Le opere di Galileo Galilei - Vol. V/Scritture in difesa del sistema Copernicano/Avvertimento

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Scritture in difesa del sistema Copernicano Scritture in difesa del sistema Copernicano - Lettera a D. Benedetto Castelli

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AVVERTIMENTO.




Le scoperte celesti di Galileo, dalle quali veniva così mirabilmente confermata la dottrina Copernicana, se le guadagnarono l’assenso entusiastico di pochi studiosi della natura, rivolsero ad un tempo su quell’argomento l’attenzione universale dei filosofi, dei teologi e anche di molti che pur non facessero professione di studi: e vuoi per la novità di quelle scoperte, vuoi perchè dimostravano fallaci certe proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole degli Aristotelici, e pareva contradicessero ad alcuni passi della Scrittura, vuoi infine perchè Galileo s’era attirato l’inimicizia dei Peripatetici anche per altre controversie nelle quali batteva in breccia le loro dottrine1, accadde che gli avversarli più meno dichiarati della nuova opinione fossero assai numerosi. E già il 16 dicembre 1611 Lodovico Cigoli scriveva a Galileo2 che una schiera de’ suoi nemici si radunavano e facevano testa in casa dell’Arcivescovo di Firenze, cercando se potessero appuntarlo in cosa alcuna sopra il moto della Terra od altro, e che anzi uno di quelli aveva pregato un predicatore «che lo dovesse dire in pergamo che Galileo dicesse cose stravaganti», al che il Padre, «come conveniva a buono Cristiano e buon religioso», s’era rifiutato: e appresso il Nostro era venuto a sapere che nel novembre del 1612, in privati colloqui, «sendo da altri cominciato il ragionamento», il P. Niccolò Lorini, Domenicano, s’era chiarito contrario alla opinione del Copernico, con dire che «apparisce che osti alla Divina Scrittura»3. In tali ragionamenti la questione astronomica andava diventando questione teologica: ma Galileo si astenne a lungo dallo scendere su questo [p. 264 modifica]terreno4, finché verso la metà del dicembre 1613 accadde un fatto che lo persuase a lasciare il riserbo in cui si era fino allora tenuto.

Don Benedetto Castelli informava il Nostro con lettera dei 14 dicembre 1613 5, che qualche giorno prima, essendo egli alla tavola granducale, presenti il Granduca, Madama Cristina di Lorena Granduchessa Madre, l’Arciduchessa e i più cospicui personaggi, il discorso era caduto sui pianeti Medicei: «e quivi si cominciò a dire che veramente bisognava che... fossero reali, e non inganni dell’istrumento». Ne fu interrogato dalle Loro Altezze anche il peripatetico Boscaglia, lettore di fisica nello Studio Pisano e ch’era pure alla mensa, «quale rispose che veramente non si potevano negare»; ma poi «susurrò un pezzo all’orecchie di Madama, e concedendo per vere tutte le novità celesti ritrovate da Galileo, disse che solo il moto della Terra aveva dell’incredibile e non poteva essere, massime che la Sacra Scrittura era manifestamente contraria a questa sentenza». Finita la tavola, la discussione su quest’ultimo argomento continuò in camera della Granduchessa Madre, e quivi il Castelli svolse, con piena sodisfazione de’ presenti, le idee medesime di Galileo su tale materia, tanto che il Boscaglia si restò «senza dir altro». Di tutti i particolari occorsi in questo congresso dette al Nostro, pochi giorni dopo, più minuto ragguaglio Niccolò Arrighetti, un altro de’ suoi discepoli. Fu allora che Galileo rispose al Castelli con la famosa lettera del 21 dicembre 1613, «circa ’l portar la Scrittura Sacra in dispute di conclusioni naturali», e in particolare sopra il luogo di Giosuè, ch’era proposto come contrario alla mobilità della Terra e stabilità del Sole.

Questa lettera, diffusa dal Castelli mediante copie numerose, destò grande rumore, e tanto più accese alla contradizione gli avversari: dei quali si fece interprete il Domenicano Fra Tommaso Caccini, che nella quarta domenica dell’Avvento, 20 dicembre, del 1614, leggendo nella chiesa di S. Maria Novella in Firenze il capitolo X del libro di Giosuè, ne prese occasione per riprovare acerbamente l’opinione Copernicana. Poco appresso, il 7 febbraio 1615, quel P. Lorini che abbiamo mentovato più sopra, trasmetteva al Card. Mellino, del S. Uffizio, la lettera di Galileo al Castelli, corrente in Firenze nelle mani di tutti, «dove, a giudizio di tutti questi nostri Padri di questo religiosissimo Convento di S. Marco, vi sono dentro molte proposizioni che ci paiono o sospette o temerarie», acciocché il Cardinale, se gli sembrasse che ci fosse bisogno di correzione, mettesse i ripari più opportuni6.

Galileo seppe ben tosto che la sua lettera al Castelli era letta e commentata [p. 265 modifica]a Roma, e «dubitando che forse chi l’ha trascritta, possa inavvertentemente aver mutata qualche parola»7, deliberò di rivolgersi, con lettera del 16 febbraio 1615, a Mons. Piero Dini, che a lui era affezionatissimo, mandargli copia della lettera a D. Benedetto e pregarlo di leggerla al P. Grünberger e farla pervenire altresì al Card. Bellarmino, al quale i Padri Domenicani si erano lasciati intendere di voler far capo. Nella lettera al Dini, Galileo ritornava pure sugli argomenti svolti in quella al Castelli. Il Dini rispondeva il 7 marzo successivo8: che aveva fatto fare molte copie della lettera al Castelli e le aveva poi date al Grünberger, al Bellarmino, a Luca Valerio e a molt’altri; che il Bellarmino «quanto al Copernico, dice ... non poter credere che si sia per proibire; ma il peggio che possa accaderli, quanto a lui crede che potessi essere il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse introdotta per salvar l’apparenze, o simil cose, alla guisa di quelli che hanno introdotto gli epicicli, e poi non gli credono»; che le dottrine Copernicane «non pare per adesso che abbino maggior nimico nella Scritttura, che exultavit ut gigas ad currendam viam, con quel che segue»; e che se Galileo avesse messo insieme in certo suo scritto «quelle interpretazioni che vengono ad causam, saranno vedute da S. S. Illustrissima volentieri». Tale risposta del Dini porse occasione ad una replica di Galileo, del 23 marzo, nella quale specialmente insisteva che il Copernico non era «capace di moderazione», ma bisognava o «dannarlo del tutto o lasciarlo nel suo essere», e interpretava conforme la costituzione Copernicana il luogo del Salmo XVIII, al quale alludeva il Dini.

