì, ho cognossù vostro sior pare, e gh’ho tutta la cognizion della vostra casa.
Florindo. A che servono dunque tanti rigiri? Vi parlerò francamente. Io sono invaghito del merito della vostra figliuola, e vengo io stesso supplicarvi che vi degniate di concederla a me per isposa.
Pantalone. Caro sior Florindo, ve dirò. Mia fia xe da maridar, e me chiamerà ve fortuna a darla a un zovene proprio, civil e de bona indole, come se vu. Ma se vegnù un poco tardi.
Florindo. Come! È impegnata la signora Rosaura?
Pantalone. Sior sì, la xe impegnada.
Florindo. Posso io sapere con chi?
Pantalone. Perchè no? L’ho promessa al sior Lelio.
Florindo. A quel stolido?
Pantalone. Giusto a quello. Mi, per dir la verità, giera contrario a sto matrimonio. Ma ela lo vol, e per contentarla ghe lo dago.
Florindo. Lo vuole la signora Rosaura?
Pantalone. Eccome!
Florindo. Ciò mi pare impossibile.
Pantalone. La xe cussì, come che ve la digo. Lelio m’ha fatto parlar per el sior Ottavio... Lo cognossela sto sior Ottavio, che sta qua poco lontan?
Florindo. Lo conosco.
Pantalone. Mi no gh’ho volesto dar parola, senza parlar co mia fia; gh’ho parlà, la xe contenta, la lo vol, e mi ho accordà tutto.
Florindo. Come mai la signora Rosaura si è accesa di quello stolido?
Pantalone. No saveu le donne come le fa? La s’ha innamora in quella bella zoggia.
Florindo. Ma gli ha parlato? lo ha trattato?
Pantalone. La gh’ha parlà, la l’ha trattà, cossa voleu de più? El gh’ha anca donà un anello.
Florindo. (Dunque è tutto vero quello che Lelio mi ha confusamente narrato). (da sè)
Pantalone. Me despiase che no siè vegnù quattr’ore avanti, perchè ve l’averave dada a vu più volentiera d’un altro.
Florindo. (Pazienza! Donna infida! spergiura! ingrata!) (da sè) Signor Pantalone, vi riverisco. Pregovi una grazia, dite a vostra figlia che Florindo va a morire per lei. (in atto da partire)
Pantalone. Come! Vegnì qua: dove andeu?
Florindo. Non vi curate di un disperato.
Pantalone. Come xela? Aveu fursi fatto l’amor con ela?
Florindo. Perfida! inumana!
Pantalone. Sentime.
Florindo. Son disperato.
Pantalone. Oe, no fè qualche sproposito.
Florindo. Maledetto il punto che ti conobbi.
Pantalone. Eh via, quieteve.
Florindo. Maledetto colui che ti ha generata.
Pantalone. Olà, patron, come gh’andemio?
Florindo. Perdonate la mia disperazione, non so quello mi dica.
Pantalone. (No vôi che sto povero putto perissa). (da sè) Vegnì qua, fio, vegni con mi. Quieteve, che ve passerà.
Florindo. Dove mi volete condurre?
Pantalone. Vegnì in casa mia, fina che ve dà zo sto caldo...
Florindo. Ah sì, mi sfogherò con quell’ingrata di vostra figlia. (via)
Pantalone. Pian co sto sfogar. Fermeve, che ghe xe el novizzo. (via)
SCENA III.
Camera.
Corallina e poi Pantalone.
Corallina. Oh che cara zoggia. Colù con quella polegana el me voleva magnar el felippo. Nol xe informà, che a casa dei ladri l’è un cattivo robar. El me voleva dar el cappello in pegno. Sì ben, sarò una gonza, che no saverò el prezzo dei cappelli e delle barette.
Pantalone. Sia maledetto sti intrighi. Son qua. Corallina. Chiappemo sto momento felice, e disemo quattro parole in pressa.
Corallina. Ben, che el diga elo, e mi responderò.
Pantalone. Me voleu ben?
Corallina. Sior sì, assae.
Pantalone. E mi ve ne voggio a vu.
Corallina. Grazie; sielo benedetto.
Pantalone. Voleu che ve diga el cuor?
Corallina. Via, che el parla con libertà.
Pantalone. Vardè che ve lo digo, vedè.
Corallina. Mo nol me fazza più penar.
Pantalone. Vegnì qua. Sposemose. (sottovoce all’orecchia)
Corallina. Oh magari!
