Le donne curiose/Nota storica
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NOTA STORICA.
Tolta un’evidente maliziosa allusione al Chiari (vedila in nota a p. 301), la Premessa, d’inusitato laconismo già nell’ediz. Paperini, si fa più concisa ancora in quella del Pasquali. Svelarono appena le Memorie il significato della commedia, taciuto con tanta costanza. Questa «sous un titre bien cachè, bien deguisé, ne représentoit qu’une loge de Francs - Maçons.... Les Etrangers en reconnurent le fond sur-le-champ, et les Vénitiens disoient que si Goldoni avoit deviné le segret des Francs - Maçons, on auroit tort en Italie d’en défendre les assemblées» (Mém., P. II, cap. XVI ).
Anche senza questo avviso, l’allegoria checchè altri creda (Schmidbauer, Das Komische bei G., München, 1906, pp. 126, 127) era ben trasparente; tanto che il Saal accompagnò la sua traduzione (pubbl. l’a. 1768) con la seguente nota: «Tutta la commedia è un’ardita allegoria. Sed non omnes capiunt verbum hoc» (voi. II, pag. 8). Se i forestieri ne indovinarono subito il significato, bisogna credere che quando fu composta, i veneziani di massoneria ne sapevano poco o nulla? O esistevano già loggie massoniche colà e vi apparteneva forse lo stesso Goldoni?... A queste opposte domande che nella mente di chi legge commedia e commento sorgono spontanee, gli studiosi del Nostro — più e meglio di tutti, con oggettivi criteri. Achille Neri ed Emesto Masi — s’ingegnarono di rispondere studiando l’indole dell’A. e l’ambiente. Dal passo sui forestieri il Dal Medico arguisce «che all’apparire delle D. c. loggie massoniche non esistessero» (La Massoneria nelle «D. c.» Strenna della Rivista della Massoneria Ital. Anno 1891-92). È ammissibile questo, se già nel 1755 tra i capi d’accusa che mandano ai Piombi Giacomo Casanova v’è l’appartenenza sua alla Massoneria (R. Fulin, C. G. e gl’Inquisitori di Stato. Atti dell’Ist. Veneto, serie V, T. III, 1877, p. 1 dell’Estr.)? Il Masi anzi ne fissa senza più l’istituzione colà al 1752 e ne vuol promotori il Murray e lo Smith (Scelta di comm. di C. G., Fir. 1877, vol. I, pag. 459), come già altri inglesi un ventennio prima avevano fatto a Firenze. Il Murray e lo Smith (console britannico questi, residente l’altro) erano amici al Goldoni, il quale al primo dedicò i Malcontenti, allo Smith il Filosofo inglese. Tra i liberi muratori il Nostro ebbe ancora amici Parmenione Trissino (v. Gasparella, P. T., Iride, Vicenza, 18 giugno 1882 e la Nota stor. al Giocatore. Vol. V), Giovanni Lami che sì caldamente l’appoggiava nelle sue Novelle letterarie (Neri, Aneddoti ecc., p. 71) e lo stesso Casanova. Molti e molti nomi ancora senza dubbio ci sfuggono.
Ottimi rapporti dovette avere col fratello operaio della Loggia di Danzica, Francesco Grisellini (n. a Schio nel 1717 - m. a Milano nel 1783), poeta teatrale e gazzettiere (v. Masi, Lettere di C. G., pp. 280, 292), che impiegando nomi anagrammatici per sè e per il Goldoni, gli dedicò l’anno 1754 la sua commedia I liberi muratori, di soggetto affine alle D. c., con queste parole: Al celebre magnifico - ed illustre signore - Aldinoro Clog - primo introduttore - del buon gusto - nel Teatro comico - diletto - delle Muse e dell’Arcadia - Filologo - e giurisperito chiarissimo - onore e decoro - della letteraria repubblica - questa commedia - composta - l’anno MDCCLII Isac Ferlingo Crens - in segno - di venerazione e rispetto - dedica e consacra.