Ma già fin da quando Galileo indirizzava queste due lettere al Prelato romano, egli aveva sui medesimi argomenti composta un’altra e più larga scrittura. Nella prima lettera al Dini egli infatti così si esprimeva: «Sopra questi capi ho distesa una scrittura molto copiosa, ma non l’ho ancora al netto in maniera che ne possa mandar copia a V. S., ma lo farò quanto prima»9; e in quella del 23 marzo soggiungeva: «Ma se sopra una tal resoluzione e’ sia bene attentissimamente considerare, ponderare, esaminare, ciò che egli scrive, io mi sono ingegnato di mostrarlo in una mia scrittura .... e già l’averei inviata a V. S. Reverendissima, se alle mie tante e sì gravi indisposizioni non si fusse ultimamente aggiunto un assalto di dolori colici che m’ha travagliato assai; ma la manderò quanto prima»10. Il Dini, d’altra parte, confortava il Nostro, con le parole più sopra citate, a dar compimento all’opera, assicurandolo che non gli avrebbe potuto «se non giovare assai». Tale scrittura, che però nel maggio del 1615 Galileo non aveva ancora mandato all’amico11, fu la famosa lettera, che, a quanto sembra, egli ebbe [p. 266 modifica]dapprima in animo di dirigere ad un ecclesiastico regolare12 (potrebb’essere, al P. Castelli), ma che poi si risolse ad intestare alla Granduchessa Madre, e perchè questa aveva dimostrato di prendere vivo interesse all’argomento, e forse perchè il Castelli gliela dipingeva come non aliena dalle idee che nella lettera stessa erano propugnate. Dai passi or ora citati risulta manifesto che anche questa lettera si deve attribuire al 1615, sebbene non se ne possa indicare con più precisione la data13: e quantunque essa non fosse allora pubblicata per le stampe, fu però diffusa manoscritta14. Galileo vi riunisce e vi svolge largamente quanto già aveva esposto nella lettera al Castelli e nelle due al Dini, dalle quali ripete talora non solo i concetti, ma quasi identiche le parole.

Non è qui il luogo di narrare particolarmente la storia del procedimento che, dopo la denunzia del Lorini, erasi intanto iniziato a Roma contro la dottrina della mobilità della Terra: e per il nostro proposito basterà ricordare che Galileo, ben comprendendo, nonostante le ripetute assicurazioni degli amici suoi, la gravità della questione, tra la fine del novembre e il principio del dicembre 1615 partì per la città eterna, con la speranza di poter difendere meglio colà la causa alla quale egli era così strettamente legato. Le corrispondenze del tempo ci mostrano Galileo, che in Roma, presso i personaggi più cospicui e «in ragunanze d’uomini d’intelletto curioso», discorre intorno all’opinione del Copernico, e fa «pruove maravigliose» contro gli oppugnatori che cercano di atterrarlo15: che anzi, poichè le confutazioni orali non riuscivano il più delle volte efficaci,«alcuni punti» scrive egli stesso a Curzio Picchena da Roma il 23 gennaio 161616 «alcuni punti mi bisogna distendergli in carta, e procurare che segretamente venghino in mano di chi io desidero, trovando io in molti luoghi più facile concessione alle scritture morte che alla voce viva». Anche in altre lettere di quei giorni Galileo accenna che egli non propone «mai cosa alcuna che ... non la dia anco in scritture»17, e che quello che egli ha operato «si può sempre vedere dalle sue scritture, le quali per tal rispetto conserva»18. Tre di tali scritture [p. 267 modifica]circa l’opinione Copernicana noi crediamo di poter ravvisare in alcune considerazioni che ci furono conservate, in unico esemplare, nel codice Volpicelliano A della R. Accademia dei Lincei, e che ora pubblichiamo insieme con la lettera al Castelli del 21 dicembre 1613, le due al Dini dei 16 febbraio e 23 marzo 1615, e quella alla Granduchessa Madre: le quali abbiamo stimato opportuno di riprodurre qui unite, perchè ad un solo argomento si riferiscono, e perchè anche le lettere al Castelli e al Dini, sebbene siano state in origine veri e propri documenti epistolari, pure, per la diffusione che ricevettero fin dall’età galileiana, esercitarono l’ufficio di trattati.

Venendo ora a dire partitamente dei modi tenuti nella nostra pubblicazione, e cominciando dalla lettera a Don Benedetto, questa, della quale manca l’autografo (come manca anche delle altre scritture che le facciamo seguire)19, ci è stata conservata da molte copie, tra cui sono a nostra conoscenza le seguenti:

G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. I, car. Sr. — 10r.; sec. XVII;

G1 = Biblioteca e codice predetti, car. 11r. — 13r.; esemplare acefalo, che comincia con le parole «[inciden]temente di Terra» (pag. 283, lin. 16); sec. XVII20

G2 = Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. 47bis, car. 1r. — 12r.; sec. XVII;

V = cod. Volpicelliano A, già citato, car. 198r. — 201t.; sec. XVII;

Pr. = Archivio del S. Ufficio, nell’Archivio Vaticano, Vol. 1181, che contiene il Processo di Galileo, car. 343r. — 346r.; esemplare acefalo, che comincia con le parole «Quanto alla prima domanda» (pag. 282, lin. 7); sec. XVII21;

H = Museo Britannico, Harley Mss. 7014, car. 221-222; esemplare acefalo, che comincia con le parole «In confirmazione di che» (pag. 285, lin. 29); sec. XVII.

M = Biblioteca Marucelliana, num. 7 nel cod. miscellaneo A. LXXI; sec. XVII;

F = Biblioteca Forteguerri di Pistoia, cod. 139 (C.197), car. 1r. — 6t.; sec. XVII;

P = codice dell’Archivio di Stato in Pisa, car. 50r. — 54t.; sec. XVIII;

A = Biblioteca Angelica, cod. 2303, car. 162r. — 170t.; non anteriore all’anno 1818;

Cod. 562 della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 14r. — 17r.; sec. XIX;

Num. 13 nel cod. miscellaneo 3805 (Mss. Lami, vol. 43, Scienze naturali, T. XXXI) della Biblioteca Riccardiana; sec. XVIII. [p. 268 modifica]

Dei due ultimi manoscritti non ci fu d’uopo tener conto, perchè tutt’e due sono certamente copie del cod. G, di cui seguono la lezione anche nei tratti più caratteristici. Quanto agli altri, si possono anzitutto distinguere in due classi, appartenendo alla prima i codici G, G1, G2, V, Pr., H, e alla seconda i codici M, F, P, A.

Caratteristica della seconda classe è la lezione del passo a pag. 286, lin. 16-26, come è da noi riferita tra le varianti, nel guai passo è ben chiaro che questi codici compendiano, e male, la lezione genuina: e del pari in molti altri luoghi è innegabile che questa famiglia dà un testo deteriore. Notevole è la concordia, e quasi l’identità, dei codici M, F, P, i quali, quantunque M sia alquanto più corretto, o sono copia l’uno dell’altro, o tutti esemplati da un medesimo originale22: onde il loro accordo, quante volte si verificava, l’abbiamo per brevità indicato con la sigla Z23. Il cod. A, sia perchè è recentissimo, sia perchè possiamo asserire con certezza che il copista era più erudito che esatto24 merita fede assai scarsa.

Quanto ai codici dell’altra classe, mentre si contrappongono spesso tutti insieme alla famiglia peggiore, ciascuno di essi ha poi particolari caratteri. Il testo migliore è dato dal cod. G, scritto da mano toscana e la cui lezione, pur avendo tutte le distintive della sincerità, è quasi sempre corretta. Al cod. G si accosta più d’ogni altro il cod. V, il quale nondimeno ha qualche lezione curiosa25 e dei grossolani errori che non s’incontrano in G. In un maggior numero di passi e più gravemente si allontana invece da quest’ultimo il testo di Pr.26; e con Pr. (che, attesa la storia di quel manoscritto famoso, non è probabile abbia avuto alcun discendente) concordano fino ad un certo punto i codici G1 e H. Il cod. G2, infine, è guasto quasi ad ogni linea dai più insopportabili strafalcioni, così che nella maggior parte dei luoghi non dà senso, e certamente è peggiore anche dei codici della seconda famiglia, sebbene sia stato esemplato, come apparisce, da un originale appartenente alla prima, alla quale vuol essere quindi ascritto.

Oltre che dei codici ora indicati, abbiamo dovuto tener conto della prima [p. 269 modifica]edizione della lettera, che è dovuta a Gaetano Poggiali27. Il Poggiali pubblicò tale scrittura da un manoscritto di sua proprietà, prima appartenuto al Nelli, che non possiamo identificare con nessuno dei codici a noi noti: bensì anch’esso appartiene alla seconda famiglia, e, per quanto dall’edizione apparisce, si deve connumerare co’ testi peggiori; talune sue lezioni, evidentemente cattive, non hanno il suffragio d’altra autorità.

Era naturale che noi prendessimo per fondamento della nostra edizione il cod. G, correggendolo, dove ce n’era bisogno, con l’aiuto di altri codici della prima famiglia e specialmente di V28. Nei casi nei quali ci siamo discostati dal codice preferito, abbiamo notato appiè di pagina le sue lezioni29, e nell’apparato critico abbiamo altresì raccolto le più notevoli varianti degli altri manoscritti, soprattutto se talora poteva sorgere dubbio che la lezione di questi, o di alcuni di questi, fosse migliore di quella da noi accettata nel testo30. Neanche del cod. Pr., sebbene singolarmente importante, non abbiamo registrato tutte le differenze, perchè quel codice sarà a suo tempo riprodotto per intero nel volume dei Documenti: quelle varianti però alle quali abbiamo qui dato luogo, sono sufficienti per mostrare i rapporti del testo denunziato dal P. Lorini con gli altri. Non credemmo poi che fosse pregio dell’opera annotare tutti gli errori dei codici della seconda famiglia, sebbene moltissimi di siffatti errori si siano perpetuati in [p. 270 modifica]tutte le numerose edizioni della lettera. Singolare invero la storia di questa scrittura, che, per la sua grande importanza congiunta con la brevità, fu ripubblicata assai di frequente in molte antologie, vuoi di cose galileiane vuoi generali della letteratura italiana: ma siffatte ristampe, nessuna esclusa, riproducono l’edizione del Poggiali, oppure quella del Venturi31, che copia dal Poggiali correggendo qua e là senza appoggio di codici32 , oppure, più spesso, l’ultima edizione fiorentina delle Opere di Galileo, la quale alla sua volta toglie dal Venturi: così che la volgata della lettera a Don Benedetto, quale ebbe corso fin ora, ha per fondamento un dei peggiori codici della famiglia peggiore, trascritto dal Poggiali forse non sempre esattamente, corretto arbitrariamente dal Venturi. Nessuna maraviglia perciò se tale lezione volgata in più luoghi non dà quasi senso33; e non parrà troppo ardimento il nostro, se osiamo affermare che questa scrittura esce ora per le nostre cure così rinnovellata, da potersi quasi dire tratta dall’inedito.

La lettera a Mons. Dini de’ 16 febbraio 1615, com’ebbe, fin da principio, minor diffusione di quella al Castelli, così è rappresentata da minor numero di manoscritti. Noi ne conosciamo i seguenti:

G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. I, già citato, car. 14r. — 16r.; sec. XVII, di mano diversa da quella del cod. G della lettera al Castelli34;

Mgb = Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano II. IX. 65, car. 41r. — 45r.; sec. XVII;

R = Biblioteca Riccardiana, cod. 2146, car. 1r. — 5t.; sec. XVII; [p. 271 modifica]

M = Biblioteca Marciana, Cl. IV, cod. LIX, car. 2r. — 4r.; sec. XVIII35;

H = Museo Britannico, Harley Mss. 4141, car. 1r. — 8t.; sec. XVII.

Questi codici non presentano tra sè così gravi differenze come quelle che distinguono i manoscritti della lettera a Don Benedetto: tuttavia il cod. G apparisce in generale più corretto, onde noi l’abbiamo seguito nella nostra edizione, registrando bensì, conforme siamo soliti, appiè di pagina le varietà più importanti offerte dagli altri, e insieme quelle lezioni del codice preferito che non abbiamo accettate nel testo. Quanto al cod. M, dobbiamo avvertire ch’esso è stato corretto in moltissimi luoghi dalla mano dello stesso trascrittore, ed è credibile che queste correzioni rappresentino il frutto della collazione con un altro manoscritto: la lezione originaria di M è deturpata da gravissimi errori; invece il testo quale resulta quando si tenga conto delle correzioni, è per lo più pulito, ma talora fa anche nascere sospetto che il correttore abbia emendato arbitrariamente qualche frase36. E' caso non raro che la lezione nata da tali correzioni non sia suffragata dal consenso d’alcun altro manoscritto. Abbiamo indicato con M quelle varianti che provengono da passi dove non si esercitò l’opera del recensore, distinguendo poi, dove vi sono correzioni, con M1 le lezioni originarie e con M2 le correzioni.

La seconda lettera al Dini, de’ 23 marzo 1615, è giunta fino a noi in un maggior numero di copie che non la prima. Noi possiamo indicare le appresso:

G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. I, già citato, car. 18r. — 21br.;

G = Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. 47 bis, già citato, car. 12t. — 26r.;

V = cod. Volpicelliano A, già citato, car. 193r. — 197t.;

M = Biblioteca Marciana, Cl. IV, cod. LX, car. 2r. — 13r.; sec. XVII37;

F = Biblioteca Forteguerri di Pistoia, cod. 139 (C. 197), già citato, car. 7r. — 15r.;

P = codice già citato dell’Archivio di Stato in Pisa, car. 55r. — 60t.;

A = Biblioteca Angelica, cod. 2303, già citato, car. 172r. — 181t.;

R = esemplare acefalo (comincia con le parole «l’avermi V. S. Reverendissima», pag. 301, lin. 4), in appendice al num. 12 (antico num. 14, Lettera di Galileo a F. Ingoli) nel cod. miscellaneo 3805, già citato, della Biblioteca Riccardiana;

Cod. 562, già citato, della Biblioteca Universitaria di Pavia, car. 18r. — 22r.38 [p. 272 modifica]

Gli esemplari G, G2, V, F, P, A, R e quello che si trova nel codice Pavese, sono, respettivamente, delle mani medesime che trascrissero gli esemplari della lettera al Castelli contenuti negli stessi codici; e come concordano quanto alla scrittura gli uni con gli altri, così si corrispondono press’a poco, respettivamente, anche quanto al valore della lezione. Il codice Pavese è copia di G39, e perciò non occorse tenerne conto: G sembra il più corretto, e ad esso s’accostano per bontà di lezione, ma rimanendogli inferiori, V e M; G2 è spropositato quanto mai; F e P concordano tra loro quasi sempre, e nel testo e nelle piccole lacune, onde il loro accordo fu indicato, per brevità, con la sigla Z; A è copia recentissima e mal sicura; e copia recente è pure il cod. R. Noi ci siamo attenuti al cod. G, annotando con le solite norme nell’apparato critico le principali varianti degli altri e quelle lezioni di G che abbiamo creduto di dover correggere con l’appoggio soprattutto di V e M40.

