Le Laude (1915)/LXXXVIII. Como in l'omo perfetto sono figurate le tre ierarchie con li novi cori de angeli

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LXXXVIII. Como in l'omo perfetto sono figurate le tre ierarchie con li novi cori de angeli

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LXXXVIII. Como in l'omo perfetto sono figurate le tre ierarchie con li novi cori de angeli
LXXXVII. De l'amor divino, la misura del quale è incognita LXXXIX. Arbore dell'amore divino

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LXXXVIII

Como in l’omo perfetto sono figurate le tre ierarchie
con li novi cori de angeli

     L’omo che può la sua lengua domare,
grande me pare che agia signoria;
ché raro parlamento può l’om fare
che de peccar non agia alcuna via;
agiome pensato de parlare,
reprendomi, ché faccio gran follía;
ca senno en me non sento né affare
a far devere grande diceria;
ma lo volere sforza el ragionare
preso ha lo freno e tiello en sua balia.
     Però me seria meglio lo tacere,
ma veggio ch’io non lo posso ben fare;
però parlo e dico el mio parere
ed a correzione ne voglio stare;
pregove tutti che vi sia en piacere
de volere lo mio ditto ascoltare,
e recurriamo a Dio en cui è ’l sapere
che l’asina de Balaam fece parlare,
ch’ello me dia alcuna cosa dire
che sia sua laude e a noi possa giovare.
     Pareme che l’omo sia creato
a la imagine di Dio e semiglianza;
lo paradiso pareme ordinato
de nove orden d’angeli en ordenanza;
en tre ierarchie è el loro stato
de quella beatissima adunanza,

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     or facciamo che l’uomo sia en stato
che truove en sé quella concordanza;
e parerne d’averlo retrovato,
se io non fallo nella mia cuitanza.
     Tre ierarchie ha l’omo perfetto:
la prima si è ben encomenzare;
lo secondo stato è piú eletto
ch’en megliorar fa l’om perseverare;
ottimo lo terzo sopra eletto,
omo che consuma en ben finare;
non se ne trovò ancor decetto
chi con questi tre volse albergare,
molto me ne trovo en gran defetto
ché io al primo ancor non volse entrare.
     Aggiome veduto e ben pensato
che l’uom perfetto a l’arbor se figura,
che, quanto piú profondo è radicato,
tanto è piú forte ad onne rea fortura;
de vil corteccia veggiolo amantato,
conservace l’umore e la natura,
de rami, foglie e frutto è adornato
lavora d’onne tempo senza mura;
da poi che ’l frutto hacce appicciato,
conservalo, nutrica e poi el matura.
     La fossa dove questo arbor se pianta
parme la profonda umilitate;
ché se la radicina loco achianta,
engrossace ad trar l’umiditate,
e fa l’arbor crescere ed enalta,
non teme freddo né nulla siccitate;
standoce gli ucelli, loco canta,
esbernace con grande suavitate,
nascondece lo nido e sí l’amanta,
che non se veggia a sua contrarietate.
     Lo ceppo che la radice sí divide
pareme la fede che è formata,

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e le radice dodece ce vide,
gli articoli con essa congregata;
se ensemora non gli tien, la conquide
deguasta l’arbor tutta conquassata,
se ensemora l’abracci, sí te ride,
allitate nella buona contrata,
e cámpate dal loco o’ s’allide
quilli che la tengono viliata.
     Lo stipite ch’en alto se depone
parente l’altissima speranza,
divide da la terra tua magione,
condúcetela en ciel la vicinanza;
se loco ce demori onne stagione
gaudio ce trovi en abundanza;
cerchi la citade per regione,
cantasi lo canto de alegranza,
parete lo mondo una pregione,
videlo pieno de grande fallanza.
     Lá ’ve gli rami hanno nascimento
pareme che sia la caritate;
la prima ierarchia è ’l comenzamento,
tre rami ce trovi en unitate;
destenguese per bello ordenamento
ciascuna en sua proprietate;
grande trovi en loro comenzamento
pensando nella loro varietate,
l’uno senza l’altro è sviamento
e non verría a compita veritate.
     Lo primo ramo d’esto encomenzare,
lo qual al primo orden se figura,
angeli sí audimo nominare,
sí come n’amaestra la Scrittura;
angelo se vole enterpretare
messo nobilissimo en natura,
messo che ne l’alma pòi trovare;
paiome gli pensier senza fallura,