Ora questi rapporti con persone confesse o convinte di massoneria, il farsene egli stesso «quasi paladino.... quando erano sempre vivi i rumori della condanna pontificia» (Neri, Aneddoti ecc., p. 74), l’aver ritratto con ogni probabilità se stesso in Ottavio «uomo pacifico», uno de’ membri più autorevoli del Casino, non rendono probabile l’appartenenza dello stesso poeta a una loggia massonica? E il Neri e il Masi si mostrano proclivi ad affermare; anzi il secondo conclude: «Il Goldoni è un riformista, molto probabilmente (ed io lo credo) un Massone; un Massone (intendiamoci!) della prima maniera » (C. G. Discorso. Fir., 1907, p. 21). Il Casino cioè delle D. c. rappresenterebbe una Massoneria di primo grado (così F. Sbigoli nel suo libro su Tommaso Crudeli, cit. dal Masi in Scelta ecc. I, 458, 460). Anche è da tener conto della tradizione assai radicata tra i liberi muratori, d’aver avuto fratello Carlo Goldoni. «Spirito egalitario e massonico» avverte il Falchi (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, p. 123) nelle belle argute parole di Pantalone (a. II, sc. XIII e XIV) e non gli sembra «dubbia la partecipazione del Goldoni alla vita massonica di Venezia» (ibid. p. 122). Nota altri ancora (Il piccolo, Trieste, 25 genn. 1900) che i ragionamenti di Rosaura «se non vogliono che si veda, vi sarà qualche cosa di brutto..., questa gran segretezza eccita con ragione il sospetto» (atto I, sc. IX) son la parafrasi delle parole usate da Papa Corsini nella Bolla che proibiva le adunanze dei Liberi Muratori.
Ma se all’appartenenza del Goldoni alla Massoneria mancano oggi ancora prove certe, l’intento apologetico della commedia è ammesso pur da parte non sospetta di connivenza ai principi massonici (v. il riassunto d’una conferenza inedita di F. Apollonio «Curiosità storiche intorno alla D. c. di C. G.» nel Veneto, 27 marzo 1895). Compito al Nostro tanto più grato, in quanto nulla rispondeva meglio all’indole sua che lo spirito umanitario e le massime di reciproca tolleranza dell’associazione segreta.
Achille Neri cercò se e quali libri di massoneria furono di aiuto al Goldoni nella composizione della D. c. e la sua attenzione si fermò particolarmente sull’Histoire, obligations et statuts des Francs maçons (Francoforte, 1742) «poichè nei capitoli prodotti nella scena IV del terz’atto vi scorge molta affinità cogli statuti che in quello si leggono. Basterebbe a provarlo il concetto fondamentale della conversazione goldoniana, racchiusa nella parola di riconoscimento: Amicizia, che ha riscontro nel primo articolo delle obbligazioni d’un frammassone, laddove si dice che la religione sulla quale tutti gli uomini vanno d’accordo consiste «à étre bons, sincères, modestes et gens d’honneur, par quelque Denomination ou Crôance particulière qu on puisse étre distingué; d’où il s’ensuii que la Maçonnerie est le Centre de l’Union, et le moyen de concilier une sincère Amitiè parmi des personnes, qui n’auroient jamais pù sans cela se rendre familières entre elles» (Neri, op. cit., p. 72).
Al tema, suggerito al Goldoni forse da amici o da fratelli, dovette accingersi di buon grado anche l’artista, perchè «la gente che fantasticava in mille guise sul mistero di quelle congreghe» (Masi, Recens. ai volumi del Neri e dell’Aloi. La Cultura. 15 febbr. 1884, p. III) forniva al suo genio comico una bella e buona commedia.
