Le piacevoli notti/Notte IX/Favola II

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Favola II

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FAVOLA II.


Rodolino, figliuolo di Lodovico Re di Ungheria, ama Violante figliuola di Domizio sarto; e morto Rodolino, Violante, da gran dolor commossa, sopra il corpo morto nella chiesa si muore.


Se l’amore è guidato da uno spirito gentile con quella modestia e temperanza che se gli conviene, rare volte aviene che non riuscisca in bene. Ma quando è guidato da uno ingordo e disordinato appetito, nuoce molto, e conduce l’uomo ad orrido e spiacevole fine. Qual sia la causa di questo breve discorso, il fine della favola ve ’l darà a conoscere.

Dicovi adunque, graziose donne, che Lodovico, Re di Ungheria, ebbe un solo figliuolo, Rodolino nomato; il qual, ancor che molto giovanetto fosse, non restava però di sentire i cocenti stimoli d’amore. Il giovanetto un giorno, dimorando ad una finestra della camera sua, e ravolgendo nell’animo suo varie cose, de quai assai si dilettava, vidde per aventura una fanciulla, figliuola d’un sarto, della quale, per esser bella, modesta e gentile, sì caldamente s’accese, che non trovava riposo. La fanciulla, che Violante si chiamava, s’avidde [p. 130 modifica]dell’amor di Rodolino, e non meno di lui s’accese, che egli di lei; e quando non lo vedeva, si sentiva morire. Cresciuti ambiduo in pari benivolenza, amor, che è fida guida d’ogni animo gentile e vera luce, operò sì che la giovanetta si assicurò di parlar con lui. Sendo un giorno Rodolino alla finestra, e conoscendo apertamente il reciproco amore che gli portava Violante, disse: Violante, sappi che tanto è l’amor ch’io ti porto, che quello mai non separerà se non la scura morte. Le laudevoli e leggiadre maniere, gli onesti e real costumi, gli occhi vaghi e lucidi come stella, e l’altre condizioni che io veggo in te fiorire, mi hanno sì focosamente indutto ad amarti, che mai altra donna che te non intendo di prender per moglie. Ed ella, che era astuta, ancor che giovanetta fosse, rispose che, se egli amava lei, assai più ella amava lui, e che ’l lei amore non era d’agguagliare al suo, perciò che l’uomo non ama di buon cuore, ma il suo amore è folle e vano, e più delle volte conduce la donna, che sommamente ama, a miserabil fine. — Deh, anima mia, diceva Rodolino, non dir così; chè, se tu sentesti la millesima parte della passione ch’io per te sento, tu non diresti tai parole; e se tu no’l credi, fa l’isperienzia, chè all’ora tu vedrai se io ti amo o no. Avenne che Lodovico, padre di Rodolino, s’avidde un giorno dell’innamoramento del figliuolo; e molto tra se stesso si dolse, temendo forte quello che agevolmente li poteva avenire con vituperio e vergogna del suo regno. E senza farli saper cosa alcuna di questo, diliberò mandarlo in lontani paesi, acciò che il tempo e la lontananza ponesse in oblivione l’inamoramento suo. Laonde il Re, chiamato un giorno a sè il figliuolo, disse: Rodolino, figliuolo mio, tu sai che noi non avemo altri figliuoli che te, nè semo per averne: e il regno dopo [p. 131 modifica]la morte nostra aspetta a te, come vero successore; e acciò che tu diventi uomo prudente e accorto, e a tempo e a luoco possi saviamente reggere il regno tuo, io determinai mandarti in Austria, dove dimora Lamberico, da parte di madre tuo zio. Ivi sono uomini dottissimi, e quali per amor nostro ti ammaestreranno, e sotto la loro disciplina verrai prudente e savio. Rodolino, inteso il parlar del Re, si sbigottì e quasi muto divenne; ma pur, ritornato in sè, disse: Padre mio, quantunque lo allontanarmi da voi mi sia dolore e pena, perciò che mi privo della presenza vostra e della madre mia, pur, perchè così v’aggrada, io sono disposto di ubedirvi. Il Re, intesa la benigna risposta del figliuolo, subito scrisse a Lamberico suo cognato, e li significò la causa, raccomandandogli il figliuolo come la propria vita. Rodolino, poi che fatta ebbe la larga promessa al padre, assai si duolse; ma non potendola con suo onor ritrattare, a quella consentì. Ma prima che si partisse, trovò la comodità di parlar con la sua Violante per instruirla che far devesse fin’alla venuta sua, acciò che un tanto amore non si separasse. Trovatisi adunque insieme, disse Rodolino: Violante, io, per compiacere al padre mio, m’allontano da te col corpo, ma non col core; e ovunque sarò, io sempre mi ricorderò di te. Ma pregoti per quello amore ch’io ti portai, porto e porterò fin che ’l spirito reggerà queste ossa, che tu non vogli congiungerti in matrimonio con uomo alcuno, perciò che, tantosto ch’io ritornerò, prenderotti senza fallo per mia legittima moglie; e in segno della mia intiera fede, prendi questo anello, e tiello caro. Violante, avuta la trista nuova, volse da dolor morire; ma poscia che riebbe le smarrite forze, rispose: Signore, Dio volesse che io mai non vi avesse conosciuto, perciò che io non mi troverei in tanti duri affanni, in quanti [p. 132 modifica]ora mi trovo. Ma poi che così vuol il cielo e la mia sorte che voi vi allontanate da me, almeno fatemi certa se ’l vostro star lontano sarà breve o lungo; perciò che, essendo lungo, non potrei resistere alla volontà del padre, quando mi volesse maritare. Disse Rodolino: Violante, non ti ramaricare: stammi allegra, chè innanzi che finisca l’anno, sarò qui; e se in termine dell’anno non vengo, ti do buona licenza di poterti maritare. E così detto, con lagrime e sospiri tolse licenza da lei: e la mattina per tempo, montato a cavallo, con onorevole compagnia cavalcò verso l’Austria; ed ivi giunto, fu da Lamberico suo zio orrevolmente ricevuto. Stavasi Rodolino per la sua lasciata Violante addolorato molto, nè sapea prender solazzo alcuno; ed avenga che gli giovani si sforciassino di dargli tutti e piaceri che imaginar si potevano, nulla però o poco valeano. Dimorando adunque Rodolino nell’Austria con suo non poco scontento, e avendo l’animo affiso alla sua diletta Violante, non avedendosi, passò l’anno. Onde accortosi di questo, chiese licenza al zio di ritornar a casa per veder il padre e la madre; e Lamberico benignamente glie la concesse. Venuto Rodolino nel paterno regno, e accettato con gran festa dal padre e dalla madre, gli venne in cognizione come Violante, figliuola di Domizio sarto, era maritata. Il che fu di somma letizia al Re: ma d’infinito dolor a Rodolino, il qual tra se stesso molto si doleva, che di tal maritaggio ne era stato causa. Dimorando il miserello in questo angoscioso tormento, nè sapendo trovar remedio all’amorosa passione, voleva da doglia morire. Ma Amore, che non abbandona gli seguaci suoi, e castiga quelli che non attendono alle promesse, trovò il modo che Rodolino si ritrovò con Violante. Rodolino, senza saputa di Violante, una sera nella sua camera si nascose: e giacendo [p. 133 modifica]lei col marito in letto, chetamente andò alla callicella; ed entrato dentro pianamente, levò la sargia e posele la mano sopra il petto. Violante, che non sapeva la venuta sua, sentendosi da altri che dal marito toccare, volse dar un grido; ma Rodolino, messa la mano alla bocca, la vietò, e diedesi a conoscere. La giovane, conosciuto che ebbe lui esser Rodolino, subito si smarrì, e temenza le venne che dal marito sentito non fusse; e con savio modo, meglio