La donna di testa debole/Atto III

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Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Pantalone.

Pantalone e Cecchino.

Pantalone. Vegnì qua mo, bel putto, contème: la ve vol mandar via la vostra parona? per cossa?

Cecchino. Mi manda via, perchè le ho corretta una sconcordanza.

Pantalone. Gerela in discordia con qualchedun?

Cecchino. Fra lei e suo nipote fanno cose da far ridere i capponi. Basta dire che è stata fatta contro di loro una satira, ed essi se la bevono per una lode.

Pantalone. Una satira?

Cecchino. E che pezzo di satira! Non sa niente vossignoria?

Pantalone. No so gnente. Caro vu, contème.

Cecchino. Se la vuol vedere, io ne ho la copia. [p. 188 modifica]

Pantalone. La vederò volentiera.

Cecchino. Eccola qui: l’ho trovata sul tavolino della padrona e mentre pranzava, l’ho copiata. (dà un foglio a Pantalone)

Pantalone. Sentimola mo. (legge piano) Pulito! bravi! Sentì che roba! Bella sta chiusa.

Troveran forse ambidue

L’un la capra di Giove, e l’altra il bue.

A don Pirolino i ghe dà del cavron, e donna Violante troverà un mario coi pennacchi. Presto, ande là, diseghe a donna Violante che la vegna qua, che ghe vôi parlar.

Cecchino. Io, signore, con sua buona grazia, alla padrona non lo dico certo.

Pantalone. Per cossa? ghe vol tanto a dir che la vegna qua?

Cecchino. Mi ha dato poco fa uno schiaffo da questa parte, non vorrei ch’ella si credesse in debito di darmene uno anche da quest’altra. Lo dirò alla cameriera.

Pantalone. Giusto; diseghelo a Arzentina.

Cecchino. Anche quella povera ragazza sta fresca con quella padrona; ed è la più buona figliuola di questo mondo. Mi dispiace andar via da questa casa per lei.

Pantalone. Ghe volevi ben a Arzentina?

Cecchino. Assai. Desiderava venir grande unicamente per lei.

Pantalone. Bravo! co la bocca da latte!

Cecchino. Uh, ecco la padrona.

Pantalone. Gh’ho gusto da galantomo.

Cecchino. Quando la vedo, ho più paura di lei, che non aveva dello staffile del mio maestro. (parte)

SCENA II.

Pantalone e donna Violante.

Pantalone. De sti bei complimenti, nevvero siora, i ve fa? de sti bei elogi?

Troveran forse ambidue

L’un la capra di Giove, e l’altra di bue.

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Violante. Sì signore, la capra Amaltea, e Giove trasformato in toro per il rapimento di Europa.

Pantalone. E Venere trasformada in fersora1, per frizzer i vostri vovi.

Violante. Dimandatele a mio nipote.

Pantalone. Eh, ziradonarlo2 anca elo sto pezzo de aseno, che ve fa dar volta al cervello.

Violante. Parlate con rispetto di mio nipote.

Pantalone. In sta casa no vôi che el ghe vegna più.

SCENA III.

Don Pirolino e detti; poi il servitore di Pantalone.

Pirolino. Servitor umilissimo di lor signori.

Pantalone. Cossa fala qua, patron?

Pirolino. Vale, domina zia.

Violante. Valete, nepos.

Pantalone. Cossa diavolo diseli?

Pirolino. Vale, domine Pantaleo de Necessitatibus.

Pantalone. Vorla fursi dir Pantalon de’ Bisognosi?

Pirolino. Maxime.

Pantalone. Sior Massimo e siora Massima, mi no gh’ho bisogno dei so mattezzi; le farà ben andar a spuar latini fora de casa mia; mi no gh’ho nè acqua, nè fien, da pascolar sta sorte de virtuosi.

Pirolino. Io son qua per un affar di premura. Ho trovato il servitore del notaro attuario della vostra causa. D’ordine del suo padrone mi ha dato questo foglio. Mi ha detto che lo dia a voi, o al signor Pantalone, che poi sarà qui egli in persona post prandium. (a donna Violante)

Violante. Intendete? Sarà qui dopo pranzo. (a Pantalone)

Pantalone. Cossa contien quella carta?

Pirolino. Per quel che mi ha detto il servitor del notaro, questa [p. 190 modifica] è la copia della sentenza uscita calda calda a judice pro tribunali sedente.