Del lavoro del Grisellini, composto nel 1752 con identiche mire, ebbe il Goldoni notizia prima che si stampasse e se ne giovò per il suo? Muovono tutti e due (il primo senza l’allegoria) dalla curiosità muliebre che s’esercitava impronta ed acre intorno al segreto massonico. Vedi in giuoco nell’uno e nell’altro bizze amorose e astuzie di servette; si scambiano e si rubano chiavi; con l’aiuto volontario o inconscio d’un servo le femmine riescono a penetrare ne’ recessi vietati... Rapporti di somiglianza manifesti e per avventura non accidentali. Ma il lavoro del Grisellini, puro mezzo di propaganda, architettato intorno ad una goffa azione, faticosamente sostenuta, è un’assai umile opera d’arte. Le D. c., invece, anche senza l’interesse sociologico o politico, restano oggi ancora una commedia arguta e vivace. Tra i capolavori no, (Cuman, La riforma d. Tea. com. it. e C. G., Ateneo ven. 1900. genn. febbr., p. 95), ma «allegra e piena di movimento» (Galanti, op. cit., 226), «un graziosissimo scherzo» (Beneducci, Scampoli critici, Oneglia, 1906, p. 151). Vi scorge Domenico Oliva «particolari mirabili: c’è il tipo di Ottavio, del filosofo stoico, che basterebbe alle gloria d’un poeta drammatico: c’è quella scena in cui Corallina rovescia il caffè sulla velada d’Ottavio ch’è fra i motivi più schiettamente comici che possa vantare il teatro» (Giorn. d’It., 1907, 13 genn.). Così chi loda. Ma «commedia piuttosto povera, non ostante la vivezza delle scene della strada al secondo atto» la giudica l’anonimo censore (G. Piazza?) del Piccolo (art. cit.); «uno scherzo intorno ai framassoni discretamente comico, però sempre ben mediocre» si legge nel Teatralkalender di Vienna dell’anno 1772 (rec. del 15 giugno 1771). E voci decisamente ostili elevano il Jacobs, mettendo la commedia tra i lavori che invece di far ridere, fanno sbadigliare, perchè ricercato o triviale lo spirito comico (Charakrtere d. vornehmsten Dichter ecc., Leipzig, 1793, vol. II, p. I, pp. 65, 66); il Rabamy che la ritiene «insignificante» e concede solo l’interesse storico (op. cit., p. 347). La qualità che il Goldoni possedette sovrana di presentare nello stesso lavoro con sempre nuove sfumature lo stesso carattere, mostrerà meglio ancora ne’ Rusteghi, ma c’è chi l’ammira già nel brioso quartetto delle curiose (Beneducci, op. cit., p. 151; Uber die Leipziger Bühne, Dresden, 1770, p. 124; Schmidbauer, op. cit., p. 126). Non il Jacobs (artic. cit.) che vi trova solo monotona ripetizione della stessa figura. Neppure, sembra, il Masi, il quale da parte sua loda «i contrasti delle indoli dei quattro uomini», alle prese col tormento della curiosità femminile (Scelta cit., vol. I, p. 460). Al Brognoligo il modo onde l’a. disegna queste donne curiose pare una nuova conferma dello spirito antifemminile del teatro goldoniano (Nel Tea. di C. G., Nap., 1907, p. 24). Questa volta, è giusto, le simpatie vanno tutte agli uomini, ma Don Marzio e Don Gherardo (Torquato Tasso) non sono dei curiosi anch’essi e ben più pericolosi di queste innocue femminette?
