Le feste di San Giovanni in Firenze/Parte seconda/Capitolo III

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§ III

Nel dì 11 giugno 1564, Cosimo I cede il Governo al suo figlio Francesco, e negli ultimi anni di sua vita, dette facoltà al medesimo di ricevere gli omaggi in di lui nome.

Oltre le suddette pubbliche feste civili e politiche, alle quali dava occasione la solennità di S. Giovanni, si praticavano ancora quelle sacre nel recinto del tempio. [p. 41 modifica]L’arte dei Mercatanti estraeva a sorte alcuni ufiziali, che dovevano recarsi presso l'arcivescovo di Firenze, onde invitarlo a celebrare la solenne messa nel giorno della festa. Egli vi interveniva assistito da cinque canonici.

Recava la consuetudine che l’arte dei Mercatanti dovesse regalare all’arcivescovo libbre 6 candelotti, e alquante paia di galletti e quattro fiaschi di Verdea; i cinque canonici avevano soltanto quattro fiaschi di vino per ciascheduno.

Venuto a morte Cosimo I gli successe il figlio Francesco.

Nell’anno 1577, nacque al medesimo un figlio per il che nel giorno di S. Giovanni furono fatte per la città feste straordinarie. Si dice che fosse gettato molto denaro al popolo, e messe sulla ringhiera molte botti di vino, quale corse in rigagnoli fino al Ponte Tecchio. Nel giorno precedente furono fatte le solite processioni con l’aggiunta di alcuni carri e trionfi; esiste una descrizione delle medesime fatta da Francesco Dini, ove specialmente si fa menzione di un carro della compagnia di S. Niccolò, ornato di figure allegoriche, e di fanciulli vestiti da angioli dietro al quale seguivano venti cavalli montati da giovani ancor questi con simboli allegorici.

Sotto il governo di Ferdinando I de’ Medici, che nel 1587, successe al fratello Francesco, continuarono le solite feste. Neil’anno seguente venuto in Firenze il Duca di Mantova insieme ad Eleonora de’ Medici sua consorte, furono anche più splendide; poiché le strade ove si faceva la mostra delle mercanzie, dei broccatelli, telette e drapperie d’oro e di seta vennero coperte con padiglioni, e secondo quanto riferisce Baccio Cancellieri nella vita di Ferdinando I, anche le botteghe di sarti, speziali e merciai furono prese in prestanza e ridotte ad uso di fondaco, onde [p. 42 modifica]la mostra dei detti oggetti non fosse interrotta. Dice il detto scrittore che il valore dei broccati esposti in quell'epoca fu giudicato ascendesse ad un milione d’oro; stante lo straordinario concorso di popolo e di forestieri questa mostra si protrasse anche di qualche giorno.

Si è accennato alla Corsa dei barberi sotto la repubblica, or non sarà fuor di luogo dir qualcosa di questi palii sotto il Principato de’ Medici.

Due ore circa prima della corsa solevano i Glranduchi partirsi dal Palazzo, e mentre uscivano sulla piazza veniva tatto un concerto dai trombettieri della città, quindi andavano in carrozza per il corso, entrando dalla piazza di San Piero, poiché fermavansi prima alla casa dei Medici presso detta chiesa ove smontavano le Principesse. Quindi proseguivano per il corso dei barberi fino al terrazzino sul Prato contiguo alle case appartenenti alle commende della Religione di San Stefano. Seguivano la carrozza le Guardie alemanne a piedi, e una scorta di soldati della Gruardia a cavallo. Arrivati al terrazzino venivano presentati sotto il medesimo i cavalli che dovevano correre, quali erano artificialmente pallati di bianco o di rosso, o dipinti a strisce mezze lune onde potessero essere facilmente riconosciuti dai Griudici. Solevano anticamente correre i cavalli con l’uomo sopra, ma quest’uso fu smesso circa il 1700, poiché era troppo il pericolo e spesso accadevano delle disgrazie. Presso la famiglia Pitti si possedeva nel 1766, un antico cassone nel quale era dipinta la corsa dei cavalli in Borgo degli Albizzi ed era osservabile che ciascun fantino aveva una giubbetta e nelle spalle l’arme dei respettivi padroni dei barberi. Presso la famiglia pure dei marchesi Eidolfì in via Maggio esiste un quadro di pregevole pennello che dà un’idea della corsa dei barberi non che della [p. 43 modifica]piazza del Prato in tal circostanza. Alle mosse che avevano luogo presso il palazzo Corsini, veniva inalzato im palco, ove sedevano due del Magistrato dei capitani di parte, il Provveditore ed il Cancelliere. Alla Porta alla Croce ove era allora una piccola piazzetta, e precisamente in faccia ad un tabernacolo grande che vi esisteva, si alzava altro palco ove erano in qualità di giudici due del suddetto Magistrato col sotto Cancelliere. Arrivati i cavalli alle mosse, il Granduca dava l’ordine ai giudici per la partenza, e questi facevano suonare la tromba ad un banditore che stava entro una feritoia nel muro del detto palazzo. Scappati che erano i barberi, altro banditore a cavallo andava correndo alla riparata, passando per via Palazzuolo, entrando nel Corso da S. Ambrogio, e quindi al palco dei Giudici per avvisarli se le mosse erano state regolari. La distanza dalle mosse alla Porta alla Croce, era braccia fiorentine 4520. La spesa del Palio, per quanto scrive il Migliore, era a carico della Comunità di San Gimignano, obbligatasi a ciò nell’atto di venire sotto l’obbedienza dei fiorentini nell’anno 1353. Questo Palio era di braccia 60, di velluto a opera con oro, color cremisi, col fondo giallo, e la valuta di esso era circa scudi fiorentini 420. Il vincitore aveva di spesa scudi 43 e lire 5; ai Capitani di parte spettava di erigere i palchi per i giudici e di pararli, e di fere distendere la rena per il corso e mettere alcune tende sul Prato, al Ponte alla Carraia e Mercato Vecchio, acciò i barberi non deviassero dal corso prescritto.

Giudicato chi avesse vinto il Palio, venivano incendiati alcuni razzi sopra la Porta alla Croce, e questi ripetuti sopra una casa al Canto alle Rondini, e quindi sulla cupola del Duomo, onde il Granduca dal terrazzino potesse conoscere chi era stato il vincitore, qual notizia veniva ad [p. 44 modifica]alta voce promulgata al popolo. Il vincitore del Palio appena che lo avea ricevuto soleva gettare al popolo del danaro; e questo palio veniva tenuto esposto alle finestre del palazzo.