Violante. Dal giudice che sedeva sul tribunale: avete capito? (come sopra)

Pantalone. Donca la causa xe terminada. La sentenza xe dada.

Pirolino. Ergo la sentenza è data.

Pantalone. Ergo, chi l’ha vadagnada? (a don Pirolino)

Violante. Oh cieli! l’abbiamo noi guadagnata? (a don Pirolino)

Pirolino. Basta leggere la sentenza, e si saprà.

Pantalone. No l’avè letta? (a don Pirolino)

Pirolino. Io no. Nec oculus in carta, nec manus in arca.

Pantalone. Cossa alo dito mo adesso? (a donna Violante)

Violante. Ha detto benissimo. Guardate presto se abbiamo vinto. (a don Pirolino)

Pirolino. Signora zia, la causa è perduta.

Pantalone. L’avemo persa? Con che fondamento lo disela?

Violante. Don Pirolino, con qual fondamento lo dite voi?

Pirolino. Ecco qui le tremende parole: Domina Violante de Bisognosi partem adversam condemnando.

Pantalone. Cossa mo vorlo dir?

Violante. Non l’intendete? Io sono la condannata. (a Pantalone)

Pantalone. Pussibile che la sia cussì!

Pirolino. La mettereste in dubbio? Chi sono io? Un babbuino?

Pantalone. Ma par ancora impussibile. El dottor Balanzoni, che ne defende, ha sempre dito che gh’avemo rason; che el giudice l’intende in nostro favor. Ma sto no vegnir elo a portarme la niova della sentenza, me mette in qualche sospetto. Oe, gh’è nissun de là?

Servitore. La comandi.

Pantalone. Vardè mo se fusse a casa el sior dottor Balanzoni; diseghe ch’el favorissa de vegnir da mi, se el pol, o che el m’aspetta, che vegnirò mi da elo.

Servitore. L’ho veduto poco fa dalla finestra entrare nel di lui studio.

Pantalone. Andè donca, e diseghe quel che v’ho dito. [p. 191 modifica]

Servitore. Vado subito. (parte)

Pirolino. Signora zia, tenete la vostra sentenza. Parliamo di una cosa che preme di più.

Pantalone. Cossa ghe poi esser de mazor premura? Ghe disè gnente una perdita de sta sorte? Me par ancora impussibile.

Pirolino. V’ha detto nulla la signora zia? (a Pantalone)

Pantalone. De cossa?

Pirolino. Non gliel’avete detto al signor Pantalone? (a donna Violante)

Violante. Che cosa?

Pirolino. Non gliel’avete voi detto, ch’io sono innamorato come una bestia, e che la mia bella vocatur Elvira?

Pantalone. Donna Violante no me l’ha dito, ma l’ho savesto, patron; e mi ve rispondo, che mia nezza no la xe nassua per far razza de matti.

Pirolino. Heu me miser!

Pantalone. E in sta casa me farè servizio a no ghe vegnir. Avè rovinà el cervello a donna Violante, no vorria che fessi l’istesso con mia nezza Elvira. M’aveu inteso, sior?

Pirolino. Heu me miseri Si vales, bene est, ego quidem valeo. (parte)

SCENA IV.

Donna Violante e Pantalone.

Pantalone. Oh che pezzo de matto! E cussì, siora nezza, l’aveu gnancora ben capia quella sentenza?

Violante. Ah signor Pantalone, la causa noi l’abbiamo perduta.

Pantalone. No so cossa dir: son fora de mi.

SCENA V.

Dottor Balanzoni e detti.

Dottore. E qua il signor Pantalone? (di dentro)

Pantalone. Oh, el xe lu da galantomo; el vien a tempo. La resta servida, sior Dottor. [p. 192 modifica]

Dottore. Signor Pantalone riveritissimo, sono stato prevenuto da una sua imbasciata, nel tempo istesso che venivo per riverirla.

Pantalone. Scusè se v’ho incomoda...

Dottore. Fo umilissima riverenza alla signora donna Violante.

Violante. La riverisco. (sostenuta)

Pantalone. Scusè se v’ho incomodà. Me premeva de saver...

Dottore. L’esito della causa?

Pantalone. La xe donca spedia la causa?

Dottore. Certo, la causa è spedita, e l’abbiamo guadagnata; e la parte avversaria è stata condannata in tutte le spese.