Dopo gli applausi di Venezia nel carnevale del 1753 (Memorie, 1. cit.) le rare cronistorie de’ nostri teatri ricordano recite delle D. c. al Pace di Roma (Cametti. Critiche e satire teatrali romane del 700. 1900, p. 5. Estr. dalla Riv. mus. it.), nel 1757 e 1574 a Modena (Mod. a C. G., 1907, pp. 237, 241), negli anni 1778 e 79 a Firenze (Corsini, Ottave cantate ecc., cit. nella Nota al Serv. di due padr). Nel ’24 entra nel corredo della Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 48) e ci sta sott’occhio un avviso del Teatro Gallo a San Benedetto di Venezia, dove l’8 dic. 1833 questa gloriosa compagnia eseguì le D. c., interpreti L. Vestri (Ottavio), C. Marchionni (Eleonora), A. Borghi (Rosaura), R. Romagnoli (Corallina), D. Righetti (Pancrazio [Pantalone]). Altre esecuzioni ancora: nel ’44 e ’65 a Modena (op. cit., pp. 240, 243) nel ’47 (Compagnia Dalmata di A. Manzin), ’52 (Comp. Benvenuti), ’56 (Comp. Riolo e Paladini) a Zara (Sabalich, Cronistoria aneddotica del Nobile Teatro di Zara [in corso di pubblicazione], pp. 182, 206, 227), nel 1857 al Comunale di Cesena (A. e L. Raggi. Il Teatro Comunale di Cesena, Cesena, 1906, p. 196). Intorno al 1870, prevalendo sempre più il repertorio della nuova scuola italiana e il francese, le compagnie toscane ebbero il torto di trascurare insieme a tante altre anche questa figliola di babbo Goldoni, benchè tanto viva ancora nel brio delle sue scene. Modesta, s’affida ormai solo alle cure delle compagnie veneziane. La tolse all’obblio Angelo Moro-Lin, il benemerito rianimatore del teatro veneziano. È cara, perchè mirabilmente adatta alla sua indole artistica, la parte d’Ottavio a Ferruccio Benini che recita la commedia nel testo originale, mentre la venezianissima Compagnia di Emilio Zago (altro fine interprete del personaggio d’Ottavio) la rappresenta tutta in dialetto. A tali metamorfosi il teatro goldoniano fu avvezzo fin dalla culla e spesso dallo stesso genitore, che paziente le tollerava anche se men che mediocre opera di comici (v. Premessa al Cav. e la da., vol. III, pp. 193, 194). Certo in toscano la recitava il Corsini, e tale dovette essere se la trasformazione di Pantalone in Pancrazio, di Arlecchino in Pasquino è indizio sicuro, la lezione seguita dalla Reale Sarda (v. avviso citato). Tra i fasti delle D. c. rammentiamo ancora il felice debutto del tredicenne Tommaso Salvini nella parte di Pasquino (Arlecchino) a Forlì nella Compagnia di Luigia Bon e di A. Berlaffa (Infanzia e giovinezza d’illustri ital. contemp. Mem. autobiogr. racc. da O. Roux. Firenze, 1909, II, p. 270).
Nè fuori d’Italia le D. c. ebbero sorti men liete, se furono tradotte in cinque lingue almeno (spagnolo, portoghese, [1774, v. Braga, Hist. do Theo, portuguez... Seculo XVIII, Porto, 1871, p. 392], tedesco, danese [Copenhagen, 1775], svedese [Stoccolma, 1798; trad. da C. Envalsson e rec. il 20 genn. 1898]), e nella sola Germania — tra riduzioni e traduzioni — rimaneggiata sette volte. Rappresentata secondo lo Schaz (Chronologisches Verzeichniss der sämmtl. Theaterstṳcke des Herrn C. G. in appendice al 3° vol. delle Mem. da lui trad. [Lipsia, 1789] p. 383) per la prima volta a Lipsia nel 1767, si diede due anni dopo, in traduz. anonima, a Vienna (così il libretto a stampa dello stesso anno). Nella traduzione del Saal si eseguì il 25 maggio 1769 di nuovo a Lipsia durante la Fiera (v. Klotz, Deutsche Bibl. d. schönen Wissenschaften, Halle, 1770, vol. IV, pag, 647), e un cronista contemporaneo giudicava: «Una delle migliori commedie del Goldoni, che merita ancora sempre di venir rappresentata e sentita» (Uber die Leipz. Bühne, l. cit.) Serata perfettamente goldoniana quella perchè in coda alle D. c. venne Das Weibergeklatsche del Weisse (Nota storica, a p. 502 del vol. VI), ossia un rifacimento dei Pettegolezzi (Uber die Leipz. Bühne cit. p. 124). Povere donne!... A prova di quanto goffa e spesso infedele fosse