Le ore inutili/La salvatrice

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La salvatrice

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Il bell'Arturo L'intrusa

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LA SALVATRICE.

Il giovane, disteso bocconi sulla spiaggia con le gambe affondate e nascoste nella sabbia calda, teneva il volto chino su le braccia ripiegate e pareva dormire o meditare al canto lungo ed eguale delle onde.

Bianca Selmi lo vide per la prima volta in quell’atteggiamento di solitario scontroso e stanco mentre tornava dalla sua consueta passeggiata pomeridiana lungo il mare e rallentò il passo per osservarlo, ma poco più tardi, giunta alla piccola pensione ormai quasi deserta ch’ella abitava, stentò a riconoscere in lui il nuovo ospite giunto il giorno innanzi.

Non più modellato dalla maglia nera che ne disegnava la linea agile e vigorosa, egli pareva più basso e più tarchiato e nella sua faccia pallidissima già solcata di rughe s’aprivano due occhi velati, assenti, quasi sperduti in una [p. 124 modifica] visione confusa e paurosa, due occhi che parevano guardare più in sè che attorno a sè, privi d’ogni desiderio e d’ogni curiosità.

Quando s’alzò dalla tavola d’angolo ch’egli occupava presso la finestra, Bianca vide che trascinava penosamente la gamba destra e mentre i pochi altri commensali sollevavano il viso a osservarlo attentamente, ella abbassò gli occhi sopra un giornale, quasi per non ferirlo con quell’avido sguardo d’indagine che scruta un’infermità e che offende una tristezza.

Egli se ne andò solo verso il mare che palpitava sotto le prime ombre del crepuscolo settembrino e sedette sulla rotonda deserta con le braccia appoggiate alla balaustrata e il capo sopra le mani, intento a guardare la luna che sorgeva a fatica da un cumulo di nuvolette.

Bianca ne osservò passando il profilo schietto, leggermente aquilino, i capelli neri un po’ buttati all’indietro e scompigliati dal vento marino che scoprivano la fronte diritta e gli facevano una testa romantica alla Jacopo Ortis. Ella ne sorrise fra sè passando e andò oltre; ma il mattino seguente, mentre si dirigeva alla rotonda col viso chino, intenta a girare con l’uncinetto intorno a un passamontagna di lana grigia che pareva un antico camaglio in [p. 125 modifica]maglia d’acciaio, lo ritrovò d’improvviso al medesimo posto e nella uguale posizione della sera innanzi, come s’egli vi avesse passata l’intera notte.

Il giovane la vide e chinò il capo scoperto a un cenno di saluto al quale ella rispose con grazia sorridente, sedendo presso di lui in una sedia a sdraio.

— Forse io disturbo la sua meditazione, — disse dopo un momento con un leggero rossore. E come egli scuoteva la testa un po’ confuso, cercando senza trovarla qualche parola di protesta cortese, ella soggiunse: — Io vengo qui ogni mattina a lavorare per i miei soldati. Ho quindi su di lei un piccolo diritto di precedenza. Me lo concede?

— Senza dubbio, signora. Mi perdoni anzi questa involontaria usurpazione. Io non sono che un ozioso e posso anche andarmene a oziare altrove.

Egli tacque dopo aver pronunziato a stento queste parole, ansando come se avesse compiuto uno sforzo enorme e non potè neppure rispondere con un sorriso alla gaia risata con cui la giovane donna si dichiarò offesa e spaventata di tale minaccia. Sembrava comprenderla a mala pena e non rendersi pienamente conto del tono leggiero di quella conversazione, [p. 126 modifica]come se una lunga assenza dal mondo o una malattia grave avessero appesantito o depresso l’agilità del suo spirito.

Bianca ne fu a un certo punto così incuriosita che tentò una vaga ricerca:

— I suoi occhi sembrano quelli d’un convalescente, ma d’un convalescente che non abbia voglia di guarire.

Il giovane sospirò e chiuse gli occhi ma dopo un momento li riaperse tutti grandi verso il mare e senza guardarla disse:

— Sono uscito ieri l’altro dall’ospedale militare, ma non sono ancora guarito. Non potrò mai guarire.

Ella lasciò cadere a terra il suo lavoro, tanto fu rapido il balzo col quale s’eresse.

— Ferito in guerra? — domandò.

