Le Mille ed una Notti/Storia d'Abukar e d'Abussir

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Storia d'Abukar e d'Abussir

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Storia d'Abukar e d'Abussir
Storia del Re Gilia, del visir Scimas, e de' loro figliuoli Storia del Mercante di Omman
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NOTTE CMXI-CMXX

STORIA

D’ABUKIR E D’ABUSSIR.

— Era una volta nella città di Alessandria un tintore, chiamato Abukir, ed un barbiere del nome di Abussir. Ambedue aveano la bottega nel bazar, vicino l’un all’altro. Il tintore era un astuto furbo che non si faceva verun scrupolo di gabbare la gente. Allorchè gli si portava da tingere una pezza di stoffa, Abukir domandava denaro anticipato, col pretesto d’abbisognarne per comprare i colori, ed appena l'aveva, l'adoperava a tutt’altro oggetto. Trovava poi modo, con diversi raggiri, di far passeggiare la gente innanzi indietro. Infine, fingendosi disperato, giurava che gli era stata rubata la stoffa, ed aver fatto il possibile per trovarne di simile senza riuscirvi: tali scroccherie gli riuscirono per qualche tempo; ma essendosi sparsa la voce del vero in tutta la città, Abukir perdette tutto il suo credito.

«Avendo giuocato un simil tiro ad un personaggio potentissimo, volle questi fargli chiudere la bottega; ma non vi si trovarono che alquanti vasi rotti — È maraviglia,» disse il barbiere al tintore, «che tutti i birboni s’introducano sempre nella vostra bottega, mentre nella mia, che vi sta accanto, non ne veggo mal uno solo.» Abukir confessò senza più al suo vicino la verità, dicendogli che la povertà l’avea [p. 275 modifica] costretto ad usare simili astuzie. — Anch’io ricavo dal mio mestiere assai scarso profitto,» soggiunse il barbiere; «ma il timor di Dio m’ha sempre tenuto lontano dal commettere simili falli.— Orbene, fratello,» riprese Abukir, «poichè siamo entrambi disgustati del mestiere che esercitiamo, lasclamo il paese e poniamoci a viaggiare. Tu sai cosa disse un poeta in lode dei viaggi:

««Lasciate il vostro paese e viaggiate, se aspirate a grandi cose, chè dal viaggiare provengono cinque vantaggi: Si prova piacere, s’arricchisce, acquistansi cognizioni, si contrae l’uso del mondo, e si fanno amici. Sarebbe meglio esser morto che restar di continuo nel medesimo sito come un insetto.»»,

«Perciò, fratello chiudiamo le botteghe e viaggiamo pei nostri interessi. Metteremo in comune gli utili, e ce li divideremo al nostro ritorno in Alessandria. —

«Imbarcaronsi in quello stesso giorno e misero alla vela. Volle il caso che Abussir fosse il solo sulla nave che sapesse radere la barba, e v’erano a bordo centoventi passeggeri, oltre il capitano e la ciurma. Invece di ricevere denaro, Abussir si fece pagare in provvigioni da bocca, a riguardo specialmente del compagno, ch’era ghiottissimo di buoni bocconi; questi intanto non faceva altro che dormire tutto il giorno, nè davasi pensiero di nulla. Venne il barbiere a svegliarlo e lo pregò d’andar dal capitano che l’invitava a pranzo; ma Abukir era troppo pigro per alzarsi. — Ho la testa stordita dal mal di mare,» gli disse; «andate voi e portatemi qualche cosa.» Abussir gli recò quanto aveva, e l’altro se lo divorò come un lupo. Il barbiere scusò il compagno presso il capitano, e questi, per considerazione d’Abussir, mandò al tintore parecchi piatti della sua tavola; sicchè quando l’altro tornò all’amico, lo trovò lavorando di ganasce [p. 276 modifica] come un camello. — Non ti aveva detto di attendermi?» gli diss’egli; «ecco un pranzo che val meglio di quello che mangi.» Precipitosi Abukir, come l’uccello roc, sopra le vivande che gli presentava, nè lasciò al compagno cosa veruna. Durò la navigazione venti giorni, ed Abussìr ogni sera portava al tintore pietanze della tavola del capitano.

