Le odi e i frammenti (Pindaro)/Odi per Tebe/Ode Istmia I

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Ode Istmia I

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Pindaro - Le odi e i frammenti (518 a.C. / 438 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1927)
Ode Istmia I
Odi per Tebe - Ode Istmia VII Odi per Atene - Ode Nemea II
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ODE ISTMIA I

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Il poeta stava componendo, per gl’isolani di Ceo, un peana in onore di Apollo Delio, quando gli fu richiesto un epinicio in onore del suo compatriota Erodoto. L’amor di patria la vince su ogni altra cosa, e Pindaro abbandona l’antico lavoro, che del resto riprenderà súbito poi, e si accinge al nuovo (v. 1-10).

La cervice dell’Istmo, cioè le gare istmiche — concessero ultimamente sei vittorie alla gente di Cadmo, alla terra in cui nacque Eracle che fece fuggire sgomenti i cani di Gerione (10-15).

E qui, contro il suo solito, Pindaro non si lascia trascinare dal mito, anzi, appena accennatolo, ritorna all’argomento, alla vittoria di Erodoto che guidò il carro da sé. Vuole esaltarlo nell’inno di Castore e di Iolao. L’inno di Castore, era l’epinicio. Ma Pindaro aggiunge a Castore Iolao, perché questi era tebano, e d’altronde non meno abile di Castore a guidar carri (15-21).

Cimenti e vittorie di Castore e di Iolao (22-37).

Ritorno ad Erodoto e al suo padre Asopodoro, che, caduto da lauta in povera sorte, trovò finalmente rifugio e serenità in una sua terra d’Orcomeno (38-47).

Se alcuno adopera bene, gli si conceda premio. Ogni uomo, a seconda della sua condizione, aspira a varia [p. 38 modifica] ricompensa: ricompensa unica e piena per gli atleti è il canto dei poeti (49-60).

Riprendendo il proposito del v. 10, saluta Posidone, signore dell’Istmo, i figli d’Anfitrione, Eracle ed Ificle, signori della terra di Tebe, il recesso di Minia, cioè Orcomeno, e d’Eleusi, l’Eubea, e Filace, dove Erodoto aveva riportate altre vittorie; ma a parlare di ciò, si andrebbe troppo per le lunghe (60-74). Auguri per future vittorie pitiche ed olimpiche (75-80).

Non possiamo dir nulla di sicuro intorno alla data di quest’ode.

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A ERODOTO DI TEBE

VINCITORE COL CARRO NELLE GARE ISTMICHE


I


Strofe

Madre mia, Tebe dal clipeo d’or, le tue gesta
preporre a ogni cómpito io voglio.
Delo rupestre che or ora teneva il mio spirito,
con me non s’adiri.
Cosa piú cara, pei buoni, v’ha di chi a luce lo diede?
Diletta d’Apollo, or tu cedi: se vogliono i Numi
a un giogo d’elogi mi spero costringere entrambi:


Antistrofe

Febo l’intonso, danzante fra il popol marino,
in Cèo flagellata da l'onde;
e la cervice dell’Istmo ch’à siepe di flutti:
che ben sei ghirlande
nelle contese agonali porse alla gente di Cadmo:
fulgenti vittorie, che copron di gloria la terra
in cui diede Alcmèna alla luce l’intrepido figlio

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Epodo

che i rabidi can’ di Geríone sgomenti fuggîr, col pelo irto.
Ma io la quadriga, ma Eròdoto voglio d’un canto fregiare;
che non l’altrui mano richiese per regger le briglie:
vo’ lui mescolar di Iolào nell’inno, e di Càstore,
gli eroi piú gagliardi fra quanti guidarono cocchi nel suolo
di Sparta ed in Tebe.


II


Strofe

Essi il cimento provâr di moltissime gare,
e ornaron la casa di tripodi,
d’auree coppe e lebèti, saggiarono i serti
che cingon chi vinse.
Ben manifesta rifulse loro virtú nello stadio,
là dove si provano ignude le membra, là dove
correndo gli opliti, alto strepito di bronzo s’effonde;


Antistrofe

e di lor mano, che prove compierono, al lancio
dell’asta, del disco di pietra! —
pèntatlo ancora non v’era; ma davasi premio
pei singoli agoni. —
E con le fitte vermene strette in ghirlande a le chiome,
spesso tornare fûr visti sovresse le belle
correnti di Dirce, sovresse le ripe d’Eurota,

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Epodo

il figlio d’Ifícle, che aveva comune coi Sparti la stirpe,
di Tíndaro il figlio, che l’alta Terapne abitava in Acaia.
Salvete! — A Posídone e all’Istmo santissimo il canto
cingendo, e alle spiagge d’Onchesto, farò che risuonino
i pregi che adornan quest’uomo: dirò di suo padre Asopòdoro
la fulgida sorte,


III


Strofe

la terra d’Orcòmeno avita dirò, che, quando era
travolto da fiera burrasca,
nella tremenda iattura, rifugio gli diede
dal flutto infinito.
Ora di nuovo la prisca serenità su lui fulge
ingènita in lui dalla sorte. Chi lungo travaglio
sostenne pensoso, sa pure che sia previggenza.


Antistrofe

Se tutto l’èmpito alcuno rivolge a virtú,
ed oro profonde e fatiche,
freno si ponga ad Invidia, magnanimo elogio
si porga a chi tanto
seppe trovare. Ché al saggio facile è offrir guiderdone
di buone parole, a compenso d’egregie fatiche,
e il pubblico onore levare su solide basi.

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Epodo

Compenso diverso hanno gli uomini dell’opra diversa: chi sia
bifolco, di mandrie custode, chi uccelli, chi viva del mare,
ciascuno a scacciare affannandosi l’assidua fame:
a chi negli agoni od in guerra riscosse la gloria,
altissimo premio è la lode che ai suoi cittadini e agli estranei
sul labbro fiorisce.


IV


Strofe

Noi per compenso, diremo di Crono il figliuolo
ch’è nostro vicino, benevolo
Nume, che scuote la terra, che spinge i cavalli
al corso; ed i figli.
Anfitrïone, che nacquero dalla tua stirpe; e il recesso
di Minia, ed il bosco famoso d’Elèusi, che a Dèmetra
è sacro e l’Eubèa, per le corse dai tortili giri.


Antistrofe

Anche nell’inno vo’ aggiungere, o Protesilào,
il tempio che sorge in Filàce
per te, per gli uomini d’Argo. Ma vieta la breve
misura dell’inno
dir quanto Ermète, dei giochi è Dio tutelare, concesse
ai pronti corsieri d’Eròdoto. Vero è che talora
meglio lusingano l’animo le cose taciute.

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Epodo

Possa or delle dive Pïerie su l’ali fulgenti levarti
a volo sublime da Pito, dai giuochi d’Olimpia, velata
la mano dei serti d’Alfeo le porte di Tebe
coprendo d’onore. — Chi asconde ricchezza in sua casa
e gli altri deride, ha promesso all’Ade il suo spirto, privo
di fama; e noi sa.