Veniamo alla lettera alla Granduchessa Cristina di Lorena. Come questa scrittura fu stampata soltanto molti anni dopo ch’era stata composta, e l’edizione diventò presto assai rara, nè, tranne una ristampa fatta alla macchia41, fu più riprodotta fino al 181142, così, per contrario, se ne moltiplicarono le copie a penna; e moltissime ne giunsero fino a noi. Noi abbiamo studiato le seguenti:

1) V = cod. Volpicelliano A, car. 101r — 119r.; sec. XVII;

2) G = Biblioteca Nazionale di Firenze, Mss. Galileiani, Par. IV, T. I, car. 23r. — 57t.; sec. XVII;

3) Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. 47, pag. 1-47; sec. XVII; [p. 273 modifica]

4) Biblioteca predetta, Nuovi Acquisti Galileiani, cassetta I, n. 48, car. 1r. — 19r.; sec. XVII;

5) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano II. IX. 65, già citato, car. 1r. — 40t.: della mano medesima che esemplò il cod. Mgb, della prima lettera al Dini;

6) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano II. IV. 215, car. 1r. — 39t.; sec. XVII;

7) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano Cl. XI, 113, car. 1r. — 26r.; sec. XVII;

8) Biblioteca predetta, cod. Magliabechiano Cl. XI, 139, car. 83r. — 95r.; esemplare mutilo, che termina con le parole «veritas Sacrarum Literarum veris rationibus» (pag. 320, lin. 5); sec. XVII;

9) Biblioteca predetta, cod. Baldovinetti 236, car. 1r. — 63t; sec. XVII;

10) Biblioteca predetta, tra gli stampati della Collezione Nenciniana, con la segnatura 2. 1. 5, pag. 1-101; sec. XVII;

11) Biblioteca Marucelliana, num. 19 nel cod. miscellaneo B. 1. 20; sec. XVII;

12) Biblioteca predetta, num. 13 nel cod. miscellaneo C. 16; sec. XVII;

13) Biblioteca Riccardiana, cod. 2146, già citato, car. 5t. — 49 r.; della mano medesima che esemplò il cod. R della prima lettera al Dini;

14) Biblioteca Ambrosiana, cod. H. 226. Par. Inf., car. 1r. — 20r.; sec. XVII;

15) Biblioteca Estense, cod. VIII. *. 17, car. 17r. — 44t.; sec. XVII;

16) Biblioteca Forteguerri di Pistoia, cod. 139 (C. 197), già citato, car. 16r. — 54t.; della mano medesima che esemplò il cod. F della lettera al Castelli e il cod. F della seconda lettera al Dini;

17) Biblioteca Corsiniana, cod. 701, car. 232r. — 290r.; sec. XVII;

18) Biblioteca predetta, cod. 1090, car. 249r. — 316t.; sec. XVII;

19) Biblioteca predetta, cod. 1937, car. 47r. — 69t.; sec. XVII;

20) Biblioteca Angelica, cod. 2302, car. 38r — 72t.; sec. XVIII;

21) Biblioteca predetta, cod. 2303, car. 183r. — 212t.; sec. XVII;

22) Biblioteca Casanatense, cod. 675, car. 248r. — 262r.; sec. XVII;

23) Biblioteca predetta, cod. 2367, car. 138r. — 168t; sec. XVII;

24) Biblioteca predetta, cod. 3339, pag. 1-75; sec. XVIII;

25) Biblioteca Nazionale di Torino, cod. Bc. Mss. varii 116, car. 1r. — 27r; sec. XVII;

26) Biblioteca Marciana, Cl. IV, cod. LIX, già citato, car. 4t. — 25t; della mano medesima che esemplò il cod. M della lettera al Dini in data 16 febbraio 1615;

27) Biblioteca predetta, Cl. IV, cod. CCCCLXXXVII, car. 1r. — 49r.; sec. XVII

28) Biblioteca Guarnacci di Volterra, cod. LVI 4. 6, car. 1r. — 23 r; sec. XVII

29) Codice già citato dell’Archivio di Stato in Pisa, contenente anche la lettera al Castelli e la seconda lettera al Dini, car. 3r. — 48r.; sec. XVII, di mano diversa da quella che trascrisse le due lettere ora ricordate; [p. 274 modifica]

30) Codice di proprietà del sig.r Gamurrini di Arezzo, car. 1r. — 56r.; sec. XVII;

31) Biblioteca Nazionale di Parigi, Fond italien, cod. 212, car. 102r. — 142t.; sec. XVII;

32) Biblioteca predetta, Fond italien, cod. 1507, car. 1r. — 68r.; sec. XVII;

33) Museo Britannico, Harley Mss. 4141, car. 9r. — 75t.; sec. XVII;

34) Museo predetto, Egerton Mss. 2237, car. 4-52; sec. XVIII43.

Di un manoscritto tiene poi il luogo l’edizione principe, alla quale accennavamo poco fa. Essa fu pubblicata a Strasburgo nel 1636, per cura di Mattia Bernegger, con la traduzione latina di fronte44 quasi come appendice, con numerazione a parte e in volume separato, alla versione latina del Dialogo dei Massimi Sistemi, edita pure a Strasburgo nel 163545. Così il testo italiano della lettera, come la traduzione latina, furono mandati al Bernegger dall’amico suo e di Galileo, Elia Diodati46; e questi, in una lettera al Bernegger, in data 6 [p. 275 modifica]gennaio 1635, premessa all’edizione stessa47, afferma d’aver portato seco il manoscritto italiano della scrittura galileiana da un viaggio in Italia, compiuto quindici anni prima. È molto probabile che Galileo non abbia avuto parte alcuna in questa pubblicazione: almeno nessun cenno ch’egli in qualche modo vi partecipasse si trova nel copioso carteggio, relativo all’edizione, del Bernegger col Diodati. S’aggiunga che il 15 luglio 1636, quando ormai da parecchio tempo il libro era pronto per la vendita in Germania48, Galileo ne aveva visto soltanto il primo foglio, ricevuto «circa tre mesi» prima, e il frontispizio con le due lettere proemiali del Diodati e del Bernegger, che pochi giorni avanti gli era stato mandato da Parigi, ma ancora ne stava aspettando un esemplare intero49.

Fra tutti i manoscritti occupa un posto singolarissimo quello che abbiamo indicato per primo, il cod. V. In questo esemplare infatti si riscontrano non infrequenti correzioni autografe di Galileo; alcuni brani sono aggiunti (una volta di mano del Nostro) su cartelle separate, e dei segni di richiamo dimostrano a quali posti devono essere inseriti; altri passi invece, che pure si leggono in tutti i rimanenti testi a penna, mancano in V. La lezione poi di questo codice, che è assai buona, si allontana spesso, e non tanto leggermente, da quella degli altri: notevolissimo è un particolare, cioè che nel testo di V non è mai menzionata la Granduchessa Cristina, ma i luoghi ne’ quali, secondo la lezione comune, Galileo rivolge la parola a «Sua Altezza Serenissima», o mancano nel cod. V, o il discorso vi è indirizzato a una «Paternità», che, come abbiamo detto più addietro, si può credere sia il P. Castelli. Questi fatti inducono a tenere che il cod. V rappresenti una più antica stesura della lettera, quando l’importante documento era, per così dire, ancora in formazione: tale esemplare, forse spedito, ovvero portato, da Galileo o al Principe Cesi o ad altro suo amico romano, giacque poi inosservato fino ad oggi, nè mai fu trascritto; perciò e certe sue lezioni non passarono in nessun altro codice, e certi luoghi che qui Galileo emendò di suo pugno, [p. 276 modifica]riparando a gravi errori del copista, si perpetuarono invece negli altri codici con le stesse lezioni erronee che nel cod. V si riscontrano corrette.

