La vita militare/Una sassata

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Una sassata

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L'ospitalità La madre
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UNA SASSATA.



Cominciava a farsi buio. Le vie della città formicolavano di gente. Quelle botteghe che di sera sogliono restar aperte erano in gran parte già chiuse, e l’altre si andavano a mano a mano chiudendo. Qua e là, sui crocicchi, nelle piazze, davanti ai caffè, sulle gradinate delle chiese, v’eran molti capannelli d’uomini e di ragazzi che parlavano fra loro a voce bassa e concitata, volgendosi di tratto in tratto a guardare intorno se nessuna faccia sospetta li stesse ad ascoltare. Era un continuo scendere di gente dalle case nella strada; sostavano un momento sulla soglia, guardavano a destra e a sinistra come incerti del dove dirigersi, e poi s’internavano nella folla. Era un insolito moto, un insolito brulichìo; ma pure nel bisbiglio della moltitudine, comunque più continuo e più forte del consueto, si sentiva un non so che di sommesso e quasi di peritoso. Di quando in quando, una frotta di persone attraversava la via a passo frettoloso, e dietro a loro un lungo codazzo di monelli che si facevano strada fra le gambe della gente a pugni e a spallate, mettendo gridi e sibili acuti. Ad ogni voce che s’udisse un po’ distintamente tra il bisbiglio generale, molte persone si soffermavano e si voltavano indietro domandando che fosse. Era uno che avea detto una parola un po’ più forte dell’altre, ecco tutto; [p. 48 modifica]dopo che la gente lo aveva un po’ guardato ed egli aveva un po’ guardato la gente, ognuno ripigliava la sua strada. Di lì a un momento s’udiva un gran colpo da una parte della via: tutti si voltavano da quella parte: — Chi è? cosa c’è? cos’è stato? — Era un bottegaio che aveva chiuso e sprangato la porta della bottega. Le carrozze procedevano lente lente, e i cocchieri pregavano che si facesse largo con un sorriso insolitamente gentile e un cenno della frusta insolitamente garbato. Sugli angoli delle vie, al chiarore dei lampioni, si vedevano que’ poveri rivenditori di giornali assaliti ad un tempo da cinque, sette, dieci persone, che porgendo il soldo con una mano strappavan coll’altra il foglio sgualcito, e si ritraevan poi in disparte, lo spiegavano in fretta, e cercavan qua e là coll’avido sguardo se vi fosse la notizia di qualche gran cosa. Qualche passante si fermava e faceva crocchio intorno al possessore del giornale; questi leggeva a bassa voce, gli altri ascoltavano attenti.

All’improvviso, si vede correre tutta la gente verso l’imboccatura d’una strada; vi si fa subito un gran serra serra, un gran gridìo, un gran rimescolamento; al di sopra delle teste si vedono quattro o cinque canne di fucile sbattute di qua e di là, s’ode uno scoppio di battimani, la folla ondeggia, dà indietro, si apre da una parte; n’escono a passi concitati quattro o cinque figuri sinistri con un fucile fra le mani, danno un’occhiata intorno in aria di trionfo, imboccano la prima viuzza e via di corsa. Uno sciame di ragazzi, urlando e fischiando, li segue — Che fu? Che è accaduto? — Niente, niente; è stata disarmata una pattuglia di guardia nazionale. Di lì a un momento, la folla si apre da un’altra parte, e n’escono quattro o cinque disgraziati, col volto pallido, col capo scoperto, coi capelli rabbuffati, colla cravatta e coi panni laceri e scomposti; intorno intorno si leva un mormorìo [p. 49 modifica]di compassione; qualche pietoso se li piglia a braccetto, li conduce fuori della calca, e gli accompagna a casa esortandoli con atti e con parole a farsi coraggio.

Intanto fra la moltitudine s’è destato un vivo fermento, un’agitazione convulsa, uno strepito assordante. — Largo! Largo! — si grida improvvisamente da una parte della via. Tutti si voltano da quella parte: — Chi è? Che c’è? Chi viene? — Largo! Largo! — La folla si divide, indietreggia rapidamente, fa siepe ai lati della strada, e una compagnia di bersaglieri l’attraversa a passo di corsa. Una ragazzaglia cenciosa e schiamazzante le tien dietro. La folla si richiude.

