La medichessa
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA MEDICHESSA.
Eh, ppe’ ppostème e ppannarisce1 rotte,
È inutile, fijjola, io so’ mmaestra;
E mme sce ggiucherebbe2 la minestra
Co’ li spezziali e ll’antre ggente3 dotte.
Pijja un bajocco d’ellera4 terrestra
E un pizzico de tartero de bbotte,
Bbùlleli,5 e ffàlli stà ttutta sta notte
Ar zereno de for de la finestra.
Dimani all’arba poi, doppo vistita,6
Cola quell’acqua, ssciacquete a ddiggiuno,
Fallo tre o cquattro vorte, e ssei guarita.
Io sce7 curai ’na vecchia de Nottuno,8
Che mm’arrestò9 obbrigata de la vita.
E sti segreti mii nun l’ha ggnisuno.10
17 gennaio 1835.
Note
- ↑ Pannarici: “panarecci„ o “pateréccioli.„
- ↑ Mi ci giuocherei.
- ↑ Le altre genti.
- ↑ Edera. [Ma la forma più comune anche in Toscana è ellera. E per questa, come per tante altre inesperienze del Belli in fatto di lingua italiana, si veda quel che ho dello nell’ultima nota del sonetto: L’età ecc., 14 marzo 34.]
- ↑ Bóllili. [Perchè bollire in romanesco è, più spesso che in fiorentino, anche transitivo.]
- ↑ Vestita.
- ↑ Ci.
- ↑ Nettuno. Villaggio sul Mediterraneo presso il porto d’Anzio, fondato già dai Saraceni.
- ↑ Restò.
- ↑ Nessuno.