Quanto agli altri manoscritti, mentre hanno tutti più strette affinità tra sè che col cod. V, si distinguono poi in due classi. La prima e men numerosa offre un testo migliore, che dà maggiori indizii di sincerità e che meno si discosta dalla lezione di V; appartengono ad essa i codici che abbiamo distinto coi numeri 2, 3, 8, 9, 11, 14, 17, 18, 19, 22, 27, 31. Gli altri codici, che costituiscono, insieme con la stampa del 1636, la seconda famiglia, danno un testo più frequentemente errato, e per certe lezioni od errori caratteristici si può credere che alcuni di essi provengano, più men direttamente, dalla medesima fonte da cui è derivata quella stampa, e altri siano addirittura copie, più o meno esatte, di essa.

In tali condizioni essendoci pervenuto il testo della lettera alla Granduchessa Madre, noi non credemmo di dover assegnare il posto d’onore nella nostra edizione al cod. V, perchè, sebbene quel cimelio sia veramente prezioso, non ci offre, nè ci poteva offrire, la lezione definitiva che Galileo volle dare alla sua scrittura. Scegliemmo perciò un codice della prima famiglia, e precisamente il cod. G (num. 2), che tra quelli di questa classe è senza dubbio un de’ migliori ed è stato esemplato da copista toscano, e da esso riproducemmo il nostro testo. Non di rado però fu da noi corretta la lezione di G o col sussidio degli altri manoscritti della prima classe o, più di frequente, con l’appoggio di V50, specialmente là dove la mano di Galileo conferisce alla lezione di V una particolare autorità. Del testo di V giudicammo poi nostro ufficio rendere conto minuto, e lo abbiamo fatto appiè di pagina con le varianti che il lettore vede stampate in carattere più grande51: dalle quali abbiamo tenute distinte, in un altro ripiano e in un carattere minore, le lezioni di G non accettate nel testo, alcune varianti di altri manoscritti che ci sembrarono degne di nota, e le lezioni della stampa del 1636 (contraddistinte con la sigla s), che sebbene si riducano il più delle volte ad errori, pure abbiamo stimato opportuno assai spesso di raccoglierle, sia perchè rappresentano il testo dei manoscritti della seconda famiglia, sia perchè sono passate in tutte le edizioni posteriori. Di qualche altro particolare che avvertimmo ne’ codici, informano note speciali. Così ci parve di potere, in maniera sobria e senza aggravar troppo l’apparato critico con infinite varianti, informare il lettore sufficientemente di quanto di più importante offrono i testi a penna, dai quali finora nessuno aveva tratto partito; così abbiamo fatto conoscere e la lezione più antica della scrittura e quella della volgata, e riproducendo la lettera nel testo definitivo voluto dall’Autore, ma corretto dagli strafalcioni dei copisti, [p. 277 modifica]possiamo dire di presentare anche questo documento in forma affatto nuova: che le precedenti ristampe avevano riprodotto, direttamente o indirettamente e ritoccandola qua e là, l’edizione, poco corretta, del 1636.

Alla lettera a Madama Cristina abbiamo fatto seguire, come già si è accennato, tre brevi scritture circa l’opinione Copernicana, che si leggono a car. 161r.- 167r e 173r. — 176r. del cod. Volpicelliano A52, che noi pensiamo siano state composte, o almeno diffuse, da Galileo durante il suo soggiorno in Roma nella fine del 1615 e nei primi mesi del 1616. Per vero dire, queste scritture, che nel codice sono prive di titolo, non portano quivi neppure alcun nome di autore: ma a Galileo ci pare di poterle ascrivere senza esitazione, e perchè vi ritornano così quel generale ordine di idee come particolari concetti che sono esposti nelle lettere al Castelli, al Dini, a Madama Cristina53, e perchè lo stile ha tutto il sapore del galileiano, e perchè già il 23 marzo 1615 il Nostro scriveva al Dini che, oltre all’avere ormai distesa la scrittura la quale poi indirizzò alla Granduchessa Madre, andava allora «mettendo insieme tutte le ragioni del Copernico, riducendole a chiarezza intelligibile da molti, dove ora sono assai difficili, e più aggiungendovi molte e molte altre considerazioni»54; e ciò si vede essere stato fatto appunto in queste che noi chiamammo Considerazioni circa l’opinione Copernicana, «le quali» scrive l’Autore «seranno solamente generali e atte a poter esser comprese senza molto studio e fatica anco da chi non fusse profondamente versato nelle scienze naturali ed astronomiche»55. Della terza scrittura (pag. 367-370) possiamo determinare anche più precisamente l’occasione. Essa infatti risponde punto per punto alle osservazioni contro il sistema Copernicano contenute in una lettera del Card. Bellarmino in data 12 aprile 161556, di cui Galileo, come sappiamo per sua testimonianza, teneva copia57: la qual lettera il Bellarmino aveva scritto al P. Paolo Antonio Foscarini58, che gli aveva mandato il suo opuscolo della mobilità della Terra e stabilità del Sole59.

Nel riprodurre dal manoscritto queste scritture, abbiamo corretto alcune lezioni manifestamente errate, che annotammo appiè di pagina, e le non rare forme [p. 278 modifica]o grafie che si debbono attribuire senza dubbio al copista non toscano60. Tra parentesi quadre furono poi stampate quelle parole che dovemmo supplire perchè non si leggono nel codice, essendo guaste le carte o l’amanuense avendole omesse per trascuratezza61: e di qualche altra particolarità del testo fu fatto ricordo nelle note.