— Sì, — egli mormorò. — Una scheggia di granata qui, nella gamba destra, e nel cervello uno smarrimento, un orrore, una visione così terribile che mi ha istupidito per sempre.

Balbettando, interrompendosi, soffrendo, egli aveva confessato per la prima volta il suo male a una creatura viva e questa creatura era una sconosciuta non mai incontrata prima di ieri, una donna di cui non sapeva nulla, nemmeno il nome. [p. 127 modifica]

Lontana e nemica egli possedeva un’agiata famiglia, padre e zii, fratelli e congiunti dei quali non aveva notizie da cinque anni e che ignoravano completamente la sua sorte.

Prodigo discolo ozioso, era stato cacciato dalla casa paterna a diciott’anni e aveva errato il mondo alla ventura, senza recar danno ad altri che a se stesso, ora spinto dalle necessità della vita al più accanito lavoro, ora dissipatore spensierato di una improvvisa fortuna, abbastanza intelligente, tenace e orgoglioso per ricominciare da capo e abbastanza indifferente alla ricchezza per disperdere ancora al vento le sue fatiche.


Al primo squillo di guerra era accorso sotto le armi e durante uno dei primi combattimenti era rimasto ferito. Nessuno aveva avvertito la sua famiglia, nessuno dei suoi era venuto a chinarsi sul suo guanciale per spiarvi in ansia le vicende dolorose del male. Egli stesso s’era rifiutato di dare il nome e il recapito di suo padre, assicurando d’essere orfano e solo. Ora, a convalescenza inoltrata, era venuto a cercare l’ultimo tepore dell’estate e la prima pace dell’autunno in quel paesello fra mare e colle già noto alla sua fanciullezza, dove la morbida spiaggia sabbiosa offriva alla sua stanchezza [p. 128 modifica]lunghi riposi e lunghi silenzi alla sua malinconia.

Vagamente, a frasi disordinate e monche, egli raccontò qualche cosa della propria vita alla nuova amica ancora sconosciuta, ed ella gli disse il suo nome, gli narrò d’essere vedova e d’aver varcato di parecchi anni la trentina, gli confessò d’annoiarsi rassegnata in quel villaggio di pescatori che un caso qualunque le aveva fatto scegliere per sua dimora.

Ella parlava con una voce bassa di tono ma armoniosa e dolce, interrompendo a mezzo le frasi più gravi con una delle sue risate piene di gaiezza che invitavano al sorriso il suo ascoltatore, lasciandogli intravedere una di quelle rare anime rimaste giovani fresche e sane, nonostante le avversità e gli urti della vita.

Anche il suo volto rispecchiava l’alacre giocondità dello spirito, tanto era chiaro, mobile, luminoso negli occhi e nei denti, quantunque non bello, di linee imperfette e quasi ancora infantili.

Dario Restani, il ferito, non ne poteva staccare lo sguardo e gli pareva che un poco di quella vitalità gioconda penetrasse in lui attraverso ai limpidi occhi azzurri della donna, come una calda ventata di profumi agresti penetra in un sottosuolo pieno d’ombre e d’acque stagnanti. [p. 129 modifica]

Insieme si diressero alla piccola pensione quasi deserta, ella moderando il suo passo agile e svelto, egli appoggiandosi meno penosamente al suo bastone. E tornarono nel pomeriggio presso il mare, l’una per fare il consueto bagno, l’altro per affondare nella sabbia calda la sua gamba non ancora risanata e chiedere alla salsedine e al sole la guarigione della sua carne inferma.

Ma Bianca Selmi aveva intrapreso, senza quasi ch’egli se ne avvedesse, la guarigione del suo spirito assai più gravemente malato del suo corpo e gli parlava, lo interrogava, gli sorrideva, scuoteva quell’anima dalla sua fosca inerzia, gli metteva nella mente baleni e battiti nel cuore.

A grado a grado il doloroso intontimento del suo cervello che un terribile spettacolo di carneficina e di morte aveva riempito di confusione, di smarrimento, d’orrore e forse annebbiato per sempre, si risollevava, sospinto da quell’incitamento, in una luce nuova e diversa, riacquistava vigore e disciplina, viveva di una propria vita, guariva.

Dario Restani potè dopo una settimana raccontare alla sua amica, con una certa lucidità di memoria e d’impressioni, le fasi dell’assalto al quale aveva partecipato e alcuni [p. 130 modifica]episodi di trincea del tempo che l’aveva preceduto.