la traduzione del Saal il succitato Klotz (giudice però parzialissimo perchè avversario implacabile e del Saal e del Lessing, suo protettore!) fa nella sua rivista (op. cit., pp. 64 segg.) con larga copia d’esempi un paragone tra la sua e una versione inedita del Kretschmann (op. cit., 1770, vol. IV, pp. 647 segg..; sul Kretschmann cfr. Nota stor. alla Fam. d. antiq. vol. 3° p. 405). Ma alle versioni letterali, buone o cattive, i comici tedeschi preferirono sempre, quand’era il caso, liberi rifacimenti. Così per le D. c., che, ridotte dall’attore amburghese F. L. Schmidt (Die neugierige Ehefrau, ribattezzata poi in Die Neugierigen; v. Neue Schauspiele Hamburg, 1807-10, vol I° ), al solo Burgtheater di Vienna ebbero 43 recite (dal 13 nov. 1805 al 1 4 febbr. 1832; cfr. Wlassack, Chronik des K. K. Hofburgtheaters. Wien, 1876, p. 95). Non incontrarono, è vero, il genio di Christian Grabbe, censore arcigno se mai altro, il quale d’una recita a Dusseldorf (die. 1835) scrisse: «L’esecuzione valeva meglio della noiosa commedia» (Sämmtl. Werke und handschriftl. Nachlass. Detmold, 1 874, vol. IV, p. 236); biasimo di cui non si sa quanta parte tocchi al Goldoni. Lo spirito, lo svolgimento, i caratteri invogliarono L. H. Nicolay (cfr. Nota stor. ai Puntigli dom., vol. VIII, p. 406) a rimaneggiare un’altra volta le D. c. col proposito di conferirvi maggior regolarità e unità (Der Clubb oder die vorwitzigen Weiber. Ein Lustspiel in vier Akten. Königsberg, 1809 [con frontespizio speciale nel vol. II di Theatralische Werkel]), ma l’opera sua non trovò sempre grazia presso la critica (v. Prefaz. al I vol.). In un’analisi minuta l'Allg. Literatur. Zeitung (Halle u. Leipzig, 13 febbr. 1810) giudicò più felice assai la riduzione dello Schmidt. Effimera dovette essere la vita d’un nuovo rifacimento (traduttori e raffazzonatori instancabili questi tedeschi!) di J. G. Kettel, regisseur al Teatro di Corte di Stoccarda e là recitato l’8 febbr. 1861 col titolo Die Neugierigen (R. Krauss, Das Stuttgarter Hoftheater, 1908, p. 248). Ma la generazione d’oggi conosce, se mai, le D. c. solo nella versione (qua e là un po’ libera a danno dell’originale) di Franz Zschech (Die neugierigen Frauen, Leipzig, [1875], n. 620 dell’ Universal Bibliothek), riprodotta in parte nei florilegi dello Scherr (Bildersaal des Weltliteratur, 3a ediz., vol I, p. 385 segg.) e dell’Urban (Das Welttheater ecc., s. a., pp. 80-86). In questo lungo strascico alle D. c. in Germania c’è chi comprende anche i «Franchi muratori» del Kotzebue (Gleichen Russwurm, C. G. Die Nation, Berlin, 23 febbr. 1907): altri nega ogni rapporto di dipendenza, perchè lavori troppo diversi (Sulger-Gebing. Recens. al libro dal Rabany in Zeitschrift f. vergl. Litteraturgeschichte, 1897, p. 497). Quasi parodia delle D. c. sembra una commedia pseudo-massonica di C. Laufs e C. Kraatz «Dei Logenbrùder», dove suocero e genero per divertirsi a loro agio, fingono d’appartenere a una Loggia (v. Neue freie Presse, 4 ott. 1899).
Un’arguta prefazione sulla curiosità femminile e un grazioso sonetto in calce accompagnano la traduzione spagnuola compiuta nel 1783 da un anonimo «apasionado à las Comedias del autor» (Las mugeres curiosas [Barcelona]) Anche per la rarità del prezioso libriccino riproduciamo il sonetto:
En la fragua mas viva del deseo |
Così l’uso di chiudere una commedia con un sonetto o con versi d’altra forma, caro al Goldoni delle prime armi, veniva ripreso una volta tanto da un suo ammiratore.