  1. Alludiamo in particolare alla fiera controversa circa le cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, agitatasi appunto nei medesimi anni ai quali appartengono le scritture di cui stiamo per discorrere; di che vedi il vol. IV di questa edizione, pag. 5 e seg.
  2. Mss. Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze, Par. 1, T. VI, car. 231.
  3. Lettera di Fra Niccolò Lorini a Galileo, in data dei 5 novembre 1612, nei Mss. Galileiani, Par. 1, T. VII, car. 58. Cfr. pag. 291, lin. 10-12, di questo volume.
  4. Egli si era però già preoccupato della questione teologica, come dimostrano due lettere a lui dirette il 7 luglio e il 18 agosto 1612 dal Card. Conti (Mss. Galileiani, Par. I, T. XIV, car. 94 e 98), che rispondeva al quesito mossogli da Galileo «se la Scrittura Sacra favorisca a’ principii di Aristotele intorno la constituzione dell’Universo», e quindi anco intorno «al moto della Terra e del Sole».
  5. Mss. Galileiani, Par. I, T. VII, car. 128. Cfr. pag. 281-282 di questo volume.
  6. D. Berti, Il processo originale di Galileo Nuova edizione ecc. Roma, 1878, pag. 122-124.
  7. Vedi pag. 291, lin. 19-20, di questo volume.
  8. Mss. Galileiani, Par. I, T. VII, car. 205. Cfr. in questo volume pag. 207 e seg.
  9. Vedi pag. 292, lin. 22-24, di questo volume.
  10. Vedi pag. 299, lin. 33 - pag. 300, lin. 10.
  11. Il 16 maggio 1615 Mons. Dini scriveva a GALILEO: «non sarà se non bene che V. S. dia l'ultima mano a quella scrittura che mi dice aver abbozzata, se la sua sanità glie lo comporta» (Mss. Galileiani, Par. I, T. VII, car. 231).
  12. Vedi più avanti, a pag. 275.
  13. Scopo di tutta la lettera è di prevenire la condanna del sistema Copernicano, del quale Galileo parla come di opinione di cui si discute ancora se sia da dannarsi (cfr. pag. 311, lin. 31-32; pag. 343, lin. 11-15, e passim): è perciò manifesto che la lettera è anteriore al 5 marzo 1616, nel qual giorno fu pubblicato il decreto della Congregazione dell'Indice che proibiva l'opera del Copernico. Nella lettera a Fra Fulgenzio Micanzio del 28 giugno 1636 (Cod. Marciano Cl. X, num. XLVII, car. 2), Galileo dice che la scrittura«a Madama Serenissima» fu fatta da lui «venti anni sono».
  14. Forse però non ebbe grande diffusione, come fa credere il fatto del non trovarla menzionata nel Processo del 1615-1616; ove ciò non sia avvenuto per un riguardo verso la persona alla quale era diretta.
  15. Lettere di Mons. Antonio Querengo al Card. Alessandro d'Este, dei 30 dicembre 1615 e 20 gennaio 1616, nei Mss. Galileiani, Par. I, T. XV, car. 38 e 56.
  16. Mss. Galileiani, Par. I, T. IV, car. 61.
  17. Lettera a Curzio Picchena, da Roma, 20 febbraio 1616, nei Mss. Galileiani, Par. I, T. IV, car. 65.
  18. Lettera a Curzio Picchena, da Roma, 6 marzo 1616, nei Mss. Galileani, Par. VI, T. V, car. 53. E nella lettera, pure al Picchena, in data di Roma, 26 marzo 1616, scrive: «quanto ho detto, l'ho prodotto sempre con scritture, delle quali restano copie appresso di me» (Mss. Galileiani, Par. I, T. IV, car. 67).
  19. Della lettera al Castelli non potè trovar l'originale, «per diligenze fatte», neppure il Sant'Uffizio, subito dopo la denunzia dcl Lorini: il Castelli l'aveva restituito a Galileo, si può credere dietro sua domanda, già prima della fine del febbraio 1615. Vedi Berti, op. cit., pag. 116, 132 e 141.
  20. E' questo il codice dal quale G. Targioni Tozzetti trasse quel frammento della lettera al Castelli, che pubblicò nelle Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche ecc. In Firenze, MDCCLXXX, T. II, Par. I, pag. 22-26. Il Targioni dice (T. I, pag. 58) d'aver trovato l'esemplare di cui si servì, «fra i fogli del dott. Antonio Cocchi, donati da S. A. R. alla Biblioteca Pub. Magliabechiana».
  21. Da questo codice la lettera è riprodotta diplomaticamente nella citata opera del Berti, pag. 124-131.
  22. Perfino, dove l'uno omette una parola, indicando l'omissione con dei puntolini, gli altri fanno allo stesso modo.
  23. Registrando le lezioni concordanti di M, F, P, seguiamo quanto alla grafia (nel che, com'è naturale, i tre codici talora differiscono) il cod. M, salvo che questo abbia qualche materiale errore, che correggiamo con gli altri due.
  24. Alla lettera precede nel cod. A (car. 161 r.) un'avvertenza, scritta dalla stessa mano, nella quale è detto che la lettera fu pubblicata già dal Poggiali «e nuovamente dal cav. Venturi nelle sue Memorie e lettere inedite ecc.», e che «le varianti per le quali la lettera edita differisce dalla copia attuale, sono riportate in carattere rosso». Queste varianti sono state intercalate, tra parentesi, nel contesto stesso della lettera e dalla mano medesima che la esemplò; onde è chiaro che tale codice non può essere anteriore al 1818, nel qual anno fu pubblicato il primo volume dell'opera del Venturi. Le varianti sono appunto a confronto dell'edizione Venturi: ma il copista ha trascurato di raccogliere alcune differenze anche notevoli.
  25. Vedi la variante a pag. 287, lin. 1-3.
  26. Anche quanto alla lingua, il testo di Pr. mostra d'essere stato trascritto da un copista rozzo (vi si incontrano forme come soperando, aggiongo ecc.), e che talora lesse male: p. e. a pag. 286, lin. 15-16, il cod. Pr. reca: «E forza rispondere di no, ma che non solo è suo proprio ecc.».
  27. Serie de' testi di lingua stampati ecc., posseduta da Gaetano Poggiali. T. I. Livorno, 1813, pag. 150-158.
  28. Richiamiamo l'attenzione del lettore sopra il passo a pag. 284, lin. 16 - pag. 285, lin. 4, dove il cod. G si discosta molto notabilmente da tutti gli altri, la lezione dei quali noi abbiamo accettato nel testo. Il medesimo passo è stato riprodotto da Galileo, con più ampi svolgimenti, nella lettera alla Granduchessa Madre, pag. 317, lin. 16 e seg., e qui la lezione di questo luogo si accosta, nel complesso, più a quella del cod. G che a quella degli altri manoscritti della lettera al Castelli: sebbene poi in un certo punto (pag. 317, lin. 19; cfr. pag. 284, lin. 18; nel testo e nelle varianti) non si accordino tra di loro neppure i vari codici della lettera a Madama Cristina. Noi pensiamo che le diversità siano da attribuire, qualcuna alla trascuratezza del copista di G (p. e. a pag. 284, lin. 24-25), ma in maggior numero a Galileo stesso, il quale abbia ritoccato più volte siffatto passo (che sotto l'aspetto dottrinale è di capitale importanza), sia in esemplari diversi della lettera al Castelli, sia quando lo ricopiava per incorporarlo nella nuova scrittura: e ci sembra che la maggior parte dei codici della lettera al Castelli abbia conservato la lezione che uscì prima dalla penna dell'Autore, e il testo del cod. G rappresenti invece alcune modificazioni posteriori; come è certamente posteriore la lezione offerta dalla lettera alla Granduchessa, e che abbiamo detto essero affine più che altro a quella di G. Si avverta pure che nel punto a cui or ora accennavamo, pag. 317, lin. 19, la lezione del cod. Volpicelliano della lettera a Madama Cristina, ossia il testo più antico di questa lettera, tiene come una via di mezzo tra il testo definitivo della lettera stessa e le varie lezioni dei codici della lettera al Castelli. Il criterio col quale Galileo avrebbe ripetutamento modificato tutto questo luogo, sarebbe stato quello di dare al proprio pensiero un'espressione sempre più circospetta.