che ella poteva, lo spingeva da sè, nè si lasciava pur basciare. Rodolino, vedendosi dal suo caro bene al tutto abbandonato e apertamente scacciato, non vedendo rimedio al gravoso affanno che sofferiva, disse: O crudelissima fiera, ecco che io moio; contentati che più non avrai di vedermi fastidio: e tardi divenuta pietosa, di biasmare la tua durezza a forza costretta sarai. Ohimè, e come può essere che’l lungo amore ch’un tempo mi portasti, sia ora in tutto da te fuggito? E così dicendo, strettamente abbracciò la sua Violante, e quella, volendo o non volendo, basciò; e sentendosi dentro al cuore già venire meno lo spirito, si raccolse in sè, e mandato fuori un gran sospiro, a lato di lei infelicemente morì. La meschinella, poi che conobbe lui esser morto, stette sopra di sè, e pensava che via tener dovesse che ’l marito non s’accorgesse; e lasciatolo della lettiera nella callicella lievemente giù cadere, finse di sognare: e trasse un grandissimo grido, per lo quale il marito subito si destò; e addimandata la causa del grido, tutta tremante e spaventata li raccontò, come le pareva Rodolino, figliuolo del Re, giacer seco e nelle sue braccia esser morto: e levatosi di letto, trovò nella callicella il corpo morto disteso, che ancor era caldo. Il marito, veduto il strano caso, sbigottito rimase, e molto temette della vita sua. E fatto buon core, prese il corpo morto [p. 134 modifica]sopra le spalle; e senza esser veduto da alcuno, poselo su la porta del regal palazzo. Il Re, intesa la trista nuova, voleva de dolor ed ira se stesso uccidere; ma poscia, ritornato in sè, mandò per gli medici, che vedessino e giudicassino la causa della sua morte. I medici separatamente videro il corpo morto, e conformemente riferirono essere morto non da ferro nè da veneno, ma da dolore intrinseco. Il che inteso, ordinò il Re che si apparecchiassero le funerali essequie, e che il cadavere nella chiesa catedrale fusse portato e che tutte le donne della città, di qualunque condizione esser si voglia, sotto pena della disgrazia sua, debbano andar alla bara e basciare il figliuolo morto. Concorseno molte matrone, le quali per pietà largamente il piansero; e tra l’altre vi andò la infelice Violante; la qual, desiderando almeno morto veder colui, a cui vivo non aveva voluto d’un sol bascio compiacere, gettossi sopra il morto corpo: e pensando che per amor di lei era privo di vita, ritenne sì fattamente il fiato, che senza dir parola passò della presente vita. Le donne, vedendo l’inopinato caso, corsero ad aiutarla; ma in vano si affaticarono, perciò che l’anima s’era partita e andata a trovar quella di Rodolino, suo diletto amante. Il Re, che sapeva l’innamoramento di Violante e del figliuolo lo tenne secreto: e ordinò che ambiduoi fussero in una stessa tomba sepolti.

Già Lionora aveva messo fine alla compassionevole sua favola, quando la Signora le fece motto che con l’enimma seguisse; la quale senza indugio disse.

Per me sto ferma, e se tal’un m’assale,
     Vo su per tetti, e spesso urto nel muro.
Le percosse mi fan volar senz’ale,
     E saltar senza piedi al chiaro al scuro.

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Non cesso mai, se ’l mio contrario tale
     Non resta, che ’l desir suo sia sicuro:
In me principio o fin pur non si vede,
     E cosa viva fui, nè alcun me ’l crede.

Dalla maggior parte degli auditori fu inteso l’enimma da Lionora recitato, che altro non significava eccetto la palla, che è assalita da’ giuocatori, i quali la mandano or qua or là, percuotendola con mani. Isabella, a cui il terzo luogo di favoleggiare toccava, levossi in piedi, e così a dire incominciò.