Pantalone. Sareu contenta?
Corallina. Contentissima.
Pantalone. Songio troppo vecchio?
Corallina. Oh giusto! Se el xe bello co fa un fior.
Pantalone. Ah! Ve par che sia ancora in stato?
Corallina. E come!
Pantalone. Me deu parola?
Corallina. Senz’altro.
Pantalone. Deme la man.
Corallina. Sior sì, la man e tutto quel ch’el vol.
Pantalone. Sarò vostro mario.
Corallina. Sarò so muggier.
Pantalone. Rancurè la roba, parecchiè tutto, e domattina vôi che se la battemo.
Corallina. E siora Rosaura?
Pantalone. L’ho maridada anca ela.
Corallina. Con chi?
Pantalone. Col sior Lelio. Credeu che la starà ben?
Corallina. Con quel gnocco la starà da regina.
Pantalone. Ah, bisogna che vaga. Corallina no più gastalda, ma novizza. Arrevéderse, cara.
Corallina. Sior patron...
Pantalone. No più paron.
Corallina. Sior novizzo.
Pantalone. Sì ben, sior novizzo.
Corallina. Mi ghe vôi dir sior mario.
Pantalone. Ma zitto fin che la xe fatta, che nissun sappia gnente.
Corallina. Oh, mi no parlo.
Pantalone. Domattina mandemo via tutti. Femo le nostre cossette tra de nu. Se sposemo, e andemo in un liogo, dove che gnanca el diavolo ne trova fora.
Corallina. Dove anderemio?
Pantalone. Vederè, cara, vederè, ma zitto.
Corallina. Zitto.
Pantalone. Cara muggier.
Corallina. Caro mario.
Pantalone. Vien zente... Oh gastalda, fe pulito.
Corallina. Sior sì, sior patron; la lassa far a mi.
Pantalone. Brava.
Corallina. Ah, fazzio pulito!
Pantalone. (Vago via, gastalda). Cara culia. (via)
Corallina. Oh che caro vecchietto! El giubila tutto. Adesso son più contenta. Me par de esser segura. No credo mai che el me voggia burlar.
SCENA IV.
Brighella e detta.
Brighella. Fazzo umilissima riverenza a vussustrissima.
Corallina. A mi, vecchio?
Brighella. A ela, lustrissima padrona.
Corallina. A mi sti titoli?
Brighella. Titoli dovudi al so novo grado.
Corallina. Chi v’ha dito de sto novo grado?
Brighella. Me consolo infinitamente delle so contentezze. Ela merita tutto, e me consolo de cuor.
Corallina. Mi no so de cossa che ve consolè.
Brighella. Eh via, illustrissima padrona, so tutto. So che l’è sposa, so tutto. La lassa che ghe basa la man.
Corallina. Chi v’ha dito che mi son novizza?
Brighella. Ghe dirò, védela. Siben che porto la livrea, el mio patron fa qualche stima della mia povera persona. Lustrissima sì, me l’ha confidà el mio patron.
Corallina. E el vostro padron come lo salo?
Brighella. Ghe l’ha dito l’illustrissimo sior Pantalon.
Corallina. (Vardè, i vecchi i xe pezo dei puttei, no i pol taser; e po el me dise a mi che no diga gnente). (da sè)
Brighella. Me raccomando alla so protezion.
Corallina. Ben ben, vecchio, in quel che posso, ve farò servizio.
Brighella. Grazie alla clemenza de vussustrissima, la vederà la poca mia abilità.
Corallina. Cossa saveu far?
Brighella. Un poco de tutto, védela, zentildonna.
Corallina. Saveu conzar la testa?
Brighella. Cappari! son scolaro de monsù Maronè.
Corallina. Saveu cusinar?
Brighella. Ho impara da monsù Pattacchiè.
Corallina. Saveu spender?
Brighella. Son sta arlevà da monsù Sgrafignè.
Corallina. Saveu portar un’ambassada.
Brighella. No vólela, son sta a scola da monsù le Metre Fransè.
Corallina. Donca, co gh’ave tutte ste abilità, licenzieve dal vostro patron, e vegnì a star con mi, che ve torrò volentiera.
Brighella. Ma... averò l’onor de servirla... senza che me licenzia dal mio padron.
Corallina. Cossa gh’intra con mi el vostro patron? Parlerò co sior Pantalon, e ve torremo al nostro servizio.
Brighella. Cara ela, la perdoni, me confondo un pochetto. No l’intendo ben, illustrissima.
Corallina. Oh, co sè un alocco, no fe per mi.
Brighella. Ma la supplico...
Corallina. No no, vecchio, mi no gh’ho bisogno de zente alocca.
Brighella. Ho inteso benissimo, ma voleva mo... cussì, finzer de no saver ogni cossa.
Corallina. Oh bella! No saveu che son novizza de sior Pantalon? Cossa voleu finzer de no saver?
Brigella. (Oh diavolo!) (da sè) So benissimo che ela l’è la sposa... de sior Pantalon.
Corallina. Sì ben, de sior Pantalon.
Brighella. Benissimo...
Corallina. E se volè vegnir a star con mi, ve torrò.
Brighella. Grazie...
Corallina. Licenzieve dal vostro patron.
Brighella. Senz’altro...
Corallina. Cossa xe che me pare incantà?
Brighella. Oh gnente... Con so permission, illustrissima.
Corallina. A revéderse.
Brighella. (Mi no so cossa sia st’imbroi). (da sè) Siora sposa.
Corallina. Bondì siorìa.
Brighella. Del sior Pantalon.
Corallina. Oh l’è longa! De sior Pantalon.
Brighella. Ben! Servitor umilissimo. (via)
Corallina. Ho paura che a costù el so paron gh’abbia taccà qualche rametto.
SCENA V.
Ottavio con marsina antica, perrucca a groppi, cappellino antico, canna in mano; e detta.
Ottavio. Ehi, gastalda, è ora di pranzo. (con alterigia)
Corallina. Che razza de parlar xe el soo? Coss’è sto gastalda? Me dalo elo el salario?
Ottavio. Vi do il vostro titolo; cosa volete di più?
Corallina. Ehi, gastalda, gastalda; el par el Gran Visir.
Ottavio. Cosa siete, qualche gentildonna?
Corallina. Gnanca elo nol sa cossa che sia.
Ottavio. Siete altro che una servaccia?
Corallina. Una servaccia! coss’è sta servaccia?
Ottavio. Una villanaccia.
Corallina. E lu un spiantataccio.
Ottavio. Elà, portatemi rispetto.
Corallina. Oh, porteghe respetto, perchè el gh’ha l’abito da festa.
Ottavio. Impertinente.
Corallina. La diga, com’ala fatto a despegnarlo?
Ottavio. Che?
Corallina. A despegnar sto abito, com’ala fatto?
Ottavio. Che abito? Che spegnare? Nel mio guardaroba ho più abiti che tu non hai capelli.
Corallina. Oh, se la fusse cussì, bisogneria che fusse pelada co fa una zucca.
Ottavio. Cosa c’entri ne’ fatti miei?
Corallina. Ghe dirò. Arlecchin m’ha dito qualcossa, sala.
Ottavio. (Ah disgraziato). (da sè) Colui è uno stolido, non sa quello che si dica. Pantalone è in casa?
Corallina. La poderave anca metterghe un poco de sior.
Ottavio. È in casa, o non è in casa?
Corallina. Chi?
Ottavio. Pantalone.
Corallina. Pantalon, mi no lo cognosso.
Ottavio. Il vostro padrone.
Corallina. Al mio patron se ghe dixe: sior Pantalon.
Ottavio. In quanta superbiaccia, per quattro soldi! E tu chi ti pensi di essere?
Corallina. Sala chi son mi?
Ottavio. Sì, chi sei?
Corallina. Son una che lo pol far andar via de qua a dezun, come che l’è vegnù.
Ottavio. Una serva?
Corallina. Mi no so gnente.
Ottavio. Una gastalda?
Corallina. Castalda, o no gastalda.
Ottavio. Castalda, o padrona?
Corallina. Fursi anca padrona.
Ottavio. Che? Il signor Pantalone vi ha sposato?
Corallina. Mi no digo i fatti mii a nissun.
Ottavio. Ditemi in confidenza, come passa tra voi e il signor Pantalone?
Corallina. Cara ela, la diga in secretezza, com’alo fatto a despegnar la velada?
Ottavio. Siete un’impertinente.
Corallina. Bravo.
Ottavio. Mi meraviglio di voi.
Corallina. Pulito!
Ottavio. Giuro il cielo, non so chi mi tenga.