  29. Non abbiamo notato però, che non metteva conto, alcune grafie erronee di G.
  30. Avvertiamo (e s'intenda detto anche per le altre scritture che qui si pubblicano) che, se la variante appiè di pagina indica che un dato codice, o un gruppo di codici, legge in quel dato modo, ciò non vuol dire però che tutti gli altri codici leggano conforme al testo da noi preferito: bensì quella variante è soltanto dei codici indicati, ma gli altri possono offrire altre differenze, che non meritava di notare. Quando poi più codici concordano in una variante, salvo leggiere diversità grafiche, non si è tenuto conto, per il solito, di tali diversità, e si è riprodotta la variante com'è nel codice che è indicato per primo, tranne il caso che in questo si leggesse un materiale errore.
  31. Memorie e lettere inedite finora o disperse di Galileo Galilei, ordinate ed illustrate con annotazioni dal cav. Giambatista Venturi, ecc. Parte Prima, ecc. Modena, MDCCCXVIII, pag. 203-208.
  32. P. e., a pag. 282, lin. 29-30, dove tutti i codici leggono «procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura», il Poggiali, forse per falsa lettura, stampa: «procedendo di poi dal Verbo ecc.» ; e il Venturi sopprime quel di poi, che non dà senso, e stampa «procedendo dal Verbo ecc.»; la qual lezione è stata riprodotta dagli editori successivi.
  33. Citiamo, per saggio, alcune lezioni spropositate della volgata, tra le quali ve n’hanno di addirittura ridicole: pag. 281, lin. 8, avvenire a quelli; lin. 11, in effetto biasimevole; pag. 282, lin. 9, dalla P. V. molto reverendissima, non poter; lin. 17, corporali che umani; lin. 18, d’oblivione; lin. 24-25, perchè sieno cotali parole proferite; lin. 27, ma novamente bisognosa; pag. 282, lin. 32 — pag. 283, lin. 2, ed essendo di più convenuto nelle Scritture accomodarsi all’intendimento dell’universale in molte cose diverse in aspetto quanto al significato; ma all’incontro; pag. 283, lin. 8-9, per luoghi della Scrittura che avessino mille parole diverse stiracchiate, poiché non ogni detto; pag. 284, lin. 10-12, le quali abbenchè ingegnosissime se parlino ispirate da Dio, chiaramente vediamo; pag. 285, lin. 27-28, e non soverchiamente ulcerate da prepostere passioni ed interessi; pag. 286, lin. 1-2, nel senso appunto ch’elle sono, cioè; lin. 4-5, sì che l’avversario non presumerà di legare, ma di restar libero quanto al potere; lin. 27-28, ma da quel primo mobile; pag. 288, lin. 6-11, se, conforme alla posizione del Copernico, noi costituissimo la Terra muoversi almeno di moto diurno, chi non vede che per fermare tutto il sistema, senza punto alterare il restante delle scambievoli rivoluzioni dei pianeti, solo si prolungasse lo spazio e il tempo della diurna illuminazione, basta perchè fusse fermato il Sole; lin. 14-15, il giorno intero; ecc. A pag. 286, lin. 16-26, la Volgata dà il testo compendiato della famiglia peggiore dei manoscritti.
  34. Su questo codice è condotta, molto probabilmente, l’edizione della lettera al Dini fatta dal Targioni Tozzetti, op. cit., T. II, Par. I, pag. 26-29.
  35. Questo è il codice dal quale pubblicò la lettera Iacopo Morelli, I codici manoscritti volgari della libreria Naniana ecc. In Venezia, MDCCLXXVI, pag. 191-194. Il Morelli, che fu il primo editore di tale scrittura, riproduce la lezione del codice come risulta quando si tenga conto delle correzioni che sono nel codice stesso e delle quali parliamo più avanti.
  36. Vedi, p. e., le lezioni che registriamo tra le varianti a pag. 294, lin. 8-9 e 10.
  37. Da questo codice pubblicò la lettera il Morelli, op. cit., pag. 195-201.
  38. Il Targioni Tozzetti, op. cit., T. II, Par. I, pag. 29-81, pubblica le prime pagine della lettera (fino alle parole «ignudi dell’osservazioni», pag.299, lin. 11) da un codice ch’egli dice aver appartenuto al Cocchi, e che noi non sappiamo quale sia. Siccome però il testo edito dal Targioni è spropositato e nulla offre di notevole, non ne abbiamo tenuto conto. Un frammento di questa lettera (dalle parole «direi, parermi», pag. 301, lin. 19, alle parole «della natura», pag. 303, lin. 18) è pure pubblicato, non è chiaro di su qual codice, nell’edizione Padovana delle Opere del Nostro (vol. II, pag. 563-564). Anche nel codice dal quale il Poggiali pubblicò la lettera al Castelli, si leggeva la seconda lettera al Dini, col falso indirizzo al «P. Abate Don Benedetto Castelli» (Poggiali, op. cit., pag. 150); ma, come già abbiamo detto, ignoriamo dove questo codice si trovi.
  39. Le ultime linee della lettera (da «con che le bacio», pag. 305, lin. 20, in seguito), che mancano nel cod. G, si leggono nel cod. Pavese, ma vi sono state aggiunte d’altra mano.
  40. A pag. 303, lin. 16, abbiamo corretto aequabiliter acceptas', dato da tutti i codici, in aequabiliter anticipatas, come legge la versione di Dionisio Areopagita fatta dal Perionio (Dionysn Areopagitae, Opera omnia ecc. Quae omnia a Ioachimo Perionio Benedictino Cormoeriaceno ecc. conversa sunt ecc. Lutetiae Parisiorum, apud Robertum Foüet ecc., M.D.XCVIII, car. 53r.), alla quale Galileo si attiene.
  41. Lettera del Signor Galileo Galilei Accademico Linceo scritta alla Granduchessa di Toscana. In cui teologicamente e con ragioni saldissime, cavate da' Padri più sentiti, si risponde alle calunnie di coloro, i quali a tutto potere si sforzarono non solo di sbandirne la sua opinione intorno alla constituzione delle parti dell'Universo, ma altresì di addurne una perpetua infamia alla sua persona. In Fiorenza, MDCCX. Forma come un’appendice, con frontespizio e numerazione a parte, al Dialogo di Galileo Galilei Linceo ecc. dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano ecc., in questa seconda impressione accresciuto di una lettera dello stesso non più stampata e di vari trattati di più autori, i quali si veggono nel fine del libro ecc. In Fiorenza, MDCCX. I bibliografi dicono che l’edizione è stata fatta, invece, a Napoli.
  42. Dopo l'edizione or ora citata, fu riprodotta per la prima volta nella prima edizione milanese delle Opere del Nostro (Milano, dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, vol. XIII, 1811, pag. 5-71).
