Le odi e i frammenti (Pindaro)/Le odi eginetiche
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LE ODI EGINETICHE
Indice
- Introduzione
- Ode Nemea V
- Ode Istmia VI
- Ode Istmia V
- Ode Istmia VIII
- Ode Nemea IV
- Ode Nemea VIII
- Ode Nemea III
- Ode Nemea VII
- Ode Olimpia VIII
- Ode Nemea VI
- Ode Pitia VIII
Non riesce difficile, a chi indaghi sottilmente, scavizzolare nelle odi eginetiche riferimenti ed allusioni a fatti politici; e da fatti politici si possono intuire congetture che gittino luce, piú o meno certa, su questo o quel passo; ma nel complesso, ben languidi sono i rapporti fra la storia e queste odi. E a intenderle, basta ricordare per sommi capi i seguenti fatti.
Sino alle guerre persiane, gli Egineti avevano la egemonia del mare. Nelle guerre persiane, fecero atto di sottomissione al gran re: onde Atene li denunciò a Sparta, ed Egina dové consegnare dieci cittadini, che furono mandati ostaggi ad Atene.
Nel 488, rifiutandosi Atene di restituire gli ostaggi, scoppiò una nuova guerra, che durò sino al congresso panellenico sull’Istmo, quando Egina entrò anch’essa nella lega, e si riconciliò pienamente con Atene (481). E dal 481 al 458 corsero per l’isola nuovi anni di pace e di prosperità.
Nel 458 si alleano con gli Spartani, contro Atene. E gli Ateniesi, vinti gli alleati in mare, sbarcano nell’isola, e dopo un lungo assedio espugnano Egina, che deve abbattere le mura, consegnare i vascelli da guerra, pagare un tributo. Cosí tramontò la potenza dell’isola.
Ma, come dissi, i rapporti fra la storia e la poesia pindarica sono scarsi. Quando si recava ad Egina, cioè quando aveva da cantare egineti, Pindaro era tutto preso dalla enorme congerie delle leggende gloriose: anzi s’era prefisso di non trattar mai d’Egina senza glorificare i suoi campioni piú insigni, gli Eàcidi (I. VI, v. 18):
O d’Eaco figli dall’aureo carro,
è legge chiarissima per me, se a quest’isola
io giungo, nei canti onorarvi:
proposito cosí profondamente radicato, che lo ribadisce nella Istmia V (21):
Ma non delizia il mio cuore
senza gli Eàcidi l’inno.
E infatti, tutta la storia mitica d’Egina viene rievocata in queste odi; e della rievocazione poetica è inutile dare qui un duplicato prosastico. Notevole è però un certo insistere di evocazione dei defunti. La canzone dedicata al nipote Pitea deve scendere all’avo Temistio (N. V. 57 sg.). Mega, padre di Dinide, non può tornare a vita; ma per lui e per i suoi canta Pindaro (N. VIII, 52 sg.). Pindaro canta Timasarco; ma se fosse vivo il padre di lui, il citarista Timòcrito, certo avrebbe egli stesso glorificata la vittoria del figlio (N. IV, v. 15). La polvere del sepolcro non basta a separare i vivi dai morti, a render vana la pietà congiunta (κεδυὰ χάρις συγγόνων): forse il Foscolo ebbe in mente l’espressione pindarica); e i defunti riscuotono anch’essi parte degli onori e dei riti dei vivi (O. VIII, v. 77 sg.).
I morti son dunque, nelle odi eginetiche piú che nelle altre, continuamente pensati ed invocati fra i vivi: sono anzi vivi anch’essi della perenne vita dello spirito, presenti fra il popolo. E Pindaro, straniero, e pure legato in qualche modo ad Egina, perché Tebe ed Egina erano sorelle, parla di prostrarsi dinanzi all’eroe Eaco, con una compunzione, una unzione che sembrano quasi cristiane.
A intendere le allusioni e le digressioni intricate, ché del resto, vengono volta per volta chiarite al principio d’ogni singola ode, non sarà superfluo tener sott’occhio il seguente albero genealogico.L’Asopo è il fiume che attraversa il territorio Sicionio, e si getta nel golfo di Corinto. E a tradurre il linguaggio immaginoso della leggenda, si avrebbe, su per giú, questo risultato storico. Stirpi Sicionie (Asopo) invadono Egina. Eaco, loro capo (o il loro Giove?) ha un figlio da una donna del luogo (Psamatia, la Sabbiosa è certo la Ninfa locale, cioè la personificazione della stirpe isolana); ma sposa anche un’altra donna, Endaide, figlia di Chirone, cioè una tessala, di stirpe regia. Questo, forse, il matrimonio legittimo, da cui nascono e fioriscono gli eroi famosi per l’universo. Dall’altra unione nasce un povero rampollo, Foco, che è tolto di mezzo dai fratellastri, perché resti libero il posto alla discendenza legittima. — Dall’albero ho tolto i particolari che lo avrebbero troppo ingombrato, e che via via, leggendo le odi, ciascuno potrà facilmente mettere a loro posto.
Sulla continua esaltazione che fa Pindaro dell’eroismo di questi Egineti, è inutile insistere. Il nome degli eroi Egineti d’Achille, d’Aiace, d’Eaco, è vivo tuttora sulle labbra e nella coscienza degli uomini. E viva era allora la immagine di questo valore, se non nelle guerre, negli agoni. Ma è assai notevole l’insistenza con cui Pindaro magnifica la giustizia degli Egineti (I. VIII — N. IV, v. 13 — O. III, 25 sg.).