Corallina. La senta la campanella che chiama in tola. (si suona un campanello)
Ottavio. Insolente. (via)
Corallina. La fame supera la vergogna. Ma come mai alo fatto a despegnar la velada? Arlecchin che voleva da mi el felippo, da chi mai l’averalo trovà? Son curiosissima de saverlo. Tante: nualtre donne semo tutte cussì curiose.
SCENA VI.
Lelio e detta.
Lelio. Eccomi a voi, mia bella.
Corallina. Oh, no la me diga bella, se la vol che disna.
Lelio. Avete notato quei due termini concubinati assieme: (Mia bella?
Corallina. Cossa mo vol dir?
Lelio. Che siete bella, e siete mia.
Corallina Do spropositi un più grando dell’altro.
Lelio. Che siate bella, lo dicono anche i muti, lo vedono anco i ciechi. Che siate mia, l’ha detto e confermato il vostro genitivo paterno.
Corallina. Chi èlo sto mio genitivo paterno?
Lelio. Quello che vi ha concepita.
Corallina. Mia mare m’ha concepio.
Lelio. Voglio dire quello che ha eccitato il vostro concepimento.
Corallina. Mi no v’intendo una maledetta.
Lelio. Ah barbara! Voi mi volete scompaginare.
Corallina. Mo parleme schietto, se volè che v’intenda.
Lelio. Vi parlerò colla lingua sul labbro. Voi siete la mia unica sposa.
Corallina. Da quando in qua?
Lelio. Questo è succeduto fra le sedici e le diciassette.
Corallina. Senza che mi lo sappia?
Lelio. Vostro padre non ve l’ha specificato?
Corallina. Mio pare xe morto.
Lelio. Oh cieli! Morto il vostro primogenito?
Corallina. El mio primogenito?
Lelio. Morto il signor Pantalone?
Corallina. El sior Pantalon xe el mio primogenito?
Lelio. Sì, non è egli il primo che vi ha generata?
Corallina. Mo da quanti pari credeu che sia stada inzenerada? (No me arrecordava più che el me crede la fia de sior Pantalon). (da sè)
Lelio. Eh, parliamo sul solido: è morto o vivo il signor Pantalone?
Corallina. El xe vivo, per grazia del cielo.
Lelio. Possa egli vivere fino alla morte. Egli dunque ha propagata la nostra congiunzione.
Corallina. Gnanca questa no la capisso.
Lelio. Avete compassione di me?
Corallina. E come!
Lelio. Dunque andiamo.
Corallina. Dove?
Lelio. Andiamo al toro.
Corallina. Cossa m’alo tolto, per una bestia?
Lelio. M’intesi dire al tumolo.
Corallina. Cossa diavolo xelo?
Lelio. Alle morbide piume matrimoniali.
Corallina. Bravo.
Lelio. Via, proseguitemi.
Corallina. Bon viazzo a ela.
Lelio. Venite o non venite?
Corallina. Oh sior no, no vegno.
Lelio. Ah mia cara!
Corallina. Oh caro! ma caron 1.
Lelio. Mi volete voi bene?
Corallina. Gnente affatto.
Lelio. Pazienza, vi amerò disamato. Ma avete ad essere la mia mia lateral consorte.
Corallina. Per che rason?
Lelio. Perchè abbiamo negoziato di voi col signor Pantalone.
Corallina. Se i ha negozià tra de lori, cossa gh’intrio mi?
Lelio. Orsù, non mi fate montare in bestia.
Corallina. No la se scalda, patron.
Lelio. Quando mi scaldo, dico.
Corallina. Dasseno?
Lelio. E quando dico, stradico.
Corallina. Eh via!
Lelio. E dirò a voi quello che ho detto a quell’altra.
Corallina. Cossa gh’ala dito?
Lelio. Carogna.
Corallina. Pezzo daseno, imparè a parlar. (gli dà uno schiaffo; via)
Lelio. Ecco la solita risposta. Ma se le parole non giovano, una altra volta faremo i fatti.
SCENA VII.
Pantalone e detto.
Pantalone. E cussì, sior Lelio, aveu parlà con mia fia?
Lelio. Così non avessi parlato.
Pantalone. Perchè?
Lelio. Perchè in risposta mi ha regalato uno schiaffo.
Pantalone. Com’èla? xela rotta?
Lelio. Io credo di no.
Pantalone. Ma perchè v’ala dà uno schiaffo?
Lelio. Perchè le ho detto carogna.
Pantalone. Semo qua coi vostri bei complimenti. Ve par che a una putta civil se gh’abbia da dir ste insolenze?
Lelio. Via, accomodatela voi; quella parola non la dirò mai più.
Pantalone. Mo perchè dirghela?
Lelio. Quando le donne non mi vogliono, la dico per energia, per entusiasmo di colica.
Pantalone. Patìu i dolori colici?
Lelio. Oibò. Patisco la bile nelle glandule gutturali.
Pantalone. Basta, sentirò cossa che la dise, la farò vegnir qua. Se poderemo giustarla, la giusteremo; se no, bon viazzo.
Lelio. Sentite, io voglio accompagnarmi assolutamente.
Pantalone. Benissimo.
Lelio. Se non mi manterrà la parola la figlia, me la mantenirà suo padre.
Pantalone. Come sarave a dir?
Lelio. Pensateci voi.
Pantalone. Mi ghe penserò fin a un certo segno, e po’, se mia fia no ve vorrà, no ve mancherà una novizza più propria e degna de vu.
Lelio. Dove?
Pantalone. All’ospeal de matti. (via)
Lelio. Questa è un’ingiuria, ma la soffro, perchè me la dice mio genero.
SCENA VIII.
Florindo e detto.
Florindo. (Ecco l’indegno rivale dell’amor mio). (da sè)
Lelio. Amico.
Florindo. Scostatevi, ed impugnate la spada.
Lelio. Perchè volete ch’io imbrandisca il brando?
Florindo. Perchè mi siete rivale.
Lelio. Spiegatevi, io non vi concepisco.
Florindo. Amate voi la signora Rosaura?
Lelio. Aspettate... Chi è questa signora Rosaura?
Florindo. Amate voi la figlia del signor Pantalone?
Lelio. Signor sì.
Florindo. E non sapete che la figlia del signor Pantalone si chiama Rosaura?
Lelio. Oh bella! io non lo so!
Florindo. Ma l’amate, o non l’amate?
Lelio. L’amo spropositatamente.
Florindo. La bramate voi per consorte?
Lelio. La bramo, la voglio, e l’averò.
Florindo. E non sapete il suo nome?
Lelio. Cosa m’importa a me del suo nome?
Florindo. Questo è un amore da pazzo.
Lelio. Voi parlate da traboccante.
Florindo. O cedete Rosaura, o morrete per le mie mani.
Lelio. Voi traifiggerete il riverbero di questo lampo. (si battono)
SCENA IX.
Rosaura e detti.
Rosaura. Oimè! fermatevi. Perchè mai vi battete?
Florindo. Per acquistarvi o morire.
Lelio. Io combatto per le lucide luci della mia bella.
Florindo. O cedetemi questa mano, (accennando quella di Rosaura) o preparatevi di morire.
Rosaura. Fermatevi...
Lelio. Piano un poco. Di qual mano parlate voi?
Florindo. Di questa ch’io stringo in presenza vostra.
Lelio. È questa quella che vi esulcera il cuore?
Florindo. Questa è quella ch’io amo.
Lelio. Armi in fodero: amici come prima.
Florindo. Me la cedete?
Lelio. Tanto penso a lei, quanto penso alle pantofole dei Gran Turco.
Florindo. Oimè! respiro.
Rosaura. Come c’entra il signor Lelio con me? Mio padre non ha egli detto che voi sarete il mio sposo?
Florindo. Oh Dei, lo ha egli detto?
Rosaura. Sì certamente, e mi ha assicurata ch’entro di questo giorno si faranno le nostre nozze.
Lelio. Dentro di questo giorno si faranno anche le mie.
Florindo. Con chi?
Lelio. Colla signora Rosaura.
Rosaura. Con me?
Lelio. Che? anche voi vi chiamate Rosaura?
Rosaura. Sì signore, e ve n’è forse un’altra che abbia un tal nome?
Florindo. (Non vorrei si scuoprisse qualche equivoco in mio danno). (da aè)
Lelio. Sappiate, perchè siccome...
Florindo. Amico, sospendete per ora, e permettetemi che alla vostra presenza dia la mano di sposo alla mia bella.
Lelio. Sì, volentieri. Sarò io il prologo della vostra cupidità.
Florindo. Deh, giuratemi la vostra fede, prima che giunga ad impedirlo il vostro genitore.
Rosaura. Anzi egli lo accorda, e lo desidera, e mi sollecita.
Florindo. Comunque sia, eccovi la mia mano.