  43. Non abbiamo enumerato in questa serie quei manoscritti che a prima vista si dimostrano come copie pure e semplici dell’edizione principe, di cui riproducono il frontespizio, le note tipografiche, le lettere proemiali ecc. Una di queste copie è nel T. I (car. 58r. — 96r.) della Par. IV dei Manoscritti Galileiani, un’altra nel cod. Vaticano-Ottoboniano 2174, ecc. Non dubitiamo poi che esistano degli altri manoscritti a noi ignoti, specialmente nelle biblioteche private: noi stessi, ad esempio, abbiamo esaminato in Firenze un altro codice, di proprietà privata, che, quanto al testo, è da ascrivere alla seconda famiglia della quale parliamo più avanti. Un altro manoscritto, che ignoriamo, nonostante le più diligenti ricerche, dove ora si trovi, è indicato nel Catalogue of the Manuscript Library of the late Dawson Turner ecc. which will he sold by auction by Messrs Fultick and Simpson ecc. on Monday, June 6, 1859 and four following days ecc., pag. 301. Secondo questo Catalogo, tale manoscritto sarebbe nientemeno che autografo di Galileo, e alle ultime parole del testo a stampa della lettera, «gli deve raggirare», terrebbe dietro in esso un altro paragrafo, inedito, che occuperebbe una pagina e mezza del codice. Ma che il manoscritto sia autografo, è lecito dubitarne; e siffatto paragrafo finale potrebbe ben essere quell’Excerptum ex Didaci a Stunica Salmanticensis Commentariis in lob editionis Toletanae apud Ioannem Rodericum anno 1584, in 4°, pag. 205 et seqq., in haec verba Cap. 9, vers. 6, «Qui commovet Terram de loco suo, et columnae eius concutiuntur» (cfr. pag. 336, lin. 16-19, di questo volume), che si legge in fine della lettera in parecchi manoscritti della seconda famiglia, e che, del resto, non è inedito, essendo stato pubblicato in appendice all’edizione principe e riprodotto nella citata edizione di Firenze (Napoli), 1710, pag. 74-76.
  44. Nov-antiqua Sanctissimorum Patrum et probatorum theologorum doctrina de Sacrae Scripturae testimoniis, in conclusionibus mere naturalibus, quae sensata experientia et necessariis demonstrationibus evinci possunt, temere non usurpandis: in gratiam Serenissimae Christinae Lotharingae, Magnae - Ducis Hetruriae, privativi ante complures annos Italico idiomate conscripta a Galilaeo Galilaeo, Nobili Florentino, Primario Serenitatis Eius Philosopho et Mathematico: nunc vero iuris publici facta, cum Latina versione Italico textui simul adiuncta. Augustae Treboc. Impensis Elzeviriorum, Typis Davidis Hautti. M.DC.XXXVI. — Quando, nelle note o nelle varianti alla lettera, ricordiamo la stampa, intendiamo sempre di questa di Strasburgo.
  45. Systema Cosmicum, Authore Galilaeo Galilaei Lynceo ecc. in quo quatuor dialogis de duobus maximis mundi systematibus, Ptolemaico et Copernicano ecc. disseritur. Ex Italica lingua Latine conversum, ecc. Augustae Treboc. Impensis Elzeviriorum, Typis Davidis Hautti, Anno 1635.
  46. Precisi particolari intorno a questa edizione sono forniti dalle lettere del Bernegger, che si conservano nel vol. XXXII della Supellex epistolica Uffenbachii et Wolfiorum nella Biblioteca Civica di Amburgo. Apprendiamo da queste lettere che il Diodati propose al Bernegger di congiungere al Dialogo dei Massimi Sistemi la lettera a Madama Cristina, dal Bernegger prima non conosciuta (vol. XXXII, car. 132r.): il Bernegger il 4 marzo 1635 accusava d’aver ricevuto «utrumque, et Latinum et Italicum, exemplum apologiae Galilaei»; il manoscritto però gli era giunto più tardi di quello che egli avrebbe desiderato, così che non era più a tempo per dar fuori uniti in un solo volume il Dialogo e la lettera (vol. cit., car. 138r.); il 18 dicembre dell’anno stesso questa era tutta stampata, tranne il frontespizio e le lettere proemiali (vol. cit., car. 169t.), le quali il Ber- negger mandava, stampate, al Diodati soltanto il 4 aprile 1636 (vol. cit., car. 178r.). Cfr. Galilei betreffende Handschriften der Hamburger Stadtbibliothek. Yon D.r Emil Wohlwill. Aus dem Jahrbuch der Hamburgischen Wissenschaftlichen Anstalten. XII. Hamburg, 1895. Commissions-Verlag von Lucas Gräfe und Sillem. — Autore della versione latina molto probabilmente è stato, per quanto risulta dal carteggio del Bernegger, il Diodati stesso, e non già Galileo, come vorrebbe C. Bünger, Matthias Bernegger, ein Bild aus dem geistigen Leben Strassburgs zur Zeit des dreissigjährigen Krieges. Strassburg, 1893, pag. 89.
  47. In questa lettera il Diodati prese il nome di «Robertus Robertinus Borussus», amico e discepolo del Bernegger e personaggio noto nella storia letteraria tedesca (Cfr. Geschichte der deutschen Dichtung von G. G. Gervinus. Dritter Band, fünfte Auflage, Leipzig, 1872, pag. 325-326). Ma che sotto lo pseudonimo di Robertinus si nasconda il Diodati, il quale volle così celarsi perchè non si sospettasse che Galileo avesse avuto parte nella pubblicazione, è confermato anche dal citato carteggio del Bernegger (vol. cit., car. 143r., 169t. e 178r.).
  48. Nella citata lettera del 4 aprile 1636 il Bernegger scriveva al Diodati: «Apologiae 200 exemplaria ... mercator quidam nostras ad vos curanda suscepit... Elzeviriis misi Francofurtum exemplaria 300 apologiae».
  49. Lettere di Galileo a Fra F. Micanzio, dei 28 giugno e 12 luglio 1636 (Biblioteca Marciana, Cl.X, cod. XLVII, car. 2 e 8), e al Bernegger, dei 15 luglio 1636 (Epistolaria Commercii M. Berneggeri cum viris eruditione claris, fasciculus secundus. Argentorati, sumptibus Josiae Staedelii, M.DC,LXX, pag. 115).
  50. Le postille mtarginali, alle quali nelle moderne ristampe erano state sostituite poco opportunamente delle note, furono da noi riprodotte togliendole non soltanto dal cod. G, ma, quando in questo mancavano, anche dal cod. V. Spesso in siffatte postille abbiamo corretto, senza farne nota, le citazioni errate.
  51. Racchiudiamo tra parentesi quadre alcune parole che mancano in V per guasti delle carte.
  52. Furono pubblicate da D. Berti, Antecedenti al processo galileiano e alla condanna della dottrina Copernicana, negli Atti della R. Accademia dei Lincei, Serie terza, Memorie della classe di scienze morali, storiche e filologiche, vol. X, Roma, 1882, pag. 78-91.
  53. Cfr., p. e., pag. 352, lin. 10-22, di queste scritture, con pag. 321, lin. 7-18, della lettera alla Granduchessa; pag. 355, lin. 1 e seg., di queste scritture, con pag. 297, lin. 11 e seg. della seconda lettera al Dini; pag. 355, lin. 35 e seg., con pag. 298, lin. 14 e seg.; pag. 359, lin. 27 e seg., con pag. 298, lin. 20 e seg., ecc.
  54. Pag. 300, lin. 10-13, di questo volume.
  55. Pag. 351, lin. 22-25.
  56. Cod. Volpicelliano A, car. 159r. — 160r. La lettera sarà da noi pubblicata al suo posto nel Carteggio.
  57. Berti, Il processo originale ecc., pag. 184.
  58. Continuiamo a chiamare questo famoso Carmelitano col nome di Foscarini, col quale è universalmente conosciuto, sebbene il suo vero nome fosse Scarini. Cfr. A. Favaro, Serie nona di scampoli Galileiani, negli Atti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, Vol. X, 1894, pag. 38-36.
  59. Lettera del R.P.M. Paolo Antonio Foscarini Carmelitano, sopra l’opinione de' Pitagorici e del Copernico della mobilità della Terra e stabilità del Sole e del nuovo Pitagorico sistema del mondo ecc. In Napoli, per Lazaro Scoriggio, 1615.
  60. Abbiamo corretto (e ci parve superfluo notarlo volta per volta) forme e grafie come donque, longo, gionse, soggionse, restaranno e simili futuri, doi (per due), raggioni, caggione, vastessa (per vastezza), isteso (per istesso), troverasi, sfugendo, hypothesi o hipothesi, filosophi, theorien, authore, mathematiche, ecc., e, in citazioni latine, supposizione, mondo (per mundo), ecc. Altre forme, delle quali siamo molto incerti se siano da attribuire all’Autore o al copista, preferimmo rispettarle.
  61. Mancano nel manoscritto per pura trascuratezza del copista la parola natura a pag. 367, lin. 18, e i numeri e a pag. 367, lin. 23 e a pag. 368, lin. 17.