La rivoluzione di Napoli nel 1848/3. Alta borghesia

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3. Alta borghesia

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[p. 14 modifica]3. La nazione napolitana è divisa in due classi: il proletario e la borghesia. L’aristocrazia è un essere incompleto ed impotente, la quale non ha che un nome infecondo financo di memorie. Passiamo su lei. Abbiamo guardato il proletario il quale non ha altra risorsa fuori del braccio e dell’intelletto: esaminiamo la borghesia: Questa abbraccia tutti coloro che possiedono, incluso il clero e queglino che attingono la sussistenza nello stato discusso, ossia i funzionari pubblici. La forza sociale è attaccata al possesso della terra. Il capitale mobile vi è nello stato d’infermità e quasi d’intruso, perchè il governo ne ha tarpato ogni slancio, ovvero con savie provvidenze non ha curato mai dargli una vita energica ed attiva. Perciò poca industria e quasi nessun commercio; perciò una subordinazione violenta allo straniero, il quale, quando non ha potuto dominarci con la spada e con la verga, ci ha dominati con i trattati: in guisa che quando finiamo di essere schiavi ci troviamo coloni. La ricchezza del paese quindi, [p. 15 modifica]essenzialmente agricola, è concentrata in poche famiglie e qualche corpo morale, i quali formano un’oligarchia, fortunatamente non assai compatta, perchè sottoposta di continuo, per la paura del governo, all’azione dissolvente di quell’atroce e volgare massima di stato: divide et impera. Questa oligarchia si guarda torva e sospettosa, ed è penetrata ancora del formalismo iberico che la informa della sua superba barbarie, e neutralizza tutta la forza demolitrice del secolo XVIII. Questa oligarchia elevata a principio, ha rimpiazzata l’antica feudalità, e più trista, più avida, più inesorabile poichè è l’aristocrazia dei pervenuti, e perchè accoppia all’istinto dell’usuraio le pretensioni del gran signore. Non vi è piccola città, non vi è piccolo contado o borgata che non abbia uno o due di queste incarnazioni di delitto, tra loro nemici, nemici a tutti. E le disegno col nome di delitto incarnato, perchè le loro ricchezze non sono di ordinario frutto di nobile lavoro cumulato, ma prodotto veloce di qualche immondizia sociale, come usurpazione dei beni municipali, servizio occulto renduto alla famiglia borbonica nei giorni dei suoi rovesci, usure, furti nelle sventure delle rivolte, o altre sordidezze le cui tradizioni non sono cancellate nei nipoti, benchè commesse dagli avi. L’educazione di questa genia è monca ed adulterata. Ha perduto la rustichezza e la bonomia del villano, ma non ha assunto ancora quei modi squisiti, quello slancio sicuro, illuminato e mondo di pregiudizi cui dà una civiltà perfetta, quella cognizione chiara e profonda delle leggi morali che conducono la società. Tenuta nello stato d’infanzia intellettuale da un governo perfido e corruttore, spoglia di quel criterio che dà l’istinto ad uomini da Dio fortemente [p. 16 modifica]organizzati, ingannata nella soluzione dei problemi dello spirito, avvelenata su tutte le nobili tendenze dell’anima, disseccata nel cuore ad ogni affetto generoso, evirata, pervertita, abbindolata, essa non ha avuto campo di meditare i destini umani nel loro splendore e nella loro grandezza, è stata slanciata anzi ed incitata a divorare solo il cammino delle passioni brutali. Sozza dello più schifoso materialismo, per essa, l’alta borghesia, non vi ha che un duplice Iddio, l’oro ed il piacere - il piacere sotto le sue più triste divise, il gioco e l’orgia. Straniera ad ogni sentimento gentile, avida di guadagni e di dispotismo, piega abiettamente il capo al più vile famiglio del potere cui piaccia imporle un desiderio qualunque, per sovraimporre a sua volta questo desiderio al proletario, e su di questo satollarsi di quelle lussurie di dominio e di avarizia che non le dan mai tregua, talchè dopo il pasto ha più fame che pria. Non ci ha disonestà, non ci ha avvilimento, non ci ha tristizia di cui questa classe di tirannelli rimessi a nuovo non si senta capace di farsi strumento. La coscienza non ha per lei più voce: la dignità umana non ha per lei più forma: la virtù ed il vizio sono simboli di successo. Infine non la cede in nefandezze che al prete, a volta a volta suo organo e suo maestro.