Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia/Lorenzo Ornaghi

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Lorenzo Ornaghi

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Antonia Pasqua Recchia

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È, questa, un’iniziativa del tutto speciale, che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Direzione generale per gli Archivi e l’Archivio di Stato di Roma sono assai lieti di presentare1. Nell’ambito della celebrazione del “Giorno della memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi”, che ricorrerà il 9 maggio, si apre un ciclo di incontri e convegni, con cui si intende offrire un ’ulteriore occasione, solenne ma anche — se mi si consente l’espressione — affettuosa, per riesaminare e approfondire il pensiero e l’eredità politica e intellettuale di Aldo Moro.

I relatori che interverranno fra breve illustreranno in modo compiuto e dettagliato il significato e il programma di queste quattro giornate, che gravitano intorno all’esposizione del prezioso nucleo delle lettere scritte dallo statista democristiano nel corso della prigionia subita a seguito del rapimento, avvenuto il 16 marzo 1978.

Le lettere sono state studiate con acume e restaurate con perizia, come mostra anche il bel volume Conservare la memoria per coltivare la speranza, realizzato a cura di Maria Cristina Misiti, direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario (Icpal). Esse davvero sono un «bene culturale»: ha ragione a definirle così Michele Di Sivo2, che tante energie ha destinato al progetto di tutela e restauro. Tuttavia, come altri fragili quanto importanti documenti della nostra storia, lontana o a noi prossima, rischiano di veder disperdere, con loro, i messaggi che veicolano e le testimonianze — sovente toccanti e intime — che racchiudono.

Per tale motivo merita vivissimo apprezzamento la positiva collaborazione instaurata dal nostro Ministero, nelle sue molteplici articolazioni, con gli archivi di istituzioni centrali per la nostra Repubblica, quali Tribunali, Corti di Assise, Questure, e con lo stesso Ministero dell’Interno, al fine di permettere il recupero e la salvaguardia di materiali che non di rado aiutano a elaborare una sempre migliore comprensione della nostra identità e della realtà prodotta dalla storia e dalle vicende pubbliche del Paese.

Trentaquattro anni fa l’assassinio di Aldo Moro, che seguiva di poche settimane quello dei componenti della sua scorta (i cui nomi è giusto ricordare: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi), ha dolorosamente impresso una svolta a una fase turbolenta e problematica della vita repubblicana. Una fase di cui lo stesso Moro, nel suo [p. 8 modifica] famoso discorso del 28 febbraio 1978, aveva intuito i possibili aspetti drammatici, invitando però a reagire da uomini, a non cedere al pessimismo e a essere fedeli ai nostri obblighi, a ciò che va fatto per il bene della collettività e delle prossime generazioni. “Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità; si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso; si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà”.3 Sono parole che nell’attuale stagione di crisi sono da ripetere e meditare, insieme con quelle, assai suggestive, da cui deriva il titolo di queste giornate: è saggio (seppure purtroppo frequentemente inascoltato) l’ammonimento di guardare al dopo domani, per non lasciarsi sopraffare dalla contingenza delle pur gravi emergenze che ci assillano, e per immaginare realisticamente, oltre che con fiduciosa speranza, il futuro che intendiamo costruire.

Anche a questo contribuisce la cultura, quando viene adeguatamente tutelata e promossa: a sviluppare una visione di ampio respiro sulla vita dei singoli e delle aggregazioni, a partire innanzi tutto dalla ricchezza consegnataci dalle personalità più lungimiranti, affinché si sappia farne tesoro.

Avviandomi a concludere, rinnovo i ringraziamenti del Ministero, e miei personali, a quanti si sono prodigati, con dedizione e professionalità, sia nel favorire e concretamente compiere i delicati interventi sui manoscritti morotei, sia successivamente nell’organizzare queste giornate. Il ricordo delle vittime di ogni forma di violenza e, specificamente, del terrorismo è un dovere civile da praticare con convinzione e a cui educare i più giovani. Riposa qui il valore del “Giorno della memoria”, poiché, come ha sottolineato il Presidente Giorgio Napolitano il 9 maggio 2008, nel trentennale della morte di Moro, «quel che più conta [...] è scongiurare ogni rischio di rimozione di una così sconvolgente esperienza vissuta dal Paese, per poter prevenire ogni pericolo di riproduzione di quei fenomeni che sono tanto costati alla democrazia e agli italiani».4 È un monito chiaro, che mai può venir meno nelle nostre coscienze, perché — come purtroppo anche la più recente cronaca dimostra, con l’attentato di Genova al manager Roberto Adinolfi — non si deve abbassare la guardia in nessun momento.

Le lettere di Moro, con la sofferenza e il patimento che trasmettono, toccano l’anima di ciascuno. È dunque opportuna ogni iniziativa che vada nella direzione di una loro piena comprensione, che le trasforma senz’altro in efficaci ‘strumenti’ capaci di sostenere la maturazione e la rigenerazione delle nostre comunità. Esse, inoltre, ci consegnano il ritratto di un grande statista, colto nei momenti finali — così straziantemente umani, così paradigmaticamente cristiani — della [p. 9 modifica] sua esistenza. Intelligenti e rasserenanti risuonano ancora oggi alcune parole di Mino Martinazzoli, pronunciate nel primo anniversario dell’uccisione: «Credo che anche il Moro della prigione sia il Moro che abbiamo imparato ad amare. Certo, un Moro prigioniero, costretto, umiliato e offeso. Ma viene anche da lì, per quanto dolente, per quanto difficile, una calda lezione di umanità. Certo, chi insegue la retorica del coraggio sovrumano può forse provare fastidio di fronte alle lettere di Moro. Ma perché non avrebbe dovuto dubitare, perché non avrebbe dovuto temere, disperare, sentirsi solo, se questa era l’esperienza così disumana che gli era toccata in sorte? [...]. Nel cavo della morte si insinua un’alta pietà di sé, e insieme una pietà degli altri». Una pietà altissima. Una pietà a cui non dobbiamo mai rinunciare, anche quando ci appaia inarrivabile.


                                        Lorenzo Ornaghi
                                        Ministro per i Beni e le Attività Culturali


Note

  1. Intervento tenuto dal ministro per i Beni e le Attività Culturali, Lorenzo Ornaghi, alla conferenza di presentazione delle giornate «Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani». Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia (Archivio di Stato di Roma, 8-18 maggio 2012).
  2. M. Di Sivo, Le lettere di Aldo Moro. L’insostenibile fragilità della memoria, in Conservare la memoria per coltivare la speranza. Le ultime lettere di Aldo Moro, a cura di M.C. Misiti, Roma, Gangemi editore, 2012, pp. 29-36 (Icpal, Quaderni 3).
  3. Discorso ai gruppi parlamentari della Democrazia Cristiana, 28 febbraio 1978.
  4. Palazzo del Quirinale, 9 maggio 2008; per il testo completo del discorso vedi Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del "Giorno della memoria" dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice