Le poesie di Catullo/67

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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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— O grata al genitore, grata al dabben marito,
     Salve, e te Giove favoreggi ognora,

Porta, che a Balbo, è fama, allora hai ben servito
     Che il vecchio in queste case avea dimora.

5Ma assai male il servisti, quand’ei stecchito giacque,
     E a te sen venne l’ammogliato erede.

Come cangiar potesti? Di’, come non ti spiacque
     All’antico padron romper la fede? —

— Così a Cecilio piaccia, a cui passata io sono,
     10Colpa, o Quinto, io non ci ho, ben ch’altri il dica;

E ch’io son rea, nessuno, nessun può dirlo a buono,
     Fuor che la plebe alle fandonie amica.

Basta ch’ella s’accorga d’una qualche sconcezza,
     Schiamazza tosto: È tua la colpa, o porta. —

15— Fai presto ad asserirlo. Che n’abbia ognun certezza,
     E veda e tocchi il fatto stesso, importa. —

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— Ma che poss’io? Per altro, chi vuol saperne nulla?-
     — Io: con me puoi chiamar gatta la gatta. —

— In primis dunque, è falso, ch’io tradii la fanciulla.
     20Lo sposo, è ver, l’avea lasciata intatta;

Che pendulo e qual bieta molle il suo pugnaletto
     Mai non s’ergea della cintura a mezzo;

Ma, dicesi, che il padre montò del figlio il letto,
     E la povera casa empì di lezzo:

25O che l’empio suo core di cieco amore ardesse,
     O sapendo il figliuol non buono a nulla,

Volle mettere a prova, s’ei tanto nerbo avesse
     Da slacciare la zona a una fanciulla. —

— Tu mi parli d’ un padre di mirabil pietà,
     30Che della nuora in sen lo schizzo fe’;

Ma ben altri ripeschi dice sapere e sa
     Brescia che del Cicnèo colle sta appiè,

Brescia, cui molle e biondo il Mella a mezzo sega,
     Brescia la madre della mia Verona. —

35— Di Cornelio e Postumio racconta essa la frega,
     Coi quali ordì colei la tresca buona.

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Diran: Ma come sai tutti questi pasticci,
     Se mai dal limitar lungi non vai?

Come udir qui confitta codesti chiacchiericci,
     40S’altro che aprire e chiudere non sai?

Spesso udito ho colei furtiva con le fanti
     Rivangar le sue tresche e nuove e vecchie,

E pronunziava i nomi c’ho detto poco avanti,
     Chè non temeva in me lingua nè orecchie;

45E poi dicea d’un tale, che non va nominato,
     Perch’ei non torca il rosso sopracciglio:

È un lasagnon, che avvolto in gran litigj è stato
     Per la bindoleria d’un falso figlio.