La donna di testa debole/Nota storica
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NOTA STORICA
La donna che posa a letterata non va a’ versi di nessuno; e nemmeno Goldoni doveva averla nel suo buon libro, se nel Capitolo veneziano per la vestizione di S. Ecc. la sig. Chiara Vendramin (Comp. div. Ed. Pasquali, II, p. 153) ne dà questo giudizio:
Voi deventar la Donna letterata.
Professori trattando e dilettanti.
Ma perchè per sto far no la xe nata,
La se rende ridicola alla zente.
Come fa la mia Vedua infatuada».
Tale infatti è anche donna Violante, vedova tuttora fresca e vezzosa, la quale piccandosi di letterata, compone versi ridicoli; e la vanerella scambia poi per elogi le derisioni. Pantalone, suo zio da parte del defunto marito, non le risparmia i rabbuffi: «Troppe conversazion, troppe chiaccole, troppi reziri; e po cossa xe sto mattezzo che ve xe saltà in testa de voler deventar dottoressa? Tutto el zorno coi libri in man... El studio de le donne no l’ha da esser nè la grammatica, nè la poesia; ma l’economia della casa, l’educazion dei fioli co ghe ne xe, farse ben voler dal mario, farse respettar dalla servitù...»
(A. I, Sc. XV). Giustissimo; perchè sapete voi come passa i suoi dì donna Violante, da quanto ella medesima narra a don Roberto e a don Gismondo, spasimanti di lei in apparenza, ma in sostanza della sua dote, e smaccati adulatori ad un tempo? Si consenta anche a me riprodurre queste poche battute, come fece il Concari (Il Settecento. Milano, Vallardi, 1900, p. 31) a dimostrare una volta di più la prodigiosa maestria del nostro commediografo a schizzare con quattro sole pennellate tipi e macchiette del mondo in cui viveva:
«Viol. Il mio tempo lo so dividere perfettamente. Sentite se io ho fatta una buona distribuzione del giro delle ventiquattr’ore. Dodici al letto, due alla tavoletta, due al pranzo, una alla cena, tre allo studio, e quattro alla conversazione.
Rob. E poco per la conversazione. Che dite, don Gismondo?
Gis. Sì, vorrebbono essere almeno sei.
Viol. Aspettate: leviamo due ore da qualche altra faccenda.
Rob. Io le leverei dallo studio.
Viol. Oh no, lo studio è troppo necessario. Che dite, don Gismondo?
Gis. Sì, è necessarissimo. Farebbe torto al suo felice talento.
Rob. Dalla tavoletta si potrebbe levar qualche cosa?
Viol. Due ore sono anche poche.
Rob. Due di pranzo, una di cena...
Viol. Si può far meno?
Gis. Anzi è difficile, che colla tavola non s’intacchi.
Rob. Per dirla, mi pare che delle dodici del letto se ne potrebbe levare un paio almeno per la conversazione.
Viol. Ma sono avvezza così.»
Gis. Si potrebbe conciliare una cosa coll’altra. Non è incompatibile letto e conversazione.
Viol. Sì, sì, per la cioccolata.
Rob. Bravissima! la conversazione della cioccolata.
Gis. Grande spirito! gran prontezza ha madama!» (A. I, Sc. IX)
Buon per lei che don Fausto, il quale n’è ingattito, ma all’opposto degli altri due spicca per sincerità, costanza e disinteresse, termina con l’aprirle gli occhi; sicchè la vedovella si rimette sulla buona via, gli dona il suo cuore, e la tela cala sopra un bello e bravo matrimonio.
Della commedia che fu, secondo c’informa Goldoni, la prima scritta per il teatro Vendramin (Ed. Pitteri, t. I, pp. 184-185), non rimase peraltro altrettanto contento il pubblico. Già alla prima recita «andò a terra, cosa già da me preveduta; ond’ebbi per mia disgrazia anche il rammarico di veder verificato il prognostico» (Mem. II, XVII ). E dell’insuccesso incolpa i comici non ancora istruiti quanto quelli del Sant’Angelo; e la maggior vastità del San Luca «per cui in esso le azioni semplici e delicate, le furberie, gli scherzi, il vero genere comico vi perdevano molto» (Mem., ibid.). Certamente la commedia non è delle sue migliori, ma hanno torto il Klein (Gesch. d. ital. Dr. III, p. 450) e il Rabany (C. G. ecc., pp. 347-48) a valutarla tra le più deboli; almeno a noi non sembra tale, sia per la bella evidenza dei caratteri, ancorchè non originali, sia pel dialogo mai stiracchiato. Nè per le arrischiate proposte di donna Elvira arricceremo il naso con lo schizzinoso Schedoni (Princ. mor. del teatro, Modena, 1828, p. 71). Osserveremo piuttosto, per tornare all’argomento della originalità, che secondo il Merz (C. Gold. in seiner Stellung ecc., p. 25) già il Mahrenholtz (nel suo Molière’s Leben und Werke, Heilbronn, 1881, p. 36) notò qualche concordanza fra la Donna di testa debole e Les Femmes Savantes, concordanza registrata anche dal Rabany. Ozioso poi l’aggiungere qui che la satira delle dottoresse era comune nel seicento e nel settecento anche fuori del teatro, nei pseudoepistolari e in qualche romanzo. Del resto, pure nella raccolta del Gherardi, c’imbattiamo in una Fille savante di Eatouville, recitata nel Teatro Italiano di Parigi l’anno 1690. Ma c’è ben più: la Donna di testa debole ci richiama alla memoria la Dottoressa preziosa del Nelli, cui d’altronde servirono, a quanto confessa egli stesso «di lume e di esemplare Les Précieuses e Les Femmes savantes di Molière» (nella prefazione alla commedia, in Comm. di J. A. Nelli, Vol. 3.°, Bologna, Zanichelli, 1899). Infatti nella produzione del Nelli la saccente Saforosa sproposita quanto la Violante nella commedia del Nostro; Petronio, padre della Saforosa, tiene su per giù alla figlia lo stesso predicozzo (A. I, sc. 3.a) di Pantalone alla Violante; il poetastro Terenziano è del medesimo stampo dell’ignorantissimo Pedrolino; persino le due cameriere, Plautina della commedia toscana e l’Argentina della goldoniana, si direbbero due corpi in un’anima. Il solo don Fausto, innamorato anche lui come Cleante della rispettiva vedovella, è creatura di Molière anzichè del Nelli; e crediamo bene s’apponga il Toldo, quando dopo una sottile disamina, conchiude che il Geronte del Bourru bienfaisant non ha alcun rapporto, come vorrebbe il Rabany, con l’Alceste del Misanthrope molieriano, mentre l’ha il nostro don Fausto (L’Oeuore de Molière et sa fort. en Italie, Turin, Loescher, 1910, pp. 394-396).
D’altre recite a Venezia o altrove non ci consta. E nemmeno di versioni, tranne, a quanto mi comunica Edgardo Maddalena, d’una francese incompleta, lasciata da Edouard Thomas Simon (1740-1818). Cfr. B. Marquillier: Un poète troyen au XVIII siècle, p. 119.
Finalmente va soggiunto che Goldoni dedicò la sua produzione «a S. E. il signor Alessandro Napolion d’Héraut, generale al servizio della Serenissima», del quale rammenta le gesta e insieme quelle de’ suoi antenati.
C. M.