Pantalone. Oe, cossa disela, siora donna Violante?

Violante. Oimè! temo che il signor Dottore ci voglia mascherare la verità.

Dottore. Come? Un affronto di questa sorta ad un uomo della mia qualità?

Violante. Ma non è questa la sentenza?...

Dottore. Il dottor Balanzoni è un uomo cognito ed esperimentato. (levando a donna Violante la sentenza, legge forte) Nos, et in causa vertenti etc. (borbotta) In tutti i tribunali si parla di me con stima, con rispetto e venerazione. Dicimus, pronunciamus etc. (come sopra) In tanti anni ch’esercito l’onoratissima carica dell’avvocato, ho sempre sostenuto il decoro della mia illibatissima professione.

Violante. Signor Dottore, lasciate parlare a me...

Dottore. Prima di parlare, bisogna pensare a quel che si dice.

Pantalone. Ve dirò con qual fondamento...

Dottore. Il fondamento della causa l’ho conosciuto, (come sopra) La causa è vinta, la sentenza è data. La copia è questa: leggetela, consolatevi, e del Dottore pensate bene, parlate bene e preparatevi di pagarlo ancora bene.

Pantalone. Cossa disela, siora donna Violante?

Violante. Questa sentenza ci dà torto, o ci dà ragione? (al Dottore)

Dottore. In che linguaggio l’ho da dire? Ci dà ragione, abbiamo guadagnato.

Pantalone. Sentela, siora donna Violante? [p. 193 modifica]

Violante. Ma non dice: Domina Violante de Bisognosi partem adversam condemnando?

Dottore. Signora no, non dice così. Se confonderemo i termini, se romperemo il senso, e se stroppieremo le parole in questa maniera, so ancor io che la sentenza avrà un altro significato; ma a leggerla come si deve, dice così: Sententiamus, pronuntiamus etc. iuxta petita a domina Violante de Bisognosi, partem adversam condemnando in totum et in expensis etc. che vuol dire: sentenziamo, pronunciamo, a tenore della domanda di donna Violante de’ Bisognosi, condannando la parte avversaria in tutto ecc. e nelle spese.

Violante. Don Pirolino non la intendeva così.

Dottore. È un asino. Prenda la sua sentenza, la faccia leggere a chi la intende, e non ad un babbano, ad un ignorantaccio, che in materia di studio e di sapere est tanquam tabula rasa. E se vossignoria le attenderà, la farà impazzire. Io sono un uomo di onore: suo nipote è un buffone; e mi perdoni, vossignoria può dire unicamente per sua scusa: per verbum nescio, solvitur omnis quaestio. (parte)

SCENA VI.

Donna Violante e Pantalone.

Pantalone. Ala sentio, patrona? Ella che intende el latin, cossa alo volesto dir el Dottor: per verbum quaestio solvitur nescio?

Violante. Sì signore, la questione, idest la causa, l’abbiamo vinta.

Pantalone. La causa xe vadagnada, me ne consolo infinitamente; de mi no la gh’averà più bisogno; la pensa o a maridarse, o retirarse, e la vaga ch’el cielo la benediga. Non ostante me recorderò de ella, e ogni mattina e ogni sera pregherò messier Giove che ghe daga quel che la gh’ha bisogno, che vuol dir contentezza de cuor e sanità de cervello. Poverazza! sanità de cervello. (parte) [p. 194 modifica]

SCENA VII.

Donna Violante sola.

Dunque la causa è vinta, e mio nipote diceva ch’io l’aveva perduta? Possibile che questa sentenza non l’abbia egli intesa? Mio nipote certamente ne sa... Ma se non ne sapesse quanto io mi persuado ch’egli ne sappia, lo sbaglio di chi sarebbe? Di lui, che ne avrebbe fatta una falsissima spiegazione. E in tal caso non potrei sospettar lo stesso della interpretazione di quelle due stanzine, che a dispetto di tutto il mondo, vuole don Pirolino che sieno fatte per nostra lode? In verità, sono un poco confusa. Voglio assicurarmi un po’ meglio della scienza di mio nipote, e se mai per disgrazia mi fossi fin adesso ingannata, sono in tempo di rimediarvi. Posso far di meno di studiare il latino. Apprenderò la lingua francese; in oggi questa è la lingua dominatrice nelle conversazioni; e spero che riuscirò più ammirabile, più gradita, se in vece di dire, domine, maxime, amo, cupio, dirò con un poco di buona grazia: Monsieur, oui, je vous, ja ime je mour, pour vous3 (parte)

SCENA VIII.