Di repente, si leva in un altro punto un rumore confuso di molte voci sdegnate e minacciose; la gente accorre e si accalca in quel punto; al di sopra delle teste si vedono due o tre volte apparire e sparire due cappelli da carabiniere, poi scoppia una salva d’applausi, la folla si divide, n’esce correndo un uomo tutto lacero, pallido, ansante, la gente gli fa largo, è sparito. — E’ volevano mettergli le manette — si mormora da qualcuno in accento di viva soddisfazione — ma non ci son mica riusciti, veh! E’ c’eran dei musi duri che si son messi frammezzo. Oh le vorremo veder belle! Glieli leveremo via noi i ghiribizzi dal capo! —

La folla procede lentamente tutta in una direzione; ancora pochi passi e la via svolta: ad un tratto, la gente che è innanzi si ferma, la gente che le vien dietro le si serra addosso, quella retrocede di alcuni passi, questa è respinta addietro violentemente; poi ritorna a spingere innanzi e poi daccapo retrocede, e ne nasce un parapiglia infinito. — Che c’è? Chi impedisce d’andare avanti? Avanti, avanti — Oh sì, avanti! C’è nientemeno che una compagnia di soldati colla baionetta in canna che sbarra il passaggio. — Urli, fischi, bestemmie, impreca[p. 50 modifica]zioni; — abbasso i prepotenti — non vogliamo prepotenze — giù quei fucili — libero il passo — via di lì. — Ad un tratto la folla volge le spalle a’ soldati, si dà a una fuga precipitosa lasciando il suolo ingombro di caduti, e invade in men d’un istante le vie laterali, i caffè, i vestiboli e i cortili delle case vicine. I soldati banno abbassato le baionette.

— Largo! Largo! — si urla da un’altra parte. Da una delle viuzze laterali s’ode uno scalpitare di cavalli e un suonar di sciabole rumoroso; è uno squadrone di cavalleria che s’avanza; ecco, si veggono luccicare i primi elmi; ecco i primi cavalli; tutto lo squadrone è nella strada; la folla si getta a destra e a sinistra contro i muri delle case; lo squadrone passa, silenzio generale; è già quasi passato, qua e là si leva qualche fischio e qualche voce; è passato, urli, sibili, improperi, e una pioggia di torsi di cavolo e di buccie di limone sopra gli ultimi cavalli. Lo squadrone si ferma, gli ultimi cavalli indietreggiano di pochi passi, la folla volge le spalle e sgombra per un cento passi di strada.

Dal crocicchio più vicino si sente tutto ad un tratto uno scoppio rabbioso di bestemmie, un picchiare di bastoni, un grido acuto, un lamento fioco, e poi un lungo bisbiglio, e poi un pauroso silenzio. — Che è stato? che fu? — Niente, niente; non si tratta che di quattro dita di lama cacciate nella schiena a una guardia di pubblica sicurezza. — La folla si ritira a destra e a sinistra, e un carabiniere col capo scoperto e con ambe le mani nei capelli attraversa la via tentennando e barcollando a mo’ d’un ubriaco. — Che cos’ha? Che gli hanno fatto? — Niente, niente, non gli han dato che una bastonata sul capo. — In piazza! In piazza! — grida all’improvviso una voce poderosa. — In piazza! — si risponde concordemente da tutte le parti. E la moltitudine irrompe [p. 51 modifica]tumultuando nella via più vicina, e si dirige alla piazza.

Tutto questo accadeva non sono molti anni in una delle principali città d’Italia, mentre in una strada vicina al centro del tumulto passava un drappello di otto soldati, un caporale e un sergente di fanteria di linea, per recarsi a dare il cambio a un altro drappello, che stava alla guardia di un edifizio pubblico in una piazzetta vicina. Il drappello andava innanzi a passo lento, e i soldati guardavano curiosamente di qua e di là. Appunto in quella strada appariva più viva che altrove l’effervescenza degli animi e più risoluto e più fiero il contegno della gente.