Rosaura. Eccovi colla destra il mio cuore.
Lelio. Evviva, evviva. Amore precipiti sul vostro capo la cornucopia dell’amorosa fecondità.
SCENA X.
Pantalone e detti.
Pantalone. Oh, qua ti xe? T’ho cercà per tutto. E cussì, xela giustada.
Rosaura. Sì signore, tutto è accomodato.
Pantalone. Via, gh’ho a caro. Cossa dise sior Florindo?
Florindo. Che volete ch’io dica? Io sono contento.
Pantalone. Sì? manco mal. E élo, sior Lelio?
Lelio. Io nuoto in un mare di giubilazioni.
Pantalone. (Credo anca mi). (da sè) E ti xestu contenta?
Rosaura. Non potevo desiderare maggiore felicità.
Pantalone. Sia ringrazia el cielo; anca mi son contento. Via, za che ti xe arente al novizzo, e che ghe xe un testimonio, deghe la man.
Rosaura. Signore...
Pantalone. Cossa gh’è?
Rosaura. Gliel’ho data.
Pantalone. Sì ah? Brava, per non perder tempo.
Lelio. Io sono stato il mandatario di un tal congiungimento.
Pantalone. Bravo, sior, bravo.
Florindo. Non ha ella in tal guisa adempito il vostro volere?
Pantalone. Mi me son uniformà al so desiderio. Ho gusto che la se sia destrigada, e che siè tutti tre contenti.
SCENA XI.
Ottavio e detti.
Ottavio. Ma caro Pantalone mio, quando andiamo a tavola? Convien sollecitare, se dopo pranzo abbiam da concludere questo negozio.
Pantalone. El negozio, sior Conte caro, el s’ha concluso avanti disnar.
Ottavio. Come? È fatto il matrimonio?
Pantalone. L’è fatto.
Ottavio. Signor Lelio, è fatto tutto?
Lelio. Tutto no.
Pantalone. Via, via, quel che no s’ha fatto, se farà; andemo a disnar.
Ottavio. Ma arricordatevi della dote.
Florindo. Della dote non si è ancora parlato.
Ottavio. Voi come c’entrate? Si è parlato benissimo, e mille ducati si devono investire sopra i miei beni.
Florindo. Per che ragione sui vostri beni?
Ottavio. Voi come c’entrate?
Florindo. Io dico...
Ottavio. A voi non tocca parlare. Siamo intesi col signor Pantalone.
Florindo. E lo sposo non dirà nulla?
Ottavio. Voi come c’entrate? Ah Lelio, colui non sa niente.
Lelio. Sinora faccio la parte muta. A tempo e luogo profonderò i sentimenti dell’interessante verbosità.
SCENA XII.
Beatrice e detti.
Beatrice. Signori miei, il cuoco strilla. Dice che le vivande patiscono.
Ottavio. Eh andiamo, non perdiamo inutilmente il tempo.
Rosaura. Signora Beatrice, consolatevi meco.
Beatrice. Di che?
Rosaura. Non vedete? sono vicina al mio sposo.
Beatrice. Evviva, me ne rallegro di core.
Pantalone. In t’una mattina s’ha dà l’anello, s’ha fatto tutto.
Florindo. Quell’anello è una piccola cosa.
Lelio. L’anello che io ho prostituito alla mia sposa, splende come un carbone.
Florindo. Voi siete ricco di beni.
Lelio. E voi siete ricco di mali.
SCENA XIII.
Brighella e detti.
Brighella. Illustrissimi, con permission, con grazia, con so bona licenza.
Lelio. Cosa vuoi? Dilatati.
Brighella. Me dilato, me avanzo, e in fazza de tutti sti illustrissimi signori, ste nobilissime signore, supplico la bontà dell’illustrissimo mio padron concederme la grazia, la finezza, la carità che possa passar al servizio dell’illustrissima siora Corallina, degnissima sposa dell’illustrissimo signor Pantalon, mio padron veneratissimo.
Rosaura. Come? Mio padre è sposo?
Pantalone. (Corallina ha squaquarà tutto). (da sè)
Lelio. E chi è questa Corallina?
Pantalone. La xe la gastalda. Sì ben, lo confesso, xe la verità. Adesso che ho maridà mia fia, per no restar solo in casa, me voggio maridar anca mi. Ghe xe nissun che s’oppona?
Lelio. In quanto a me, quando mi mantenete quello che mi avete ostentato, io non recalcitro alle vostre nozze. Così morirete più presto.