Bianca se ne rallegrò come di un proprio trionfo. La prima volta ch’ella aveva arrischiato su quell’argomento qualche domanda, egli s’era oscurato in volto rivolgendo altrove lo sguardo pieno di terrore e balbettando a stento: — Non so, non so, non ricordo. La prego, non parliamo di questo.

Dopo qualche tempo egli incominciò a osservarla e a commentare gli abiti che Bianca indossava, dimostrandosi abbastanza esperto in fatto d’acconciature femminili. La giovane donna rideva del suo fresco riso comunicativo e lo canzonava amabilmente, incitando la sua vanità di bel ragazzo, certo un tempo fortunato conquistatore. Ed egli si prestò tutto lieto a quel gioco elegante, si pose a farle una piccola corte fra galante e tenera, dimenticò d’essere un convalescente, quasi ancora un malato.

Non zoppicava più quand’ella lo guardava, discorreva con leggerezza e con spirito delle molte cose che la sua avventurosa esistenza gli aveva insegnato e si compiaceva di stupire Bianca ripetendole una frase amorosa in tutte le quattro o cinque lingue ch’egli correntemente parlava.

Ridevano insieme come due ragazzi guaz[p. 131 modifica]zando nell’acqua o rincorrendosi sulla spiaggia nelle giornate di sole, e a Dario pareva di ritornare fanciullo e di giuocare con qualche amica della sorella nel gran giardino della casa paterna, sotto la vigilanza della vecchia istitutrice inglese, la quale sollevava di quando in quando lo sguardo dalla Bibbia e lo chiamava a sè per ammonirlo con la sua voce gutturale.

Un giorno essi finivano di prendere il tè sulla spiaggia, nella mitezza del primo sole d’ottobre, quando la cameriera della pensione li raggiunse correndo e annunziò a Dario che un vecchio signore, arrivato in automobile, chiedeva di parlargli.

Egli pensò trattarsi di qualche ufficiale superiore venuto a informarsi della sua convalescenza o a richiamarlo in servizio e accorse prontamente scusandosi e pregando l’amica di attenderlo.

Bianca lo attese un’ora e già si risolveva ad andarsene quando Dario le venne incontro con una faccia sconvolta.

— È giunto mio padre, — egli disse a bassa voce. — Desidera ch’io riparta con lui questa sera, ch’io ritorni a casa. Me ne scongiura piangendo. È venuto a prendermi.

Ella ascoltava e taceva, col cuore improvvisamente stretto da una oscura pena. [p. 132 modifica]

— Mi dica, mi dica, amica mia, che debbo fare? Mi supplica fra le lagrime di andare a vivere con lui. È solo, è vecchio, è malato. I miei fratelli sono tutti sposati e vivono lontano. Ha saputo, non so come, ch’ero ferito, è riuscito a trovarmi e vuole trascinarmi via con sè. Che debbo fare?

Ella tentò di sorridere come prima, come sempre, ma le sue labbra ebbero solo una contrazione dolorosa. Anche la sua voce tremò e suonò alle sue stesse orecchie mutata mentre ella diceva con uno sforzo:

— Non può rifiutare. Vada, vada con suo padre. A un vecchio padre che prega non si può dire di no.

V’era nelle sue parole un sapore un poco amaro, che Dario confusamente sentì. Egli soggiunse:

— Si stava tanto bene qui insieme noi due. La sua amicizia mi ha guarito. Debbo restare, mi dica, debbo restare? Mio padre ha sempre contato così poco nella mia vita! Un’amica è talvolta più d’un consanguineo. Non dipende che da un suo consiglio. Che debbo fare?

Ella inghiottì il nodo di pianto che le serrava la gola e con un sorriso quasi eroico mormorò quel consiglio:

— Vada. È bene che vada. [p. 133 modifica]

Dario le baciò le mani e s’allontanò in silenzio. Ella si distese sulla spiaggia, nascose il volto sulle braccia ripiegate e guardò atterrita nel proprio cuore. Ella aveva dato all’amico la guarigione e ne aveva ottenuto in cambio un altro male, un male più triste di qualsiasi infermità della carne: una inutile passione. La salvatrice s’era ella stessa perduta.

Rimase così fino a sera ad assaporare uno spasimo lacerante e quando rientrò nella sua camera sfinita d’angoscia, seppe che Dario Restani era partito.