La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XX

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Capitolo XX.

Come io, a buona compagnia, difendessi un ponticello perchè il Re non ne venisse accerchiato dai Saracini.


Appresso un poco, ecco qui dritto a noi che guardavamo il ponticello a ciò che i Turchi non passassero, muovere il Conte Piero di Brettagna, il quale veniva di verso la Massora, là ove egli ci aveva avuto un’altra terribile scaramuccia. Ed era tutto tagliato al viso, talmente che il sangue gli usciva in pieno dalle labbra, come s’elli avesse voluto vomitar dell’acqua che tenesse in bocca. Ed era il detto Conte di Brettagna montato su un grosso cortaldo1 basso ed assai ben fornito, e tutte le brettine gli pendeano rotte dallo arcione della sella, ed egli si tenea a due mani al collo del cavallo, di paura che i Turchi i quali gli erano dietro, e che il perseguivan da presso, nol facessero cadere a terra. Con tutto ciò e’ sembrava ch’elli non li dottasse già grandemente, perchè sovente [p. 95 modifica]elli si volgeva verso loro, e loro diceva parole in segno di beffa e di muccerìa. E nella fine di questa battaglia vennero verso noi il Conte Giovanni di Soissone, e Messer Piero di Noille, che l’uomo appellava Quaderno, i quali assai aveano sofferto di colpi quella giornata essendo dimorati alla retroguarda. E quando i Turchi li videro, pensarono ismuoversi e farsi loro davanti, ma quando essi ci ebbero scorti guardando il ponte e colle facce tornate contro di loro, lasciaronli passar oltre dubitando che li saremmo andati soccorrere, in così come al fermo avremmo fatto. Dopo di che io dissi al Conte di Soissone che era mio cugino germano: Sire, io vi prego che voi dimoriate qui a difendere questo ponticello, e voi farete bene; perchè se voi lo lasciate, que’ Turchi che voi là vedete davanti noi se ne faranno via per colpirci, e così il Re dimorerà assalito per didietro e per davanti. Ed egli mi domandò ov’egli dimorasse, se io volessi altresì dimorare con lui: ed io gli risposi che sì molto volontieri. Ed allora, quando il Connestabile udì il nostro accordo, egli mi disse ch’io guardassi bene questo passaggio senza partirmene, e ch’egli ci andava inchieder soccorso. Ed in così ch’io era là sul mio ronzone dimorando al ponticello tra mio cugino il Conte di Soissone a man destra, e Messere di Noille a la sinistra, ecco qui un Turco, che veniva di verso l’esercito del Re, giungere dietro il detto Messer Piero di Noille, e donargli d’una grossa mazza pesante un così gran colpo che lo abbattè steso sul collo del suo cavallo, e poi prese [p. 96 modifica]la corsa per a traverso del ponte, e si fuggì di verso sua gente, pensando che il volessimo seguire, e che così, abbandonando noi il ponte, essi il potessono guadagnare. Ma quando videro che nullamente nol volevamo lasciare, essi si misero a passare il ruscello, e si dimoraro tra quello e il fiume. E quando noi li vedemmo, ci approcciammo d’essi in tale maniera che noi eravamo tutti presti di correre loro sovra, s’e’ si fussono più avanzati del venire.