Strada.

Don Fausto e Brighella.

Brighella. Ala savudo la bella nova?

Fausto. Qual nuova?

Brighella. La siora donna Violante ha perso la causa.

Fausto. Povera signora! me ne dispiace infinitamente. Come l’hai saputo?

Brighella. Ho incontrà el sior don Pirolino, e el m’ha dà sta notizia.

Fausto. Che sia poi vera? [p. 195 modifica]

Brighella. L’è verissima. I ha avudo la copia della sentenza, e el dise cussì che so zia l’è tutta afflizion.

Fausto. Ora è tempo ch’io faccia conoscere a donna Violante la sincerità della mia stima e dell’amor mio.

Brighella. E la la sposerà con tutti quei pregiudizi che l’ha acquistadi con le belle lezion de don Pirolino?

Fausto. No, Brighella. Questa è l’unica condizione che le sarà da me imposta per conseguir la mia mano: ch’ella abbandoni la pazzia di così pessimi studi.

Brighella. El cielo voggia che la sia cussì. Fora de ste pazzie l’è una signora adorabile. Quando, signor, l’ha sta bona intenzion, mi diria che l’andasse subito a ritrovarla.

Fausto. No, non voglio andar subito. Voglio scriverle prima un viglietto. Voglio darle campo di pensare pria di rispondere; acciò la di lei risposta sia certa, maturata e libera da qualunque immaginabile soggezione.

Brighella. Vossignoria pensa sempre ben, da par suo, con prudenza e con nobiltà.

Fausto. Vedo venir don Roberto. Lasciami solo. Voglio favellare con lui.

Brighella. Comandela che vada a casa?

Fausto. Sì, preparami da scrivere, che ora vengo.

Brighella. La sarà servida. (Oh, se ne trova pochi dei omeni come el me padron. Bon cuor, amor vero, sincerità, l’è una cosa... come dis el poeta: Che vi sia ciascun lo dice; dove sia nessun lo sa). (da sè, parte)

SCENA IX.

Don Fausto e don Roberto.

Fausto. Voi non siete dei più solleciti negl’impegni d’onore.

Roberto. Non sono però dei men coraggiosi per incontrarli.

Fausto. Non si deridono le persone d’onore. Ponete mano alla spada.

Roberto. Sì, lo farò, signor amante ridicolo. (mette mano) [p. 196 modifica]

Fausto. Non ha bisogno di nuovi stimoli l’ira mia. (si battono. Don Fausto rimane ferito)

Roberto. Siete ferito?

Fausto. Sì, son ferito.

Roberto. Vi basta quel poco sangue a cancellare i torti di donna Violante?

Fausto. Giuro al cielo... Ah, non è possibile ch’io sostenga il ferro. In altro tempo vi darò risposta. (parte)

SCENA X.

Don Roberto e poi don Gismondo.

Roberto. Povero stolto! Ci lascierai la vita sotto di questa spada.

Gismondo. Amico...

Roberto. Ora ch’io sono in battermi, ci mancherebbe poco che non mi battessi con voi.

Gismondo. Con chi vi siete battuto?

Roberto. Con don Fausto, e l’ho in una mano ferito.

Gismondo. Povero galantuomo! ed ora vorreste fare a me una finezza simile?

Roberto. Che intenzione avete voi rispetto a donna Violante? Spiegatevi.

Gismondo. Caro amico, cosa occorre che ci confondiamo per lei, ora che ha perduta la lite...

Roberto. Ha perduta la lite donna Violante?

Gismondo. L’ha perduta certo.

Roberto. Chi ve l’ha detto?

Gismondo. Don Pirolino.

Roberto. Che sia poi vero?

Gismondo. È vero pur troppo.

Roberto. Povera donna! me ne dispiace infinitamente. Ora durerà fatica a rimaritarsi. (ripone la spada)

Gismondo. Voi l’abbandonerete per questo?

Roberto. Per dirvela in confidenza, non son sì pazzo a precipitarmi. [p. 197 modifica]

Gismondo. Non so che dire. Io non vi posso dar torto.

Roberto. E voi, don Gismondo, pensate voler continuare ad andarvi?