Nuova popolarità venne all’allegra commedia anche dalla musica. Non già dall’omonima opera di Giuseppe Rastrello (n. a Dresda nel 1799, m. colà nel ’42), data a Dresda nel 1921, che non lasciò traccia di sè. Ma quasi un nuovo indirizzo della gloriosa opera buffa nostra parvero segnare le D. c. di Emilio Usiglio (n. a Parma nel 1841, m. a Mil. nel 1910) su libretto — poco goldoniano — di A. Zanardini. Questo «fortunato spartito» (A. Colombani, L’opera ital. nel sec. XIX. Mil., 1900, p. 237) si diede la prima volta a Madrid l’11 febbr. 1879. Il Musatti, trattando dei Drami musicali di C. G. e d’altri tratti dalle sue commedie (Bassano, 1910, p. 12), scrive: Io non dimenticherò mai... le gradite emozioni provate non molti anni fa alle D. c. dell’Usiglio; a quella musica schiettamente italiana, ricca d’eleganza e di brio, ed alla cui comicità vera e geniale ha certamente contribuito l’inesauribile fonte goldoniana da cui scaturì». Dimenticata pur la gaia musica dell’Usiglio, ecco un giovane maestro veneziano — Ermanno Wolf-Ferrari (n. nel 1876) — con la sua commedia musicale. Le donne curiose (libretto di Luigi Sugana, tradotto in ted. da H. Teibler) acquistar d’un subito celebrità sulle scene tedesche. La primissima fu a Monaco il 27 nov. del 1903, ma la straordinaria fortuna dell’opera in quasi tutti i teatri lirici di Germania venne dal successo di Berlino (16 genn. l905, Theater des Westens; v. R. Batka, Die neugierigen Frauen. Schlesinger’sche Musikbibliothek. Opernfüher m. 97 Berlin, p. 4). Alla critica tedesca parve scorgere nel nuovo maestro un continuatore della via aperta dal Falstaff verdiano. Anche il Sugana, come prima lo Zanardini, restituì la commedia a Venezia, patria d’origine, donde il Goldoni l’aveva trasferita a Bologna. A tanto sacrificio poteva acconciarsi la prudenza goldoniana; la musica no. Nella sceneggiatura e nel dialogo assai più fedele all’originale che non fosse il libretto dello Zanardini, questo di Luigi Sugana rende felicemente il color locale e inspira al maestro squisite melodie di genuino tipo settecentesco (v. sul Sugana: Z. Bosio, Il tea. dialettale venez. e l’opera di L. S. Roma-Mil., 1905 [sul S., librettista, a p. 51]; sul Wolf-Ferrari, tra i mille articoli dedicati alle sue D. c., ricordo la bella appendice di Oskar Bie «Amicizia, oder: Die musikalische Gemütsergötzung », Neue freie Presse Vienna, 18 febbr. 1905).
Per Firenze, e per gli amici e protettori ch’ebbe colà il Goldoni, cfr. le Mem. (P. I, cap. 48), l’articolo di C. Guasti [Il G. a Firenze. Arch. Ven. 1871, T. I, P. II] e un altro di Jarro [G. Piccini] (C. G. in Toscana. La Nazione. Fir., 12 genn. 1907,) ma nè il Goldoni altrove, nè gli altri aggiungono nulla sull’Uguccioni, il quale fu «forse preside dell’Accademia degli Infuocati, proprietaria del Teatro [di via del Cocomero] (Fanfulla d. domen. 1 luglio 1887). Dei comici fiorentini interpreti di commedie goldoniane a questo Teatro (oggi Niccolini) e massime di Pietro Pertici, vedi gli elogi nella cit. Premessa al Cav. e la dama. Il Pertici era a Firenze dal 1751 e dirigeva una compagnia stabile (Rasi, I comici italiani, vol. II, pp. 259, 260).
E. M.
Questa commedia fu stampata la prima volta dentro l’anno 1753, nel t. IV dell’ed. Paperini di Firenze, e fu poi ristampata a Pesaro (Gavelli IV, ’54) a Bologna (Pisani VII, ’54 e Corciolani id.) a Torino (Fantino-Olzati V, ’56). Uscì di nuovo nel 1764 a Venezia, nel t. VI dell’ed. Pasquali, e più tardi a Torino (Guibert-Orgeas), a Venezia ancora (Savioli II, ’71; Zatta cl. 2, VII, ’91), a Lucca (Bonsignori VI, ’88), a Livorno (Masi XVI, ’90) e altrove nel Settecento. - La presente edizione seguì principalmente il testo più curato del Pasquali, ma reca a piè di pagina le varianti delle altre edizioni. Le note segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo.