Le odi e i frammenti (Pindaro)/Frammenti/Lamentazioni

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Lamentazioni

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Pindaro - Le odi e i frammenti (518 a.C. / 438 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1927)
Lamentazioni
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LAMENTAZIONI

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Le lamentazioni (threni) erano canti in onore dei guerrieri e degli amici morti, nei banchetti celebrati in loro memoria. I frammenti delle lamentazioni pindariche si riferiscono quasi tutti ai misteri orfici e alla vita futura. Se ciò fosse di prammatica, non sappiamo; ma certo questi frammenti, come quelli dei partenii e dei ditirambi, hanno un colore ed un carattere speciale. E servono ad integrare il famoso brano dell’ode Olimpia II. Veramente, un po’ integrano, e un po’, anche, abbuiano; perché non tutti i particolari dei frammenti si inquadrano esattamente in quell’abbozzo di dottrina organica che si può indurre dall’ode. Io penso di poter lasciare al discreto lettore la fatica ed il piacere di un accordo fra le membra sparse di questa teoria mistica.

I

Questo frammento è riferito da Plutarco, che lo cita due volte, in due diversi opuscoli. Descrive la vita dei beati nel mondo ultraterreno; e offre un parallelo con la meravigliosa pittura della seconda Olimpia. Il secondo frammentino, riferito anche da Plutarco, in forma parafrastica, sembrerebbe appartenere ad una descrizione del mondo dei dannati. [p. 280 modifica]


Quando è qui notte, laggiú
scintilla per essi la vampa del sole.
E nel pomerïo,
prati di rose purpuree,
con aurei pomi fittissimi,
ed ombre d’incensi.
E questi con ginnici ludi,
con dadi e corsieri
s’allegrano quelli e con cetere;
e il fior d’ogni bene
fra loro è in rigoglio.
Amabil fragranza
s’effonde per tutta la terra,
dai mille su l’are dei Súperi,
commisti profumi;
e sfolgora lungi la fiamma.

· · · · · · · · · · ·
D’onde l’illimite buio

vomiscono i lividi fiumi
della foschissima notte.


II

Anche il seguente frammento è riportato da Plutarco nella «Consolazione ad Apollonio» (XXXV).


E tutti con prospera sorte,
pervengono a un termine
che scioglie ogni ambascia.
Le membra di tutti si piegano
di Morte all’indomita possa;
ma resta un’immagine viva
dell’essere loro:

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ché origine ha quella
dai Superi. E mai non la scorge
chi opera desto;
ma spesso nei sogni, a chi dorme,
predice il giudizio
dell’opere buone e le ree.


III.

Stobeo, Fioril., 103, 6.


Dalla casa di chi ha
mai non va lungi la felicità.


IV

È citato dallo scoliaste alla prima ode olimpia (v. 127), come appartenente alle lamentazioni. Parlava di Pèlope, che, dopo uccisi tredici pretendenti d’Ippodamia, era stato abbattuto a sua volta dal quattordicesimo.


LA MORTE DI PELOPE


Uccise tredici uomini;
ma fu domato dal quattordicesimo.


V

È citato da Aristide (II, pag. 215 Keil). Forse apparteneva ad un contesto in cui si deplorava la morte immatura di un eroe.

Gli astri ed i fiumi ed i flutti del mare.

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VI

Citato da Clemente Alessandrino (Strom., III, 518), secondo cui si riferirebbe ai misteri d’Eleusi.

Beato chi scende sotterra
dopo veduti i misteri:
il fin della vita ei conosce,
conosce il principio sancito da Giove.


Framm. 132 Bergk.

Riferito da Clemente Alessandrino (Strom., IV, 640), senza nome d’autore; ma assai probabilmente sarà di Pindaro.

L’alme dei reprobi svolano
lontane dal ciel, su la terra,
fra doglie cruente, nei vincoli
d’ineluttabili mali.
Quelle dei pii, su nel cielo
dimorano, e il sommo Beato
con inni, con cantici esaltano.


Framm. 133 Bergk.

Riportato da Platone, Menone, p. 81 B.

E a quanti concede Persèfone
riscatto dal lutto vetusto,
dopo nove anni, di nuovo
l’anima al sol ne rilascia.

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Da questa i sovrani mirabili,
e quanti son pronti per possa,
e insigni per somma saggezza,
derivano. E sempre, nel corso dei secoli,
sacri eroi son chiamati dagli uomini.