Gismondo. Oh, per un poco. Per non allontanarmi tutto ad un tratto. Per non far dire.

Roberto. Sì, anch’io ho risolto di far il medesimo.

Gismondo. Bisogna che andiamo a condolerci della sua disgrazia.

Roberto. È vero; questo è un complimento necessarissimo. Andremo poi allontanandoci un poco per volta.

Gismondo. Alla villeggiatura si tronca affatto. M’impegno che in quest’anno s’ha da ridurre in villa sola soletta a verseggiare con suo nipote. (parte)

Roberto. Verseggi con chi le pare. Se ha perduta la speranza de’ ventimila ducati, ella si renderà ridicola sempre più. (parte)

SCENA XI.

Camera.

Donna Violante sola, poi Argentina con lettera.

Violante. Ma se don Pirolino sostiene costantemente che la causa è persa, e contro di me pronunziata; se con tanta franchezza la spiega, la traduce, l’intende, dovrò io credere d’aver vinto, dovrò cantare il trionfo prima d’esserne assicurata? No certamente, non fo sì gran torto a don Pirolino.

Argentina. Signora padrona, ho da darle una cosa che mi fa paura.

Violante. Che cosa?

Argentina. Una lettera insanguinata.

Violante. Insanguinata? come? da chi?

Argentina. Il povero don Fausto, ferito in una mano da don Roberto, l’ha scritta colla mano offesa e l’ha sporcata con il suo sangue. In verità mi rimescolo tutta. Non ho coraggio di rimirarla.

Violante. Da’ qui, da’ qui. Il sangue non mi fa tremare. Ho uno [p. 198 modifica] spirito forte nientemeno di Bradamante, e saprei anche, se abbisognasse, vestir la lorica, e imprigionar le chiome nell’elmo.

Argentina. (Frutto della lettura dei romanzi). (da sè)

Violante. Perchè don Roberto ha ferito don Fausto?

Argentina. Perchè don Fausto l’ha sfidato per causa vostra.

Violante. Il battersi per le donne, è stata sempre azione da cavaliere. Anche don Chisciotte l’ha fatto per la sua bellissima Dulcinea.

Argentina. Ma vedete un poco, signora, che cosa vi scrive quel povero disgraziato.

Violante. Sì, leggiamo. Oimè, questo sangue! Mi sento un certo affanno di cuore. Eh, che una donna di spirito non dee avvilirsi per così poco. Leggiamo. Se questo sangue che per voi io verso... Oimè, non ci vedo più.

Argentina. Che cos’è, signora?

Violante. Niente. Il troppo studiare mi ha indebolita la vista: questo carattere l’intendo poco. Argentina, leggi tu questa carta.

Argentina. Lo farò per obbedirvi; leggerò come saprò. Se questo sangue che per voi verso... Signora padrona, in verità mi si move lo stomaco, non posso più andar innanzi.

Violante. Da’ qui, scioccarella... Può farvi fede dell’amor mio, vengo ad assicurarvi che morirò piuttosto... Mi si offuscano gli occhi. Aiutami, Argentina.

Argentina. Finiamola, se si può... Che morirò piuttosto che abbandonarvi.

Violante. Ma quando sapesse ch’io avessi perduta la lite...

Argentina. Sentite, a proposito della lite. Sa che l’avete perduta.

Violante. Ah! non vi è più lusinga. Anch’egli sa che la lite è perduta. In tal proposito, che cosa dice?

Argentina. La perdita dei ventimila scudi non vi avvilisca; poichè se la mia mano può rimediare alle vostre disavventure, ve la esibisco di cuore.

Violante. Me la esibisce?

Argentina. Sì, chiaramente.

Violante. Con tutta la perdita della mia lite? [p. 199 modifica]

Argentina. Non lo sapete che don Fausto è del miglior cuore del mondo?

Violante. Vi è altro nella lettera?

Argentina. Vi sono delle altre righe; ma qui vi è una parola coperta da una goccia di sangue. Osservate.

Violante. No, non la voglio vedere.

Argentina. Nè men io certamente.

Violante. Finisci di leggere.

Argentina. Non v’è dubbio. Or ora mi mancano le gambe sotto.

Violante. Orsù, abbiamo inteso tanto che basta.

Argentina. Sento gente. (parte)

SCENA XII.

Donna Violante, donna Elvira e donna Aurelia.

Aurelia. Donna Violante, siete visibile?

Violante. Son qui, avete nulla da comandarmi?

Aurelia. Mi dispiace che abbiate perduta la vostra causa.

Violante. Avete sentito dire ch’io l’abbia perduta?

Aurelia. Sì, l’ho sentito dire con mio sommo rincrescimento.

Violante. (Ah, sarà pur troppo la verità). (da sè)

Aurelia. Ma voi siete superiore ai colpi della fortuna. Il vostro spirito non si lascia abbattere dalle disgrazie.

Violante. No certamente, non mi lascio abbattere; sono ancora la medesima. Semper idem.

SCENA XIII.

Don Roberto, don Gismondo e dette.

Roberto. Signora donna Violante, col più sincero sentimento del cuore vi attesto il mio rincrescimento per la vostra lite perduta.

Gismondo. Anch’io ne provo un dolore estremo, signora.

Violante. Tutto Napoli dunque è informato di tal giudizio! Ma niente. Se ho perduta la causa, non ho perduto lo spirito. Il denaro è un dono della fortuna, il talento è un bene ch’è tutto nostro. Voglio che non ostante ci divertiamo; che fac[p. 200 modifica]ciamo delle accademie, delle dispute, delle conclusioni. Ho preparato un argomento bellissimo per la prima riduzione che noi faremo. Eccolo qui: se nella donna sia più pregevole la virtù o la ricchezza. Si troverà chi voglia difendere la ricchezza?

Elvira. Tutti la difenderanno.

Aurelia. Sì, donna Violante; per la parte della virtù dubito che restiate voi sola.

Violante. Non conoscete il merito della virtù. Questi signori non la intendono come voi.

Aurelia. Che dice il signor don Roberto?

Roberto. Io dico che la virtù è bella e buona, ma la ricchezza in ogni conto la supera.

Elvira. E voi, signor don Gismondo, che cosa dite?

Gismondo. Dico che i denari sono la miglior cosa di questo mondo.

Violante. Questi sono paradossi. In queste vostre risposte vi sarà il senso allegorico certamente. Non è possibile che gli uomini dotti preferiscano alla virtù la ricchezza.

Elvira. Sì, vi sarà il senso allegorico, come in quella satira in cui vi dicono infatuata.

Violante. Quella è una composizione bellissima di don Roberto.

Aurelia. È egli vero, don Roberto? Voi ne siete stato l’autore?

Elvira. Sarebbe un bel carattere il signor don Roberto, se sotto pretesto d’amicizia si burlasse così delle persone civili.

Roberto. Dirò dunque, che la composizione di cui si parla, è una satira insolentissima; e giuro sull’onor mio di non esserne autore, e di non sapere da qual mano sia stata fatta.

Violante. Come! non mi avete detto voi stesso poche ore sono il contrario?

Roberto. Sì, l’ho detto per compiacervi. Ma ora con tai scongiuri mi avete obbligato a dire la verità.

Violante. Siete dunque un bugiardo.

Roberto. Son tutto quello che può piacere a madama.

Aurelia. (Oh bellissima!) (a donna Elvira)

Elvira. (Se lo merita quella sciocca). (a donna Aurelia)

Gismondo. Ed io so chi è l’autore di quella satira. [p. 201 modifica]

Violante. Satira?

Gismondo. Così mi pare.

Violante. Ma se avete detto voi pure ch’era una lode.

Gismondo. L’ho detto per compiacere madama.

Violante. Ah, se don Roberto e don Gismondo mi avessero villanamente tradita, sarebbero due mostri più orribili di Minos e di Radamanto.

Roberto. Signora, parlate con più rispetto. Mi meraviglio di voi. (Attacchiamola per cavarci). (a don Gismondo)

Gismondo. Non occorre che mettiate mano alle favole antiche, poichè abbiamo da voi delle favole più moderne.

Violante. Ah, mi si raccapricciano tutti i capelli!

Aurelia. (Eh che sì, che la piantano?) (a donna Elvira)

Elvira. (Suo danno. Merita peggio). (a donna Aurelia)

SCENA XIV.

Don Fausto, Argentina e detti.

Argentina. Ecco il signor don Fausto.

Violante. Ahimè! siete voi ferito?

Fausto. Niente, signora, niente. La mano è fasciata; guarirà la ferita, e sarò presto in grado di attaccar nuovamente chi ha l’ardir d’insultarvi.

Violante. Sì, questi sono due menzogneri, i quali nella presente mia disgrazia si burlano indegnamente di me.

Fausto. Ho piacere che li abbiate finalmente conosciuti. (Don Roberto e don Gismondo parlano tra di loro. Il medesimo fanno donna Elvira e donna Aurelia.

Violante. Ma caro don Fausto, giacchè avete tanta bontà per me, mortificateli questi impositori, e dandomi in presenza loro la mano, scenda Venere pronuba sopra di noi, e Amore ed Imeneo congiungano le nostre destre ed i nostri cori.

Fausto. (Eccola allo stile usato). (da sè) Signora, perdonatemi; se in tali massime continuate, io non vi sposerò certamente. (don Roberto e don Gismondo ridono) [p. 202 modifica]

Violante. Ma, don Fausto, voi vi siete impegnato meco con un viglietto...

Fausto. Ricordatevi delle ultime righe di quel viglietto.

Violante. Per dirla... non le ho lette; erano coperte di sangue: nè Argentina, nè io le abbiamo potute leggere.

Fausto. Che avete fatto di quella carta?

Violante. Eccola. (gli dà la carta)

Fausto. Favorite: terminerò di leggerla io. Ecco, così diceva: Se la mia mano può rimediare alle vostre disavventure, ve la esibisco di cuore.

Violante. Fin qui abbiamo letto.

Fausto. Sentite il resto: Con questo patto però, che abbandonando affatto quel falso amore che concepito avete alle lettere sotto il peggior maestro del mondo, torniate qual eravate un tempo, saggia, moderata e prudente.

Violante. Questa condizione ingiuriosa per una donna della mia sorta, mi fa credere che non mi amiate. Date qui questo indiscreto viglietto, vo’ lacerarlo. Se avessi lette queste ultime righe, se non fossero tanto coperte da questo sangue... (Ma questo sangue l’ha sparso pure don Fausto per amor mio. Qual segno maggiore poteva darmi d’affetto, oltre quello d’arrischiare per me la vita? E se mi ama davvero e in me condanna questo amor per le lettere, quasi quasi m’indurrei a credere d’ingannarmi). (da sè)

Fausto. E bene, che risolvete, donna Violante?

Violante. Lasciatemi pensare per un momento.

SCENA XV.

Pantalone, un Notaro e detti.

Pantalone. Oh, son qua, siora nezza. Questo xe el sior nodaro che ha manda la copia della sentenza, e el dise, e el ne assicura, che la causa l’avemo vadagnada.

Violante. Vinta la causa? [p. 203 modifica]

Notaro. Sì signora, non vi è alcun dubbio. Ella ha vinto la causa, e la parte avversaria è ancor condannata nelle spese.

Roberto. (Oh diamine! la cosa cambia di aspetto). (da sè)

Gismondo. (Ventimila ducati non sono un piccolo patrimonio). (da sè)

Violante. Ma don Pirolino...

Pantalone. Don Pirolino xe un ignorantazzo.

Violante. E tutte queste persone che mi assicurano aver io perduta la lite, con che fondamento me l’hanno detto?

Fausto. A me lo disse il mio servitore Brighella, per averlo sentito dire a don Pirolino.

Violante. E voi, don Roberto, da chi l’avete saputo?

Roberto. Me l’ha dato ad intendere don Gismondo.

Gismondo. Io l’ho sentito dire a don Pirolino.

Violante. E voi altre, signore, perchè avete detto lo stesso?

Aurelia. Domandatelo a donna Elvira. Io l’ho inteso dire da lei.

Elvira. Ed io l’ho inteso dire a don Pirolino.

Pantalone. Ecco qua el fondamento de sti descorsi: don Pirolino.

Violante. Dunque mio nipote...

Pantalone. El xe un pezzo de aseno, che no sa gnente. Questa xe la copia della sentenza, e avemo vadagnà.

Violante. Caro don Fausto, leggetela voi.

Fausto. Volentieri. Favoritemela. (a Pantalone)

Pantalone. La toga, e la persuada, se se pol, quella bona testa.

Elvira. (Ah, come presto si cambiano le speranze in seno!) (da sè)

Fausto. Sì, donna Violante, consolatevi, la causa è vinta. Voi siete l’erede dei ventimila ducati. Godeteli, che il cielo vi benedica.

