Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/Ritratto

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Parte terza - Ritratto

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RITRATTO



Ella sfugge, volubile domatrice di cori,
     Alla matita: sotto gli sguardi osservatori
     Si tramuta il suo corpo proteiforme; e in quella
     Che ne ritrai la nitida fronte e le bionde anella
     D’angelo e il flessuoso fianco di greca dea,
     L’angelo si fa dèmone; la donna ecco è un’idea.
     I contorni dell’anima sua mobile e profonda
     Si perdono qual mare senza riva né sponda:
     Sopra, l’abisso azzurro; sotto, l’abisso nero;
     Tutt’intorno una luce in cui regna il mistero.
     Nel cielo dell’amore, come in sua propria reggia,
     Questa sfinge, da Edipo non vinta mai, passeggia.
     In giro a lei si svegliano anatemi e preghiere,

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     Tubamenti di tortori, mugolj di bufere,
     Fragranze inebbrianti, voci d’ira e di scherno,
     Canti che stempran l’anime, baci ch’apron l’inferno.
     Ed ella passa bianca e tranquilla nel mezzo,
     Spargendo dal metallico occhio un regal disprezzo,
     Un disprezzo pietoso, ch’or di bontà si vela,
     Or sotto un carezzevole sorriso un ghigno cela,
     Un disprezzo che fiocca placido, e mette al paro
     Un sultano ed un mozzo, un sofo ed un somaro,
     Quasimodo ed Antinoo, chi gavazza nell’oro
     E chi muore all’ospizio, Lucifero e Coccòro.
     La buona gente credula, che di cotidiane
     Malignità si nutre e a cui l’invidia è pane,
     Brontola, ch’è una maga, che può co’ filtri suoi
     Cangiar gli uomini in bruti, ed i bruti in eroi;
     Che la sua casa è fatta d’umane ossa; che suole
     Dar la vita o la morte con due strane parole;
     Che cibasi di cuori ingenui, e con boccuccia
     Rosea di bimba il sangue dei suoi più cari succia;
     Che, mentre par che langua di voluttà infinita,
     Spezza con un sorriso birichino una vita.
     Sarà; ma questa brava gente che in folla è prode,
     E, quando ella è lontana, a denigrarla gode,
     So che presa in disparte e posta a lei di faccia
     Si distrugge d’averla un’ora fra le braccia;
     E se l’abbominevole strega ad un volga gli occhi,

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     Balbettando ei scolorasi, e le cade a’ ginocchi.
     Ma della turba ignara che importa a lei? Soffusa
     Di bagliori fantastici a lei ride la musa;
     A lei ride, oltre il fango terren battendo l’ale,
     Un idolo, un fantasima, un bizzarro ideale,
     Dritto sopra la cima d’un granitico monte,
     Tutto fremiti il corpo, tutto lampi la fronte.
     Vogano a lei per torbidi flutti gli amori; ed ella
     Tutta assorta nel sogno de l’immagine bella,
     Le braccia apre, li accoglie sul petto, e nell’ebbrezza
     D’un istante li soffoca, (ma con quanta dolcezza
     Voluttuosa!) e torna a sognare. S’attrista,
     Quando le avanza tempo, dei suoi morti alla vista,
     E prodiga sul capo delle vittime il terso
     Tesor della sua mente e del suo core, il verso,
     Il verso agile, vario, pien di strani susurri,
     Di fruscj d’ale, d’ombre, di soleggiati azzurri,
     Il verso ch’or lingueggia trepido al firmamento
     Come spirito, or passa malinconico e lento
     Fra’ mirteti e i rosaj rifiorenti alla pioggia
     Di settembre, or s’inchina languido, or fiero poggia,
     Or mollemente avvolgesi ad un ricordo santo,
     Come ad un capitello tenue foglia d’acanto,
     Or nei promiscui talami, dopo una prece all’ara,
     Folleggia, or come lampada, splende sopra una bara,
     Or s’aggira oblioso tra ’l vulgo inverecondo

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     Dei forti, or veglia al povero letto d’un moribondo.
     O signora, la fama la strombazza maligna;
     Dietro a lei Mefìstofele con torto labbro ghigna:
     Io però che di Satana sono amico sincero
     Ed amo un bell’inganno più d’un uggioso vero,
     Io che per un poema, che barbaro non sia,
     Darei, s’anco immortale fosse, l’anima mia,
     E per languire in braccio d’Elena un solo istante
     Rinunzierei, mi creda, alla gloria di Dante,
     Io, quando ascolto i suoi versi, o nobil signora,
     Sento sì, ch’è una maga, ma ch’è una donna ancora
     Sento ch’ella ama, piange, ricorda, oblia, perdona;
     Ch’è capace di tutto, perfin d’essere buona.