Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/A Costanza Bougleux
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A COSTANZA BOUGLEUX
NEI GRAVINA
Non io, se il cor mi tiene
La vereconda musa,
E il tremor delle vene
Il foco intimo accusa,
Usurpar vo’ alle genti
Co’ concitati numeri
Gli orecchi impazienti.
Ai lucri aurei procede
L’età grave, e il canuto
Pensier che a nulla crede,
Fatto dall’oro astuto,
Da’ trafficati scrigni
Gitta alle muse ingenue
I suoi freddi sogghigni.
Ond’io, che il dispettoso
Vulgo dispregio, a volo
Da lui mi tolgo, ed oso
Sdegnosamente solo,
Quando l’amor secondi.
Tentar la luce e l’aere
Di men segnati mondi.
Quivi tra’ sogni cari
A cui l’anima io credo,
Come alcion su’ mari
Tranquillo ospite siedo,
Mentre fra canti e fiori
Danze a me intorno in tessono
Le Grazie alme e gli Amori,
Quivi da prima il suono
Della tua voce intesi,
O fior di quante sono
Elette alme cortesi;
E tra gli aspetti fidi
Che gli estri in cor mi accendono,
Le tue sembianze io vidi.
Nè seppi dir, s’a’ miei
Stupiti occhi presente
Fosse uno in fra’ più bei
Fantasmi della mente,
O ver tra la diffusa
Luce e i profumi e i zefiri
Parlasse a me la Musa.
Tal forse al giovinetto
Pindaro Urania apparve,
Quando più freddi al petto
Gl’incombean dubbj e larve;
E tanta ala gli cinse,
Che della gloria il tempio
E il tron di Giove attinse.
O quei felice, e quanto!
Cui l’amor tuo fu dato;
Che può, stretto da un santo
Nodo, sognarti allato;
Che, assiso ai tuoi ginocchi,
Può il guardo avido e l’anima
Specchiar ne’ tuoi begli occhi!
A lui, nè il ben nutrito
Censo e i pampinei colti,
Ch’oltre al retaggio avito
Crescon superbi e folti,
Nè il gentil nome egregio,
Che d’oziosi, inutili
Petti è sol vanto e pregio,
Ma l’operosa, esperta
D’umani casi, intera
Vita e l’anima aperta
Son gloria inclita e vera,
Non che i gentili e schietti
Modi, per cui si attendono
Sempre dall’opra i detti.
E quando altri, maestro
Di dedalei raggiri,
Tortuoso, ambidestro
Sorge ai supremi giri,
E le brighe venali
Arma per sua custodia
Di filtri e di pugnali;
O, non men tristo e vile,
Altri monta in tribuna,
E quanta dotta bile
Nel giallo èpate aduna
Sbruffa, Roscio da scuola
Che con l’anima traffica
La tumida parola;
Ei che la patria ha in petto,
Vigile cura, al segno
Drizza il non dubbio affetto
E il moderato ingegno,
Mentre al fiammante raggio
Di tua beltà ritempera
L’acciar del suo coraggio.
Oh, a voi, sì come a specchi,
Egregie anime, a voi
Riguardasser parecchi
Di questi frolli eroi,
A cui gloria sol una
È il dissipar la copia,
Che lor gittò Fortuna!
Or non vedrei per questa
Cittade aurea del Sole
Una turba molesta
Sol vivente in parole,
Che, il sen gonfia e le guance
D’ozj pasciuti, improvvida
Rutta livore o ciance.