«Finalmente sbarcarono in un porto dove Abussir, preso un appartamento in un okal 1, vi si stabilì come barbiere. Abukir continuò a non uscir dal letto, dicendo sempre che gli doleva ancora la testa pel mal di mare. Lo nudrì il barbiere per quaranta giorni; ma in capo a tal tempo cadde pericolosamente malato, sicchè gli fu impossibile continuar a radere la barba, e non avendo da tre giorni lasciato il letto, il tintore era quasi morto di fame. Vedendo costui ammalato il compagno, cercò d’impadronirsi della di lui borsa, la quale conteneva mille monete da esso guadagnate col sudore della fronte. Presagli la borsa, chiuse la porta, e si mise a percorrere le vie; erano le più belle che si potessero mai vedere, ma notatasi una singolare uniformità nei vestiti degli abitanti. Non vedessi che azzurro e bianco; anzi, nella bottega d’un tintore, Abukir non vide altro colore che azzurro. Entrò egli colà, e presentando una mostra: — Quanto volete,» chiese, «a tingermi questo pezzo di stoffa? — Venti pezze d’argento. — Come! venti pezze d’argento? nel mio paese si tingerebbe per due. — In tal caso, tornate a casa vostra, e fatevela tingere. — Bene, se non potete farlo a meno, me la tingerete in rosso. — Non posso tingere la vostra [p. 277 modifica] stoffa di tal colore, poichè non lo conosco. — Conoscete il verde? — No. — Il giallo? — Nemmeno. — Bisognerà dunque scegliere un altro colore. — Non l’avremo neppure. Non siamo in questa città che quaranta tintori, e siccome niuno, fuor di noi, ha il diritto di aprir bottega, poco ne importa dei progressi dell’arte. — Son tintore di professione,» rispose Abukir, «e posso dare ad una pezza di stoffa più di quaranta colori diversi. Se volete, v’insegnerò i segreti del mio mestiere. — Non ne ho bisogno,» disse quello; «noi non riceviamo nella nostra corporazione nessun forastiere, e conserviamo, senza alterazione, i costumi de’ nostri padri. —

«Si rivolse Abukir ai quaranta tintori della città, dappertutto ricevendo la medesima risposta. Si presentò quindi al re della città per indirizzargli una supplica: gli espose come potesse dare ad una pezza di stoffe più di quaranta colori diversi; ma che il corpo dei tintori, i quali non sapevano tingere se non in azzurro, non voleva riceverlo nè per maestro, nè per compagno. — Hai ragione,» disse il re; «ti darò una maestranza, e se alcuno osasse molestarti, lo farò impiccare alla porta della tua bottega.» In pari tempo, comandò a due architetti di costruire un’officina pel mercante forastiero, oppure una casa, ch’ei farebbe edificare a proprio gusto. Gli fece dare inoltre un cavallo, una pelliccia d’onore ed una borsa di mille zecchini. — Voglio,» disse, «incoraggiare l’industria, e stabilirla ne’ miei stati. — «Il domani, Abukir percorse coi due architetti la città, e scelse una casa che gli parve opportuna. Dietro i suoi ordini, ne formarono un’officina unica nella sua specie. Quindi il re gli mandò cinquemila zecchini, affinchè si procurasse gli utensili ed i colori necessari. Abukir tinse cinquecento pezze di stoffa di colori diversi, e le distese davanti alla sua bottega. [p. 278 modifica] Il popolo, che non aveva mai veduto simili colori, accorse in folla e s’informò del nome del tintore. Fa lieto il re di quel progresso dell’arte, e permise ad Abukir di prendere il titolo di tintore reale. Tutta la corte volle farsi tingere gli abilti, ed i tintori, che non avevano voluto riceverlo nel loro corpo, nè per operaio, vennero a fargli scuse e felicitazioni.

«Abukir ammassò per tal modo ricchezze immense, senza pensare al compagno, al quale aveva tenuta nascosta la sua fortuna, mentre lo sventurato era in punto di morte. Il povero barbiere aveva passato tre giorni senza prendere cibo di sorta, talchè non si poteva muovere. Il custode del khan, il quale non sapeva cosa fosse stato da tre giorni dell’ospite, aprì la porta della camera, ed allora il barbiere si accorse del furto e dell’indegno procedere del compagno, Il custode, pieno d’umanità, sforzavasi a consolare l’ospite, e datogli da mangiare, prese cura di lui per tre mesi intieri che durò la sua malattia. — Dio vi rimuneri,» disse allora Abussir; «egli solo può ricompensare i vostri benefizi e la generosa vostra condotta verso di me.» Ed uscito a passeggiare per la città, volle il caso che capitasse al bazar, dove una quantità ragguardevole di gente stava fermata davanti alla bottega del tintore. Informossi il barbiere della «cagione di tale assembramento, e saputolo: — Sia lodato Iddio,» sclamò egli, «che il mio compagno abbia incontrata tanta ventura! Gli perdono il tratto che mi usò, chè son certo di ricevere da lui buona accoglienza. — «Avvicinossi dunque alla bottega, dove vide Abukir seduto sur un sofà, e quattro schiavi, vestiti di bianco, che gli stavano davanti in piedi. Mentre dieci operai attendevano al lavoro, Abukir, oziosamente sdraiato sur un mucchio di cuscini, come un visir, dava tratto tratto gli ordini necessari. Abussir lo [p. 279 modifica] felicitò sulla brillante sua prosperità; ma appena Abukir l’ebbe veduto, si mise a sclamare: — Infame birbone! quante volte non ti ho io già vietato di accostarti alla mia bottega! Date a quel miserabile cento bastonate, ch’ei non gira qui intorno se non per rubarmi.» Gli schiavi presero il povero Abussir, gli diedero le bastonate, e cento altre ve ne aggiunsero del proprio. — Che ha dunque fatto?» domandarono gli astanti. — È un ladro,» rispose il tintore; «e se mai torna a presentarsi, bisogna impiccarlo. «Tutto affranto dalle percosse, tornò Abussir assai tristo a casa, e si mise a riflettere sulla sua avventura. Alla domane, uscì coll’intenzione di andare a bagnarsi, per calmare i dolori prodottigli dalle bastonate, e domandando, al primo che trovò, dove fossero i bagni: — Di che parlate?» gli si chiese; «cos’è un bagno? — Il sito dove si va a bagnarsi. — Bene, andate al mare. — No,» riprese Abussir, «domando un bagno, un hamam2 — Non so cosa sia un hamam,» l’altro rispose; «tutti in questo paese, e lo stesso re, si bagnano in mare.—

«Convinto che l’uso dei bagni caldi non era ancora conosciuto in quella città, Abussir domandò udienza al re. — Son forastiero,» gli disse, «e maestro di bagno per professione. Mi maraviglio di non vederne in questa città veruno; non v’ha capitale in cui i bagni non siano uno de’ principali ornamenti. — Di che cosa mi parlate voi?» chiese il re; «cos’è un bagno od un hamam?» Abussir gliene fece la descrizione esatta. — Siate il ben venuto,» gli disse allora il re; «io proteggo tutte le arti, e sopra tutto quelle che contribuiscono all’ornamento della mia capitale.» Gli fece quindi dare una [p. 280 modifica] pelliccia d’onore, due mamelucchi, quattro schiavi, ed una casa magnificamente ammobigliata. Gli architetti della corte ricevettero dal monarca l’ordine di costruire, sul disegno dello straniero, un edificio balneare, e terminato che fu, il re mandò ad Abussir centomila zecchini. Stupirono gli abitanti della bellezza del nuovo stabilimento; ma se ne accrebbe la maraviglia, allorchè si cominciò a riscaldare l’acqua e far zampillare le fontane. Domandò Abussir dieci schiavi, ed il principe gliene mandò venti di gran beltà. Egli li fece vestire colla massima eleganza, e loro insegnò come dovessero trattare le persone che venissero a bagnarsi. In breve più non si parlò in tutta la città che di que’ nuovi bagni, chiamati del re, e tutti vi accorrevano in folla.

«Quattro giorni dopo venne colà anche il re accompagnato da tutta la corte. Abussir si mise a servirlo; gli soffregò le carni ed i muscoli; poi lo adagiò in un letto, imbalsamato da squisiti profumi. Provò il monarca un sentimento di diletto fin allora sconosciuto. — Ecco dunque quello che si chiama un bagno od hamam?» chies’egli ad Abussir. — Sì, o sire,» questi rispose. — Per Dio, hai ragione; non v’ha capitale che possa far a meno di stabilimenti simili. E quanto fai pagare ad ogni persona che voglia bagnarsi? — Uno zecchino. — Ah! è troppo poco; in tal guisa tutti potranno venire: bisogna esigere almeno mille zecchini da ciascheduno. — Perdonate, sire,» disse Abussir, «è giusto che anche i poveri possano godere del benefizio del bagno. Permetta vostra maestà che ciascuno paghi secondo le sue forze. — Ha ragione,» sclamarono i grandi della corte; «se merita rimunerazioni, le abbia dalla vostra reale munificenza; ma tollerate che i poveri possano anch’essi farne uso. Noialtri, sì, possiamo pagarli mille zecchini. — Bene,» rispose il [p. 281 modifica] re, «pagatelo a seconda delle vostre facoltà.» I grandi gli diedero mille zecchini ed una schiava ciascuno, ed erano quattrocento che frequentavano in tal modo i bagni ogni giorno. Il re diede per la sua persona diecimila zecchini, dieci mamelucchi ed altrettante schiave. — Sire,» disse Abussir, baciando la terra appiedi del re, «che farò di questo esercito di mamelucchi e di questo serraglio di donne? Vostra maestà ne farebbe miglior uso di me. — Hai ragione,» riprese il re sorridendo; «eccomi a riscattarlo, e ti darò cento zecchini a testa.» Ricomprò a tal prezzo tutti i mamelucchi e tutte le schiave, poi li rimandò in regalo agli antichi loro padroni.

«Abussir allora riposava su monti d’oro, e si vide d’improvviso innalzato all’apice della felicità. Aveva la regina udito parlare sì spesso di quei bagni, che fu curiosa di vederli. D’allora in poi fu risoluto che per l’avvenire la mattina sarebbe destinata agli uomini, ed il dopo pranzo alle donne3. Nè la regina si mostrò men liberale del re, che ogni venerdì andava a bagnarsi; di modo che le ricchezze rifluivano da tutte le parti. Ma vediamo intanto cosa facesse Abukir.

«Aveva tante volte udito parlare dei bagni, che volle assolutamente andarvi anch’egli. Si vestì con magnificenza, montò sur una mula, ed accompagnato da quattro schiavi e quattro mamelucchi che gli camminavano dinanzi, recossi al nuovo edifizio. All’ingresso, trovossi circondato da una nuvola di profumi d’aloè, e da qualunque lato girasse lo sguardo, vedeva grandi della corte. Entrò, e [p. 282 modifica] riconosciuto Abussir, gli mosse incontro con impareggiabile impudenza. — E questa dunque,» gli disse, «la condotta d’un amico, d’un galantuomo? Ho ottenuto qui una patente di tintore, che fece la mia fortuna, e tu non vieni a vedermi, non vieni a pregarmi di esserti utile! Invano ti ho fatto da’ miei schiavi cercare nell’okal e dappertutto; niuno seppe darmi tue nuove. — Come!» sclamò Abussir, «non son io venuto a te, e trattandomi come un ladro, non mi hai fatto bastonare e scacciare dalla tua bottega? — E che!» riprese Abussir, fingendo stupore, «saresti tu quello? — Sì, lo sono. — Per Dio!» ripigliò l’altro, «non ti aveva conosciuto; t’ho preso per quel ladro che tratto tratto avvicinavasi alla mia bottega per rubarmi. — Pel Dio onnipotente,» sclamò Abussir, «t’ho detto il mio nome, e mi feci conoscere ben chiaramente. — Bisogna che sia da mia parte un acciecamento, amico,» ripigliò Abukir; «acciecamento che mi addolora al di là d’ogni espressione. Ma, chi ti ha innalzato a sì alto grado di prosperità? — Quello che fece la tua fortuna,» rispose Abussir, «è pur autore della mia. Iddio mi ha colmato de’ suoi benefizi.» Allora, raccontò tutta la sua storia, e gli mostrò i regali ricevuti dal re e dai grandi della corte; poi, fece portare una pelliccia d’onore ed una borsa d’oro, e lo trattò a sorbetti che furono serviti in mezzo ad una nube di profumi. Tutti vedevano con maraviglia il modo onde il padrone de’ bagni trattava il tintore, il quale volle dal suo canto fargli alcuni doni; ma Abussir non ne accettò. — Bene,» disse Abukir, «permetti almeno che ti dia un consiglio per meglio perfezionare i tuoi bagni. Veggo che manchi di polvere epilatoria.4 Prendi orpimento e calce, soffregane il re [p. 283 modifica] quando tornerà, ed ei ti avrà per questa nuova scoperta obbligazione infinita. — Dici bene,» riprese Abussir, «e ti ringrazio del consiglio. —

«Abukir, preso congedo dall’amico, salì sulla sua mula, e recossi al palazzo del re. — Sire,» gli disse, «avete fatto costruire bagni da uno straniero? — Sì,» rispose il re, «e che c’è a ridire? — Sia ringraziato il cielo,» proseguì Abukir, «che ho nelle mani il modo di preservarvi dalla malvagità dei vostro nimico, del nimico dello stato e della religione! Vengo ad annunziare a vostra maestà ch’è finita per la sua vita se oggi va al bagno. Quell’uomo è un sicario mandato dal vostro nemico, dal re dei cristiani per avvelenarvi: Vi parlerà d’una polvere epilatoria; guardatevi dall’usarne; è un veleno mortale del quale vostra maestà sarebbe vittima. Da gran tempo io conosco quel miserabile; l’ho veduto nella città del re dei cristiani, dove sono schiavi sua moglie ed i suoi figliuoli. Sforzavasi egli invano d’ottenere la loro libertà; ma avendo un giorno udito che il re de’ cristiani aveva promesso una grossa somma a chi uccidesse vostra maestà, quello sciagurato s’incaricò dell’impresa, e la libertà de’ suoi dev’essere la rimunerazione del suo misfatto. Io sono qui venuto con lui sul medesimo vascello; mi ha confidati i suoi orrendi disegni, e come spera di mandarli ad effetto. Può vostra maestà accertarsi da sè medesima della verità di quanto asserisco, se va al bagno. — «Vi andò il re secondo il solito; Abussir lo soffregò egli medesimo, e gli disse: — Sire, ho scoperto una [p. 284 modifica] polvere epilatoria, e se vostra maestà permette, ne farò su di lei il saggio. — Mostrami questa polvere,» fece il re, e vedendo una composizione d’un color nero e d’odore ingrato, non dubitò non fosse veleno. — Arrestate questo miserabile!» gridò alle sue guardie, che l’arrestarono sul momento. Niuno sapeva la cagione di tal fatto, nè ardiva informarsene. Avendo il re adunato il suo divano, fece venire l’ammiraglio della flotta, e gli comandò di chiudere Abukir in un sacco pieno di calce viva; e gettarlo in mare, affinchè fosse arso ed annegato nello stesso tempo. «Era l’ammiraglio uno de’ più intimi amici di Abussir; amava molto il bagno, nè mai questi aveva accetto danaro. — Che avete dunque fatto,» gli chiese l’ammiraglio, «per aver perduta la grazia del re e meritata una morte così crudele? — Vi giuro,» rispose Abussir, «che sono innocente, nè ho commesso delitto alcuno. — Deve dunque essere qualche nemico che v’abbia accusato,» riprese l’ammiraglio; «ma non temete; vi nasconderò in un’isola poco di qui lontana, e dalla quale potrete tornare senza pericolo al vostro paese. Vado intanto a far preparare un sacco, che riempirò di calce e pietre onde si creda ch’io abbia eseguiti gli ordini del re. Potrete nell’isola darvi il diletto della pesca, poichè ogni giorno colà vien gente a comprar pesce per la mensa reale. —

«Imbarcossi l’ammiraglio sul vascello, in cui aveva fatto caricare un sacco di calce e pietre, e poso alla vela sotto le finestre del palazzo reale, fabbricato sulla spiaggia del mare. Gridò il re: — Gettatelo nell’acqua,» e fece un cenno colla mano; ma in quel movimento, sfuggendogli dal dito l’anello, cadde in mare. Possedeva quell’anello una virtù magica. Allorchè il re volea dar ordine di giustiziare un delinquente, faceva un cenno colla mano nella quale [p. 285 modifica] portava la gemma, e ne scaturiva un lampo che stendeva morto a terra il colpevole. Era quell’anello il talismano dell’autorità del re, e gli serviva di freno per contenere l’esercito. Si custodì sulla perdita di esso il più profondo segreto; poichè se si fosse saputa, sarebbe stato impossibile ritenere più oltre il popolo nell’obbedienza.

«Intanto Abussir si mise a pescare, gettò più volte le reti, e fece sempre buona preda. Terminata la pesca, fermaronsi i suoi sguardi su d’un grosso pesce che si decise ad acconciar per la cena. Apertolo, vi trovò l’anello del re, da quel pesce inghiottito sotto le finestre del palazzo, e senza conoscerne la virtù maravigliosa, se lo pose in dito. Poco tempo dopo vennero in cerca di pesce due provveditori della cucina reale. — Dov’è l’ammiraglio?» chiesero. — Laggiù,» rispose Abussir, facendo loro segno colla mano nella quale portava l’anello. Nel medesimo istante, e con grande sua sorpresa, i due provveditori caddero esanimi.

«Poco dopo, tornando l’ammiraglio, vide i due provveditori morti, e l’anello in dito ad Abussir. — Fratello,» gli gridò tosto, «ve ne scongiuro, non movete la mano nella quale tenete l’anello del re, e ditemi come ve ne troviate in possesso.» Abussir gli raccontò in qual modo l’avesse trovato nel ventre del pesce, e l’ammiraglio ricordossi d’aver veduto cadere nell’onde qualche cosa di luccicante come un lampo, allorchè il re avevagli dato ordine dell’esecuzione. — Non avete ora più nulla a temere,» disse ad Abussir; «quell’anello mette in mano vostra la vita del re.» E lo istruì della virtù segreta del gioiello. Abussir, pieno di giubilo, seguì il suo amico alla corte, e trovò il re seduto in mezzo a’ consiglieri. — Come!» gridò questi, «non aveva io ordinato che vi gettassero in mare? per qual [p. 286 modifica] prodigio ne usciste?» Abussir gli narrò come fosse stato salvato dal capitano, come avesse trovato l’anello, e come, senza conoscerne la virtù, avesse prodotta la morte de’ due provveditori. — Se fossi reo,» aggiunse, «mi gioverei di questo anello per farvi morire; ma ve lo riporto, e vi supplico di sottoporre ad una inchiesta la mia condotta, e punirmi se colpevole.» Allorchè il re ebbe ricevuto il suo anello, parve godere d’una nuova esistenza. Alzossi quindi, ed abbracciato Abussir: — Siete un modello di virtù,» gli disse; «voi solo potevate rendermi questo prezioso tesoro.» Ma l'altro insistette perchè si procedesse nel suo affare, all’uopo di sapere almeno di che fosse accusato. — Il vostro procedere,» rispose il re, «è la prova più convincente della vostra innocenza; il tintore vi accusò d’essere inviato dal re de’ cristiani, mio nemico, per avvelenarmi. — Io non ho mai veduto il re de’ cristiani,» rispose Abussir; «il mio accusatore era mio vicino allorchè io abitava nella città d’Alessandria, e poscia fu mio compagno di viaggio.» Raccontò quindi tutte le viltà giuocategli da Abukir. Il re, convinto dell'innocenza d’Abussir, comandò di condurgli il tintore, come un reo, colla testa nuda e le mani legate alla schiena. Confessò costui il suo delitto, ed il re volle che fosse posto con calce viva in un sacco e gettato in mare. Implorò Abussir la di lui clemenza a favore del compagno. — No,» rispose il re, «se voi gli perdonate, io non posso imitare il vostro esempio.» E la sentenza fu eseguita.

«— Cosa posso fare ora per voi?» domandò il re. — Il massimo servigio che mi possiate prestare,» rispose, «è di farmi condurre ad Alessandria.» Volle il re farlo suo visir, ma Abussir ricusò tal onore, e partì sur una nave carica di ricchi presenti.

«Il vento fu favorevole, e dopo felice navigazione, Abussir isbarcò nella gran baia d’Aiessandria. Il [p. 287 modifica] primo oggetto che si presentò sulla spiaggia agli occhi de’ suoi schiavi, fu un sacco vomitato dal mare, ed apertolo, vi si trovò il cadavere d’Abukir. Abussir lo fece seppellire, e gl’innalzò un monumento sul quale s’incise una iscrizione contenente, un senso tutto morale.

«Da ciò proviene che la detta baia, la quale portava altre volte il nome del barbiere Abussir (Busiris), porta ora il nome del tintore Abukir, le cui ossa vi riposano, come l’ossa di molti altri, che tinsero quel mare del loro sangue.»

  1. Un okal è un grande fabbricato che serve di deposito alle mercanzie, e nel quale albergano i negozianti forastieri. Chiamansi tali edifizi okal in Egitto ed in Siria, caravanserraglio in Persia, khan in Turchia.
  2. Nome arabo, turco e persiano dei bagni, e che poi fu dato ai bagni caldi a Londra.
  3. Ogni sesso ha i suoi bagni particolari e quando quei medesimi servono ai due sessi, vi sono giorni destinati per le donne, oppure il giorno è per esse, e la notte pegli uomini; sono i bagni il luogo di convegno delle donne; vi si fanno visite, discorrono de’ loro affari di famiglia, dei matrimoni divisati, ecc.
  4. Hanno i Musulmani l'uso di radersi ed epilarsi alcune parti del corpo. A tal uopo sorvonsi d’una specie di pomata composta d’un minerale chiamato rusma, d’un bruno scuro. Gli Egiziani lo ardono leggermente, l’impastano coll’acqua e vi mescolano una metà di calce spenta