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     lo Spirito santo halli ad inspirare
che nullo gli pò aver per sua fattura.
     Poi che se’ stato assai nello pensiere,
che de lo star con Dio hai costumanza,
lo diletto méttete a vedere
gli ben c’hai recevuti en abundanza,
e chi se’ tu per cui volse morire,
che rotta gli hai la fede e la lianza,
e che esso Signor volse soffrire
da me peccatore tanta offensanza;
de vergogna vogliomene vestire,
non trovo loco ne la mia cuitanza.
     De lo pensiere nasce un desio,
che el secondo ramo puoi appellare;
arcangeli figura, como creio,
che summi messi puoti enterpretare;
de pianger non trovo unqua remeio,
enfiase lo core a suspirare,
ed ov’è ’l mio Signor ch’io non lo veio?
derrata so ch’el volse comperare;
respondemi, Signor, c’altro non cheio;
desidero morir per te amare.
     La lezione damme una ensegna
ca, se voglio trovar lo mio Signore,
ad opera compita opo è ch’io vegna,
se vol che viva e cresca lo suo amore;
lo terzo ramo mostrarne ed assegna
nome de virtute per dottore;
chi questo ramo prende, bene aregna,
albergalo con l’altro emperadore,
e de viver prende una convegna
che sempre va crescendo per fervore.
     La seconda ierarchia, co a me pare,
che en tre distinzione è ordinata,
che nella prima non puoi dimorare;
se con questa non fai tua giornata,

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     con l’impedimenti opo t’è pugnare;
se vol che vada en pace la contrata,
li cinque sensi opo t’è domare
che la morte al core hanno ministrata;
dominazione si può appellare
questa signoria cusí beata.
     Lo secondo ramo è principato,
en elle creature ordinamento,
che ciò che vede ed ode ed ha pensato,
ciascuna rieca suo consolamelo,
laudando lo Signor che l’ha creato
per sua pietate e piacemento;
ciascuna conserva lo suo stato,
reprèndete c’hai fatto fallimento,
consèrvate lo core en uno stato
che sempre de Dio trovi pascimento.
     Le vizia, che stanno a la nascosta,
ciascuno se briga de aiutare,
de non lassar l’albergo fanno rosta,
ciascuno se briga de esforzare;
l’orden de le potestá se cci acosta,
tutte le virtude fa congregare;
la battaglia dura sí s’è mosta
l’una contro l’altra a preliare;
le vizia sí fugono la iosta,
lassan lo campo e brigan de mucciare.
     L’umilitate la superbia vide,
d’un alto monte sí l’ha tralipata;
la envidia, vedendo, sí se allide,
la caritade l’arde ed ha brusata;
e l’ira, ciò sentendo, sí se occide,
la mansuetude sí l’ha strangulata;
l’accidia, che unqua mai non ride,
iustizia l’ha troppo ben frustata;
avarizia, c’ha morti li suoi rede,
la pietate sí l’ha scorticata.

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     Lussuria sí sta molto adornata,
pensa per sua belleza de campare;
ma la castitate l’ha accorata,
molto dura morte gli fa fare;
ed en un pilo sí l’ha sotterrata,
e loco agli vermi fala devorare;
la gola sí n’è molto empaurata,
discrezione volese amantare;
ma la temperanza l’ha pigliata,
tienla en pregione e fálase enfrenare.
     Poi che le virtute hanno venciuto,
ordenano d’aver la signoria;
lo terzo stato claman per aiuto,
ché, senza lui, prendon mala via;
cercano la Scrittura, han envenuto
o’ lo Signor de riposar desía,
concordia sí hanno conceputo,
ch’en trono de lo ’mperio segga dia;
el per elezione l’hanno elegiuto
che rega e tenga tutta la bailía.
     Le virtute fanno petizione
a la signoria que deggian fare,
ché ciascuna vol la sua ragione,
ed estatuto vogliono ordenare;
de la concordia trovan la magione,
lá ’v’ella co lloro deggia reposare,
e discordia mettono en pregione,
che onne ben faceva deguastare;
ed onne tempo vogliono ragione
e nullo feriato voglion fare.
     Concordia non può bene regnare,
se de sapere non ha condimento;
lo secondo ramo fonno clamare
che de sapere ha l’amaestramento;
cherubini vogliono abracciare,
contemplando el Signor per vedemento,

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     ed en sua scola voglion demorare,
che da lui recevan lo convento;
lo ’ntelletto volsece apicciare,
ché de legere ha forte entendemento.
     Ché, quanto piú el sapere va crescendo,
tanto piú trova en Dio la smesuranza;
lo ’ntendemento vasse devencendo,
anegalo en profondo per usanza
l’ordene serafico, apparendo
nello ’nfocato viver per amanza;
questo defetto vásecce adempiendo,
abraccian lo Signor per desianza
e cusí sempremai lo va tenendo,
en ciò la caritate ha consumanza.
     Or preghiamo lo Signore potente
che per sua bontade e cortesia
esso dirizi sí la nostra mente,
che sempre tengam la diritta via;
sí ch’en futuro non siam perdente
d’aver en cielo la sua compagnia;
molto se porrá tener dolente
chi nello ’nferno fatt’ha albergaria,
ché sempre viverá en fuoco ardente;
campene noi la Vergene Maria. Amen.