Violante. Ah don Fausto, li goderò più contenta, se voi mi onorerete della vostra mano.

Roberto. Signora donna Violante, me ne consolo di cuore; ora potrete con maggior tranquillità coltivare il vostro talento.

Gismondo. Sarebbe un peccato che abbandonaste gli studi.

Roberto. Disponete di me, disponete di un vostro servo.

Gismondo. Nelle questioni, nelle accademie, io terrò sempre dalla vostra parte. [p. 204 modifica]

Violante. Ed io da questo punto determino, propongo e giuro, che nè voi, nè altri della vostra fatta, saranno mai più in casa mia tollerati. Andate da me lontani, perfidi adulatori, mendaci, che innamorati della mia eredità deste fomento alle mie illusioni. Don Fausto, uomo saggio, uomo veramente sincero, compatite se ho fatto sì lungamente dei torti al vostro merito. Conosco adesso la verità. Sono disingannata. Ringrazio il cielo che mi ha concesso li ventimila ducati, e questi alla mia mano uniti a voi li offerisco, a voi li dono, in premio della vostra sincerità. (gli dà la mano)

Fausto. Non per i ventimila ducati, ma per la speranza che ritorniate quella saggia donna che foste, vi do la mano e vi prometto esser vostro.

Gismondo. (È fatta).

Roberto. (Non c’è più rimedio).

Gismondo. Mi rallegro infinitamente con i signori sposi. Se posso servirli, mi comandino. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)

Roberto. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)

Fausto. Perfidi! mi renderete conto...

Pantalone. Lassè che i vaga sti musi da do musi; no ghe stè a badar.

Elvira. Ecco: la signora cognata ha ritrovato marito, e di me, signor zio carissimo, non si parla?

Pantalone. Stè attenta, che ve toccherà la volta.

Aurelia. Donna Violante, mi rallegro con voi.

Violante. Spero, donna Aurelia, che alle mie spalle avrete terminato di ridere.

Aurelia. Io?

Violante. Sì, vi conosco. Mi avete anche voi stuzzicata a scrivere, per aver nuova materia da pascolar le conversazioni.

Aurelia. Oh, in quanto a questo ne avete fatte tante, che per degli anni siamo ben provveduti. Signor don Fausto, mi rallegro, se la godi, riverisco tutti. (parte) [p. 205 modifica]

SCENA ULTIMA.

Don Pirolino con vari libri, e detti.

Pirolino. Son qui a provarvi, e farvi toccar con mano, che il dottor Balanzoni è un ignorante, e ch’io intendo il latino meglio di lui.

Violante. Don Pirolino, la causa l’ho guadagnata.

Pirolino. Guadagnata?

Pantalone. Sior sì, vadagnada.

Fausto. L’ha vinta.

Elvira. Sì, l’ha vinta.

Pirolino. Me ne rallegro infinitamente.

Violante. Eh nipote mio, disinganniamoci. Voi non sapete niente ed io da voi non voglio altre lezioni.

Pirolino. Non me n’importa un fico. Mi unirò con donna Elvira, e farò con lei quello che fin adesso ho fatto con voi.

Elvira. Piuttosto che un tal marito, mi eleggerei un ritiro.

Pirolino. Cosa ha detto? (a donna Violante)

Violante. Ha detto che non vi vuole.

Pirolino. Chi non mi vuol, non mi merita. A me non mancano donne. Insegnerò a tante fanciulle la grammatica e la rettorica, finchè con qualcheduna arriveremo allo studio dell’umanità.

Violante. Nipote mio, illuminatevi, che ne avete bisogno. Anch’io, acciecata dall’ambizion di sapere, e dalla fiducia che aveva in voi, mi sono resa ridicola per cagion vostra. Don Fausto mi ha illuminata; don Fausto, che fra gl’infiniti pregi che lo adornano, ha quello della più perfetta sincerità.

Fausto. Sì, donna Violante, di ciò unicamente mi vanto. So che la verità parecchie volte dispiace, ma non ricuso di dirla. So che l’adulazione trionfa, ma io la detesto. Sarò sfortunato, ma sarò sempre sincero.


Fine della Commedia.



Note

  1. Padella.
  2. Probabilmente: farlo girare. Vedasi vol. VII, p. 218.
  3. Guibert, Zatta ecc. stampano: je vous aime, je mour ecc.