La pattuglia passò vicino ad un folto crocchio di que’ tali figuri che vengono a galla solamente in codeste sere, i quali colle faccie torve ed accese discorrevano molto clamorosamente in mezzo a un circolo di monellacci adulti, intorno a cui s’era affollata una quantità d’altri monelli piccini. Uno del crocchio vede la pattuglia, si volta, e appuntando il dito verso i soldati esclama a mezza voce: — Guardateli là. — Tutto il crocchio si volta da quella parte, e l’un dopo l’altro alzando gradatamente la voce cominciano a dire: — Già; eccoli là quei che non mancan mai di venir fuori quando il popolo vuol far valere le sue ragioni. — Loro? Se la fanno col calcio del fucile la ragione. — Le baionette son fatte per forar la pancia a quelli che hanno fame. — A loro la pagnotta non manca, capite; crepino di fame gli altri; che importa a loro? E per chi grida ci son delle buone cartucce nella giberna. —

I soldati si allontanavano senza voltarsi indietro. Il gruppo si mosse e, preceduto da un’avanguardia di monelli, li seguì. In un momento li raggiunse, e tenne loro dietro a qualche passo di distanza. I soldati conti[p. 52 modifica]nuavano a camminare senza volger la testa. Uno del gruppo comincia a tossire; un altro starnuta; un terzo tosse più forte; un quarto tira su dai precordi un gran sputo e, volgendosi verso il drappello, lo butta fuori con un gridaccio rantoloso che termina in uno scoppio di risa sguaiate; tutti gli altri battono le mani. I ragazzi fischiano, strillano, e, istigati e sospinti dagli adulti, si vanno adagio adagio avvicinando ai soldati. Questi continuano a camminare senza dar segno d’avvedersi di nulla. Quelli si avvicinano ancora e camminano accanto a’ soldati guardandoli in faccia con un muso di me-ne-rido. Uno di loro comincia ad imitare grottescamente il passo di scuola gridando con voce nasale: — Uno, due! Uno, due! — Un altro prende a contraffare la stanca andatura dei soldati curvi e zoppicanti sotto il peso dello zaino. Un terzo, messo su da uno di quegli sciagurati di dietro, afferra la falda del cappotto del caporale, dà una tirata e via. Il caporale si volta ed alza una mano in atto di dargli un ceffone.

— Eh! Eh! — si grida tosto intorno. — Stiamo un po’ a vedere, adesso. — A un ragazzo! vergogna! — È passato il tempo dei croati. — Si vogliono usare altri modi, adesso! — A un ragazzo! Si provi un’altra volta. —

Uno di que’ soldati, a sentir quelle parole, si morse un dito, vi confisse i denti profondamente, e mise un gemito di rabbia e di dolore. In quel punto, si sentì percuotere il gamellino da un pugno impetuoso, il sangue gli salì violentemente alla testa, si voltò, allungò il braccio e die’ una manata nella spalla al monello che l’aveva percosso, cacciandolo indietro di alcuni passi.

— Ecco! Ecco! — proruppe minacciosamente la turba. — Eccoli i prepotenti! — Peggio dei croati! Peggio dei birri! — Oh n’avremo a veder delle belle! — Te la faremo pagare, sai, razza di cane! — Prepotenti! [p. 53 modifica]Peggio dei croati! Vergogna, percuotere un ragazzo inerme! —

E i monelli, imbaldanziti dall’ira della turba e dalla sicurezza dell’impunità, andavan proprio a cacciar la testa tra soldato e soldato, bisbigliando con voce rauca e invelenita: — Brutto soldato — Prepotente — Birro — Mangia-pane a tradimento — Aguzzino — Crepa, crepa. —

E la turba intorno: — Vergogna! Percuotere un ragazzo inerme! —

— Vigliacchi! — diceva intanto fra sè e sè il povero soldato mordendosi or l’uno or l’altro labbro in modo che il sangue ne schizzava fuori: — Vigliacchi! Un ragazzo inerme! Ma non sapete che ci son delle parole che uccidono? Birro! Croato! A me! A me! Oh! — E si addentava un’altra volta la mano scrollando la testa in atto disperato.

Dopo pochi minuti, sempre seguìto da quella gente, il drappello giungeva nella piazza ed entrava nel suo corpo di guardia: una stanzaccia bassa e squallida, illuminata debolmente da una lanterna. Fu subito mutata la sentinella alla porta del palazzo, a un venti o trenta passi dalla guardia, il drappello che v’era prima se n’andò, e i nuovi arrivati si misero ad assestare gli zaini sui tavolacci e ad appendere le sacche e le borraccie agli uncini.

Giunta a una cinquantina di passi dal corpo di guardia, la gente che tenea dietro al drappello si era fermata e di là andava provocando i soldati con atti e con parole di scherno, a cui essi facevano le viste di non badare. Vedendo che non c’era modo nè verso di suscitare uno scandalo, stavano già per allontanarsi quando uno di loro osservò che il soldato in sentinella era appunto quel tale che poco prima avea percosso il ragazzo nella spalla. [p. 54 modifica]— È proprio lui? — Proprio lui. — Ma davvero? — Ma sì vi dico, è quello stesso. — Ah, razza di cane, adesso t’aggiustiamo noi pel dì delle feste. Aspetta, aspetta. —

E si mossero tutti verso la sentinella. A una trentina di passi, si fermarono, si schierarono, e la stettero guardando in cagnesco. Il soldato stava là, accanto al suo casotto immobile, rigido, colla testa alta e gli occhi fissi in quelle bieche figure che gli si erano parate dinanzi. Ad un tratto, si stacca dal gruppo un giovanastro cencioso, col cappello schiacciato sur un orecchio e un mozzicone di sigaro in bocca, si fa innanzi colle mani in tasca canterellando in aria di corbellatura, e si viene a piantare a un quindici passi di fronte alla sentinella, figgendole in faccia uno sguardo insolente, e incrociando le braccia e atteggiando tutta la persona ad una sprezzante spavalderia.

Il soldato lo guardò.

Allora quel giovanastro girò improvvisamente sui tacchi e gli voltò le spalle, dando in una gran risata di concerto cogli altri, che lo stavano a guardare istigandolo co’ cenni a farsi onore e a dar qualche bella prova di sè.

Il soldato scrollò due o tre volte la testa, strinse le labbra e mandò fuori un lungo sospiro, battendo ripetutamente il piede in terra come per dire: — Ah la pazienza! la pazienza!... è una cosa dura! —

Il monello si voltò un’altra volta di fronte al soldato e, dopo un istante di esitazione, si tolse di bocca il mozzicone di sigaro e glielo gettò ai piedi, indietreggiando di otto o dieci passi per mettersi al sicuro da uno scoppio d’ira e da un assalto improvviso.

Il soldato tremò, impallidì e alzò gli occhi al cielo stringendo i pugni e arrotando i denti; gli si cominciava a offuscar la ragione. — Ma perchè mi fate così? — diceva [p. 55 modifica]poi dolorosamente tra sè volgendo gli occhi e sporgendo la faccia verso quella gente come se in realtà parlasse con loro; — perchè mi fate così? che cos’avete con me tutti voi altri? v’ho fatto forse qualche cosa di male? Io non vi ho fatto niente, io. Gli è perchè ho dato un pugno a un ragazzo? Ma e lui perchè mi è venuto a insultare? chi l’aveva provocato, lui? E chi vi aveva cercati tutti voi altri? Che cosa volete da me? Io non ho offeso nessuno; io non vi conosco nemmeno; io sono un povero soldato, e faccio il mio dovere, e sto qui perchè me l’han comandato. Sì sì, sbeffeggiatemi, fischiatemi, vi fate un bell’onore a trattare i vostri soldati in quel modo.... come se fossero briganti, come se....

In quel punto, un torso di cavolo lanciato con gran violenza rasente la terra, saltellando, sibilando, gli venne a cadere ai piedi. — Dio! Dio! — egli gridò disperatamente, coprendosi con una mano la faccia e chinando la fronte sull’altra che teneva appoggiata sopra la bocca del fucile. — Io perdo la testa! Io non posso più resistere! Io mi brucio il cervello!... Ma allora è inutile, — gridò poi con voce soffocata e tremante dall’ira e dal dolore — è inutile che ci facciano portare queste.... — e die’ una forte manata di sotto in su nelle due medaglie che portava sul petto facendole urtare fra loro e risonare; — è inutile che ci diano le medaglie perchè abbiamo fatto la guerra pel nostro paese, se poi ci gettano in faccia i mozziconi di sigaro e i torsi di cavolo! Ah voi volete farmi abbandonare il mio posto? Voi volete che io tradisca la consegna? Ci foste anche cinquanta, vedete, ci foste anche cento, non mi fareste movere di qui; mi saltaste pure addosso tutti in una volta; io mi farei sventrare come un cane; ma al primo venuto, almeno al primo, una palla nel petto e a due altri, almeno a due, la baionetta nel ventre. Venite [p. 56 modifica]avanti, vigliacchi. Non insultate da lontano. Sì, sì, lo capisco, è inutile che mi facciate segno, lo so bene io che avete i coltelli nelle tasche; ma non siete mica da tanto da piantarceli nello stomaco e alla luce del sole! Voi ce li volete piantare nella schiena e di notte e....