Rosaura. Signor padre, non so che dire. Una castalda non è vostra pari; ma se si tratta di vedervi contento, non mi lagnerò certamente.
Florindo. Io pure l’approverò...
Ottavio. Voi come c’entrate?
Florindo. C’entro, perchè...
Ottavio. Eh tacete. Non gli abbadate. (a Pantalone) Pantalone, alla povera gastalda converrà che le fate un poca di dote.
Pantalone. Certo che bisognerà che pensa a lassarghe qualcossa dopo la mia morte.
Ottavio. Investitele la dote sopra i miei beni.
Pantalone. La dise ben, no ghe sarà pericolo che l’acqua o la tempesta li porta via.
SCENA XIV.
Corallina di dentro, e detti.
Corallina. Aspettè, caro sior cuogo, adesso i vegnirà.
Lelio. Oh eccola.
Pantalone. Eccola, eccola.
Rosaura. Ora vedremo quest’altro matrimonio.
Lelio. Benissimo, due matrimoni in una volta.
Pantalone. Corallina, vegnì avanti.
Lelio. Ha da penetrare anco la Corallina?
Pantalone. Perchè no? Cossa gh’ala paura?
Lelio. Venga tutto il mondo, pur che vi sia la mia sposa, io sono saltellante come una stella.
Corallina. (Esce.)
Beatrice. Ecco la nuova sposa.
Lelio. Evviva la sposa.
Florindo. Me ne rallegro.
Beatrice. Me ne consolo.
Corallina. Grazie grazie, patroni, grazie.
Pantalone. Za che s’ha scoverto tutto, vegnì qua, fia, e in quel medesimo liogo e in quel medesimo zorno che s’ha sposà mia fia, sposerè anca vu.
Lelio. Dice bene; proseguisca Cupido la carriera del cocchio.
Corallina. Mi no so cossa dir... Me vergogno un pochetto, ma bisognerà superar la vergogna. Son qua, sior patron, son qua, se la me vol.
Lelio. Venite al seno delle mie braccia, e porgetemi la destra dalla parte del cuore.
Corallina. Come?
Pantalone. Piase?
Lelio. Ecco la liquida mia sposa.
Pantalone. Oh bella, quante spose voleu, sior?
Lelio. Una.
Pantalone. No aveu sposà mia fia.
Lelio. Sì signore. Questa ch’io voglio stringere, è la vostra femminina prole.
Pantalone. Questa, sior pezzo de matto, xe la mia femminina gastalda, e quella che avè sposà, xe mia fia.
Lelio. Sposata? Io? Voi stralunate.
Pantalone. Rosaura, xestu sposada o no xestu sposada?
Rosaura. Sono sposata.
Pantalone. Co sior Lelio?
Rosaura. Oh, non signore. Col signor Florindo.
Pantalone. Oh bella! Co sior Florindo?
Florindo. Sì signore, con me; non l’avete voi approvato?
Pantalone. Mi? no so gnente. E vu, sior, l’ave lassada sposar? (a Lelio)
Lelio. Cosa importa alla mia circospezione?
Pantalone. No la volevi vu per muggier?
Lelio. Ecco l’oroscopo dell’amor mio. (accenna Corallina)
Pantalone. Mo no m’aveu domandaà mia fia?
Lelio. E questo non è il parto del vostro ventre?
Pantalone. El diavolo che ve porta. A chi aveu dà l’anello?
Lelio. Alla mia venerea bellezza.
Pantalone. A vu el v’ha dà l’anello? (o Corallina)
Corallina. Sior sì, a mi. Co i matti butta via, chi gh’ha giudizio tiol suso.
Pantalone. E a vu chi v’ha dà quell’anello? (a Rosaura)
Rosaura. Il signor Florindo.
Pantalone. Oh che equivoco! Oh che imbroggio! Chi v’ha dito a vu che quella sia mia fia? (a Lelio)
Beatrice. Signor Pantalone: vi domando perdono, lo sono l’innocente cagione di tanti abbagli che nati sono. Per ridermi del signor Lelio, gli feci credere che Corallina fosse la vostra figliuola.
Pantalone. Adesso capisco tutto. Aveu sentìo, sior, no la xe mia fia; la xe la gastalda.
Lelio. O figlia, o non figlia, o castrata, o castrarla, ella deve esser mia.
Ottavio. Sì signore, deve esser sua, voi gli avete a dare la dote, e io ho d’avere i mille ducati.