Davanti noi ci avea due Araldi del Re, donde l’uno avea in nome Guiglielmo di Brono, e l’altro Giovanni di Gaimacio, verso i quali, li Turchi che erano tra il rio e la riviera, come ho già detto, ammenarono di piano de’ villani a piè, gente minuta del paese, i quali gittavan loro zolloni e pietre puntagute a prova e forza di braccio, ed al postutto ammenaronvi un’altra maladizione di Turco che loro gittò tre volte il fuoco greco. Ed a l’una delle volte elli prese alla robba di Guiglielmo di Brono, che lo ispense tantosto, donde assai bisogno gli fu; perchè se vi fosse bastato tanto da focheggiare, ne saria venuto tutto abbragiato. E noi eravamo tutti coverti di verrette e di dardi che isfuggivan dai Turchi, i quali tiravano a codesti duo Araldi. Ora mi avvenne ch’io trovai lici presso un farsettone di stoppaccio ch’era stato ad un Saracino, ed apertolo per lo sparato me ne feci scudo a mio grande uopo e vantaggio, perchè in così io non fui tocco di lor verrette che in cinque luoghi, mentre il mio cavallo ne fu in ben quindici. Ed in [p. 97 modifica]quella, tosto come Dio il volle, arrivò colà uno de’ miei borghesi di Gionville, il quale mi apportò una bandiera alle mie armi, ed una gran coltella da guerra, di che non ne avea punto; perchè d’or innanzi, visto come quella pedonaglia di villani faceva pressa agli Araldi, le incorremmo sopra, e coloro smucciarono prestamente. E nel mentre che noi eravamo là guardando il ponticello, il buon Conte di Soissone, quando fummo tornati dal correre appresso que’ villani, si gabbava meco e dicevami: Siniscalco, lasciamo gridare e braitare questa canaglia, e, per la Dio creffa, siccome solea scuratamerite sagrare2, ne parleremo ancora voi ed io di questa giornata donneando in camera colle dame. Avvenne che sulla sera, prima che ’l Sol cadesse, il Connestabile Messer Umberto di Belgioco ci menò i ballestrieri del Re a piedi, i quali, prontando i tenieri di lor ballestre, ci s’arringarono dinanzi; di che noi altri scendemmo di cavallo dietro la parata de’ ballestrieri. Il che reggendo i Saracini che colà erano, incontanente se ne fuggirono e ci lasciarono in pace. Ed allora mi disse il Connestabile che noi bene avevamo fatto dell’aver così guardato il ponticello, e soggiunse ch’io me n’andassi di verso il Re arditamente, e che non lo abbandonassi sino a che elli fusse disceso in suo padiglione. Ed in cosi me n’andai io di verso il Re, e sì tosto come gli fui presso, arrivò a lui Messer Gianni di Valery a fargli una richiesta che era, [p. 98 modifica]come il Sire di Castillione pregavalo umilmente che gli donasse a menare la retroguarda. Ciò che il Re gli ottriò molto volentieri, e poi si mise a cammino per ritirarsi ai paviglioni, ed io gli levai di testa il morione e gli diedi il mio cappello di ferro assai più leggieri, affinchè prendesse vento e se ne sciorinasse le tempia. Ed in quella che noi camminavamo insieme, venne a lui il Friere Errico Priore dello Spedale di Ronnay, il quale avea passato la riviera, e gli venne baciar la mano tutto armato, e gli domandò s’e’ sapeva novella alcuna di suo fratello il Conte d’Artese. Ed il Re gli rispose, che sì bene, poiché sapea fermamente ch’elli era in Paradiso. Di che il Priore, credendo riconfortarlo, gli disse: Sire, unqua sì grande onore non avvenne a Re alcuno di Francia come a voi, perchè di gran coraggio voi e tutte vostre genti avete passato a nuoto una maestra riviera per andare a combattere i vostri nemici; e talmente avete fatto che voi li avete cacciati, e guadagnatone il campo con esso quegli ingegni che vi facevano sì mala guerra, e vi diportate tuttavia in loro albergherie ed alloggiamenti. — Ed il buon Re rispose, che Dio fusse adorato del come e del quanto che gli donava, ed in così dicendo cominciaro a cadergliene si grosse lagrime, che molti gran personaggi, i quali videro ciò, furo molto oppressi d’angoscia e di compassione veggendolo così plorare, e tuttavia lodare il nome di Dio del quanto gli faceva sì miseramente indurare. — E quando noi fummo arrivati ai nostri albergamenti vi trovammo gran numero di Saracini [p. 99 modifica]a piè, i quali si tenevano alle corde di una tenda, cui essi ammainavano a forza contro molti di nostra gente minuta che la stendevano. Ed il Maestro del Tempio che facea l’antiguarda, ed io corremmo su quella canaglia e la mettemmo a la fuga, sicchè quella tenda dimorò alla gente nostra. Ma non per tanto ci ebbe grande battaglia, nella quale alquanti, ch’erano in burbanza e rinómo, si diportarono molto ontosamente, li nomi de’ quali potrei io ben nomare. Nullameno me ne astengo assai di leggieri, per ciò ch’essi son morti, e mal s’affà a chicchessia il maldire de’ trapassati. Di Messer Guidone Malvicino, vogliovi io invece ben dire, perchè il Connestabile ed io lo rincontrammo in cammino, venendo de la Massora, ben mantenendosi, e sì era egli assai perseguito e pressato da vicino. E già quanto li Turchi aveano da prima ributtato e cacciato il Conte di Brettagna e sua battaglia, com’io vi dissi qui innanzi, altanto nè più nè meno ributtavano e cacciavano essi Monsignor Guidone e sue genti. Ma non meno per ciò ebbe egli grandi lodi di quella giornata, perchè molto valentremente si portò egli con tutta la sua battaglia. E ciò non era punto di meraviglia, perchè io da poi udii dire a coloro che sapevano e conoscevano suo lignaggio e quasimente tutte sue genti d’arme, ch’e’ non ne fallìa guari che tutti i suoi Cavalieri non fussono o di suo lignaggio o suoi uomini di fede ed omaggio ligio, perchè molto più gran cuore e volontà avean essi al lor Capitano, e Maestro. [p. 100 modifica]

Appresso che noi èmmo disconfitti li Turchi e cacciati fuori delle albergherìe loro, li Beduini in trotto si ferirono per mezzo l’oste ch’era stata ai Turchi e Saracini, e vi presero ed asportaro tutto quanto essi vi poteron trovare di relitto; donde io fui forte meravigliato, perchè essi Beduini sono soggetti e tributarii ai Saracini. Ma unqua per ciò non udii dire ch’essi ne fussono al peggio per cosa alcuna che loro avessono tolta o furtata. E dicevano che lor costume era tale di sempre correr su ai fievoli, il che è puntualmente la natura de’ cani; tra’ quali, quando uno n’abbia a chi un altro incorra, ed uomo adizzi questo ed aiuti, ecco tutti gli altri tracorrere sul primo e addentarlo.

  1. Cavallo cui sien mozzate le orecchie e la coda.
  2. Muta croce in creffa, siccome noi sogliam mutare Dio, Cristo, Madonna ecc. in Bio, Crispo, Madosca ecc. per reverenza de’ sacri nomi.