Ad un tratto ruppe in un altissimo grido, lasciò cadere il fucile, portò tutt’e due le mani alla faccia, vacillò e cadde ai piedi del casotto: aveva toccato una sassata nella fronte.

Tutti gli altri soldati accorsero; la turba si disperse e scomparve; il ferito fu trasportato nel corpo di guardia col viso e le mani e i panni sanguinosi; gli fu subito lavata la ferita, fasciata la fronte, dato da bere, e preparato un po’ di letto sul tavolaccio colle coperte da campo degli altri soldati. Mentre tutti gli si fanno attorno, e l’affollano di domande e di conforti, e il sergente lo rimprovera perchè non ha chiesto soccorso al primo insolentire di quella gente, entra all’improvviso un uffiziale, e dietro a lui le prime file d’un pelottone di soldati, e nello stesso punto, cacciato innanzi da un vigoroso spintone, balza in mezzo alla stanza un uomo colla faccia livida di terrore, i capelli rovesciati sulla fronte, i vestiti e la camicia ridotti un informe stracciume. Lo avevano arrestato poc’anzi su quella stessa piazzetta i soldati del pelottone allora arrivato: egli aveva opposto una resistenza accanita.

Al primo apparire del prigioniero, il soldato ferito balzò dal tavolaccio, fe’ un salto verso di lui, gli si pose dinanzi faccia contro faccia, lo fissò un momento cogli occhi stralunati ed accesi, mise un grido che gli uscì tronco e rauco fra i denti digrignati, diè un passo indietro, e appoggiandosi fieramente sopra il piede destro e levando la mano sinistra coll’indice teso sul volto a quel miserabile che lo guardava atterrito: — Ah sei tu! — urlò con una voce che gli agghiacciò il sangue; — sei tu! ti [p. 57 modifica]riconosco! Tu m’hai dato del birro nella via, m’hai rotto la testa con un sasso sulla piazza; birro! birro a me! a un soldato! Ah! — Gli si avventò contro, lo afferrò al collo per la giacchetta e per la camicia, lo inchiodò con una spinta alla parete, sollevò un pugno nocchiuto, convulso, gli pigliò la mira del capo coll’occhio bieco e sanguigno.... Tutto questo in un lampo; i presenti s’interposero, li divisero, due soldati afferrarono e trattennero per le braccia il ferito, un caporale sorresse quell’altro disgraziato che stava per cadere, e tutti e due stettero così qualche momento a guardarsi negli occhi ansando e sbuffando; l’uno, bianco dalla paura, le braccia penzoloni e il capo abbandonato sopra una spalla; l’altro colla faccia alta ed accesa, i pugni serrati e tutta la persona agitata da un tremito violento. Intanto una folla di curiosi s’era radunata davanti alla porta del corpo di guardia.