Pantalone. Cossa diseu, siora Corallina? El sior Lelio ve vol; abbrazzeu sta bella fortuna?
Lelio. Ah? Che ne dite? Lo volete voi il prototipo della bellezza?
Corallina. Sior prototipo caro, mi no so cossa far de elo.
Lelio. Eh via, accostatevi al viril sesso.
Corallina. Che digo cussì, che nol gh’ho gnanca in te la mente.
Lelio. Come? Mi regurgitate?
Corallina. Sior sì, lo gomito.
Lelio. Mi conculcate?
Corallina. Lo mando e lo stramando.
Lelio. Non mi volete?
Corallina. Sior no.
Lelio. No certo?
Corallina. No seguro.
Lelio. Vado in collera.
Corallina. Buon viazzo.
Lelio. Monto in bestia.
Corallina. Animo.
Lelio. Ve lo dico.
Corallina. Cossa?
Lelio. Non posso più.
Corallina. Crepa.
Lelio. Cara...
Corallina. Tiò suso. (gli dà uno schiaffo)
Lelio. Servitor garbatissimo di lor signori. (via)
Pantalone. El xe forte a dir quella bella parola, e tior su delle sleppe.
Corallina. Sior Pantalone, se gh’ho tiolto sto anello, no l’ho fatto miga a cattivo fin.
Pantalone. Per sta volta ve compatisse, ma da qua avanti, se volè anelli, se volè zoggie, parlè con mi. Siori, andemo a disnar.
Corallina. Vorlo che porta in tola?
Pantalone. Vu portar in tola? Se ave da esser mia muggier! Anzi vegnì a tola con nu.
Corallina. Mi a tola con elo? No son gnancora so muggier?
Pantalone. Tolè la man. Sé mia muggier. Vegnì a tola con nu.
Corallina. Oh bravo! Adesso mo ghe posso vegnir.
Ottavio. Prima di andar a tavola, terminiamo quest’altro affare. Chi mi darà i mille ducati?
Pantalone. Nissun a sto mondo.
Ottavio. Questi si hanno a cavare dalla dote di vostra figlia. Mi avete data parola; e se mancate, siete un villano, un asino, un malcreato.
Pantalone. Sala, patron, chi xe sto aseno, sto mal creato? Quello che gh’ha dona un felippo per despegnar sto strazio d’abito, che la gh’ha indosso.
Ottavio. Come! Non è vero nulla.
Corallina. Arlecchin voleva che ghe lo dasse mi.
Pantalone. E mi, per atto de compassion a Arlecchin, ghe l’ho dà.
Ottavio. Non è vero; Arlecchino è un briccone.
SCENA XV.
Arlecchino e detti.
Arlecchino. Arlecchin l’è un galantuomo. El felippo l’ho avudo e l’abito l’ho despegnà.
Ottavio. (Ah, non mi posso nascondere). (da sè) Compatite le mie disgrazie.
Pantalone. Compatisso le so disgrazie, ma no compatisso la so superbia.
Ottavio. Basta, anderò via.
Arlecchino. (Sior paron, a casa no gh’è da magnar). (ad Ottavio)
Brighella. Illustrissimi, i risi vien tanto longhi.
Pantalone. Andemo a tola. Sior Ottavio, se la comanda, resti servida.
Ottavio. Vi ringrazio...
Arlecchino. (Sior paron, no gh’è gnente). (come sopra)
Ottavio. Basta, verrò per farvi piacere.
Arlecchino. E mi per farghe servizio.
Corallina. Andemo donca, andemo, siora Rosaura. E la sappia che siben che de gastalda son deventada parona, m’arrecorderò sempre dei mi principi, e no me lasserò insuperbir. E siben che ghe devento maregna, averò sempre per ela amor, riverenza e rispetto. El mio paron xe adesso mio mario, ma non ostante no gh’ho in testa de voler comandar, anzi de volerlo più amorosamente servir. So benissimo, che se fusse superba, tutto sto ben che godo me poderave deventar velen, e siccome son arrivada a sto grado colla pazienza, coll’onor e fedeltà, cussì spero di conservamelo colla gratitudine, e in ogni tempo, e in ogni hogo, in ogni occasion, se son deventada signora, me arrecorderò sempre d’esser stada una povera, ma onorata Gastalda.
Fine della Commedia.
Note
- ↑ Bisticcio con la parola macaron ossia gnocco.