L’uffiziale guardava attonito gli uni e gli altri, e collo sguardo e col gesto dimandava al sergente e al caporale la cagione dell’accaduto. Il sergente, in mezzo a un silenzio generale, raccontò tutto quel che sapeva. L’uffiziale ascoltò attentamente, stette un minuto sopra pensiero, diede uno sguardo ai cittadini che s’erano avanzati fino alla soglia della stanza, come per dire: — Sentite, — e poi volgendosi al prigioniero: — Cosa faresti tu — gli domandò — a un soldato che t’avesse tirato una pietra nella testa?... Non temere; per parte nostra non ti sarà torto un capello; i soldati non si vendicano; stanne pur sicuro. Lo vedi questo qui? — E indicò il soldato ferito. — Se adesso i tuoi compagni se la pigliassero con te e ti volessero ammazzare, egli si getterebbe fra te e loro e si buscherebbe un’altra sassata per difenderti. Ma tienti bene a mente, e questo lo dico per tutti quelli che mi sentono (e accennò la porta); tenetevi bene a mente questa verità: che c’è qualcuno ancor più scellerato, [p. 58 modifica]più vigliacco e più spregevole dell’assassino che salta dal cespuglio sulla strada e pianta il coltello nelle reni al viandante senza sospetto e senza difesa; e questo qualcuno è colui che tira un sasso nella testa a un soldato e poi fugge a nascondersi nella folla dei curiosi e degli onesti, dove sa che la sua baionetta non può penetrare. E poi se quella baionetta lo raggiunge.... eravamo inermi! si grida, eravamo inermi! e s’incrociano le braccia sul petto e si abbassa la testa e si fa le vittime!... Eravamo inermi! È una menzogna! Voi lo sapete che vi son degl’insulti che ci straziano l’anima, che ci offuscano la ragione, e che per noi i vostri torsi di cavolo sono punte di coltello nel cuore.... Credetelo; perchè i soldati si facciano rompere coraggiosamente il petto dalle palle dei nemici bisogna che essi vadano alla guerra senza il cappotto macchiato dalle buccie di limone dei loro concittadini; il soldato assuefatto ai fischi del suo popolo non si assuefarà mai ai fischi delle palle sul campo di battaglia.... Non crediate per questo che egli serbi rancore contro di voi, e che le vostre offese possan mai fargli intiepidire nel cuore l’affetto pel suo paese. Se domani il paese lo manda alla guerra, egli ci va allegramente colle cicatrici delle vostre sassate sul viso, e in mezzo agli applausi e ai saluti dimentica i fischi del giorno innanzi, e stringe le mani che lo hanno percosso. Ma pensate però che questo soldato che pone il suo petto fra voi e i vostri nemici, che accorre al vostro capezzale nei giorni delle epidemie, che spegne gl’incendi delle vostre case, che veglia le notti alla campagna per difendere le vostre terre e le vostre famiglie dalle bande degli assassini; pensate che questo soldato non ha che un solo conforto, un solo compenso a tante fatiche, a tanti pericoli, a tanti sacrifizi, e questo compenso è la stima e l’affetto dei suoi concittadini.... Guai se glielo torrete! [p. 59 modifica]Le fatiche gli diventeranno insopportabili, i pericoli gli faranno paura, la virtù del sacrifizio troverà il suo cuore chiuso e ghiacciato, e allora.... allora pensate che in quest’esercito avete i vostri fratelli, i vostri amici, che domani ci sarete forse voi stessi, che un giorno ci manderete i vostri figliuoli.... Basta così; alzati, sciagurato. —

Il prigioniero era caduto ai piedi dell’uffiziale.

— Bravo! Sicuro! Giustissimo! — esclamò con voce commossa la gente che era sulla soglia, e a poco a poco entrò nella stanza.

— Alzati! — ripetè l’uffiziale. Quegli si alzò. — Scusi, signor tenente — disse uno della folla facendosi innanzi e ponendosi una mano sul petto; — quest’uomo deve domandar perdono al soldato che ha ferito. — Tutti approvarono.

L’uffiziale interrogò collo sguardo il soldato; questi scrollò una spalla. La gente insistè; l’uffiziale e il soldato dissero un’altra volta di no. La folla, più vivamente commossa dalla generosità di entrambi, ripetè con molto calore le sue istanze. Allora il prigioniero si prostrò spontaneamente ai piedi del soldato. Metteva pietà: era tutto stravolto e tremante; ansava forte colla faccia nascosta nelle mani e tentava e non poteva profferire quella parola, che più che dal volere degli astanti, gli era forse imposta dal cuore. Il soldato lo guardò un istante in aria di compassione.

— Perdonagli! — gli disse l’uffiziale.

— Per me, — rispose il soldato con un accento che volea parer noncurante e non l’era, — per me.... gli ho già bell’e perdonato.

— Bravo! — dissero ad una voce i soldati, i cittadini e l’uffiziale.

Intanto questi aveva acceso un sigaro alla lanterna e lo teneva fra le dita. Il prigioniero uscì, scortato [p. 60 modifica]dal sergente e da quattro soldati, asciugandosi gli occhi colla manica della giacchetta; tutta l’altra gente, mormorando, lo seguì.

— E tu sta allegro, veh! — disse l’uffiziale al ferito battendogli una mano sulla spalla e ponendogli coll’altra il sigaro in bocca.

Il soldato addentò il sigaro sorridendo, mandò fuori due o tre boccate di fumo, e poi, premendone la punta tra l’indice e il pollice per farlo meglio fumare, rispose con una faccia perfettamente serena:

— Sicuro che sto allegro.... ma capirà bene, signor tenente, che, in fin dei conti, le son cose che annoiano.

— Oh! te lo credo! — esclamò l’uffiziale ridendo.

Tutti i soldati risero, rise anch’esso il povero ferito, e si continuò a chiacchierar di bubbole per un altro paio d’ore, tanto che, in fin dei conti, la fu una delle più allegre serate.... che si possano passare in un corpo di guardia.