Le prose di Bianca Laura Saibante Vannetti/Novella VI

Da Wikisource.
Novella VI

../Novella V ../Novella VII IncludiIntestazione 19 dicembre 2022 100% Da definire

Novella V Novella VII

[p. 39 modifica]

Novella VI


Letta in Accademia a’ 30 di Giugno 1751. Sotto il Reggimento dell’Agiatissimo Messer Ottone.


Già udimmo la tornata addietro il favorevole ragionare dell’ora Agiatissimo Messer Ottone intorno agli eroici atti delle antiche Donne, ed ognuno di noi, posciaché inimico non è di queste, assaissimo se ne compiacque, e lui da quel punto in poi, a gran capitale e per degno di qualunque s’è, grande elogio tiene. Ed io, come quella a chi sogliono di gran lunga, più che ad altre per avventura non fanno, le lodi delle medesime piacere, per modo del tuo narrare, e delle virtù loro invaghita essendomi, hommi proposto e divisato a questa fiata volere la stessa via camminare, col raccontarvi la breve storia d’una giovane Donna Ateniese, che ne’ giorni andati io già nel Baldassar Conte Castiglione mi si ricorda aver letto. Camma era costei detta per nome, una delle più valorose e savie giovani Donne, che a’ tempi suoi vivessero, e quanto di virtù l’animo, altrettanto di bellezza il volto avea ornato, alla quale toccato era in sorte [p. 40 modifica]un Giovane, che si chiamava Sinatto, non meno di lei valoroso e bello della persona; che perciò l’un l’altro vicendevolmente amandosi ed onorandosi più ciascun giorno, se più poteva essere, come ad onesta gente convenevole è di fare, attendevano grande e lieta vita insiememente di menare come quelli che dalla buona fortuna di molto favoriti erano. Ma siccome di rado avviene che preziosa gemma lungamente ascosa all’invidioso sguardo dell’avaro involator si giaccia, il quale, dacché l’addocchiò, ogni studio pone per volerlasi per ingiuste vie rendere sua; così appunto di Camma succedette; poiché, mentre con bellezze neglette attendeva a Sinatto di solo piacere, a quello tutti gli affetti suoi fedelmente serbando, accadde che a Sinorige Tiranno venne la venustà di Lei veduta, della quale fuor di modo invaghito essendone, molte vie tentò di essere, scoprendole l’amor suo, dalla stessa riamato; ma invano, che la virtù di Camma era di gran lunga superiore all’amore del Tiranno, e tanto già e’ non sapea amarla che, assediata da prieghi e lusinghe, vie più al suo Sinatto non sapesse esser fedele. Quindi, veduta ogni opra essere vana, già disperando da Lei nulla mai più ottenere pel troppo amore che al marito ne portava, entrò in pensatoio di far uccidere Sinatto, ed al reo pensiero guari non andò che diede opera. Appresso la cui morte incominciò di novellamente tentare l’impresa, assai volte a Lei [p. 41 modifica]vedere facendosi pomposamente, quando di ricche spoglie vestito, ed ora sopra numida destriero ben montato maestrevolmente governare a questo il freno; ma né anco ciò ebbe forza d’invaghire e movere l’animo della virtuosa donna invitta a compiacergli; per la qual cosa conoscendo ogni opera gittarsi al vento, seco stesso si mise in animo di farla a’ suoi parenti richiedere per isposa. Il perché lieti e festevoli ad essa ne vennero ben tosto, ed ogni cosa per loro le fu esposta, la quale essi non poco tenne in pendente colla risposta. Da pezzo vinta dalla forza sì a dir loro imprese: «Avvegnadioché voi, o miei dolcissimi Fratelli colla forza e colle minacce, più che colle preghiere, stringere mi volete a far ciò ch’io per elezione giammai fatto non avrei, io sebbene contro a grato1, nulla però di meno disposta sono di compiacervi, a intendimento che voi tutti al Tempio d’accompagnarmi non isdegnate, dove al dolce mio estinto sposo, pria la destra di stringere a Sinorige, intendo porgere un sacrificio, affinché di mie nuove nozze l’ombra dolente lieta ne divenga». Il che udito, tutti ad una voce le promisero d’attendere. Laonde a Sinorige ne vennero significando ciò che per Camma inteso aveano. Il quale oltremodo contento il vegnente mattino al Tempio di Diana accompagnato da’ suoi, magnificamente vestito si fu ritrovato; quivi eziandio Camma [p. 42 modifica]superbamente ornata di gemme e drappi d’oro, con smaniglie di grosse perle, e’ l crine innanellato, bella come il sole apparve. Ivi fumavano già sovra gli altari le svenate vittime, ed i sacerdoti in bianche vesti le fibre ad esaminare si facevano, e la solenne festa per compiere non rimaneva che la Damigella il solito liquore alla Sposa ne porgesse, secondo la greca usanza. Perché quella di presente trattasi d’innante ad essa, glielo porse, la quale in mano la tazza prendendo della da lei già preparata venenosissima bevanda, arditamente un sorso ne bevve, e poscia, a Sinorige porta, e’ pure tutto il restante tranquillamente si bevve, che non sapea il misero che tal liquore atto era di cacciarlo tra que’ più. Come vide Camma pertanto che Sinorige il rio veneno avea nel petto, tutta giuliva in tali accenti, rivolta a que’ simulacri proruppe: «Voi, o Santi Dei di mia innocenza custodi, che ora l’onta dell’estinto mio Sinatto appiè de’ vostri venerandi Altari vendicata per me mirate, a Voi la rea alma dell’uccisore vi sagrifico. Deh, fate almeno che pria ch’io in pace vinta da mortal sonno quest’occhi alla luce chiuda, vegga l’inimico di mia onestade estinto, che poscia anch’io contenta indi da questo fral mi scioglierò. Ma tu, perfido Tiranno, anzi che di letto nuziale le regie stanze apparar ti faccia, fa sì che la tomba ti si scavi, ben tosto a star coll’altre [p. 43 modifica]alme ree ten’andrai, che non sosterranno gli Dei che io pria di te mi muoja». A tali insensate strane parole, Sinorige se sbigottito allor rimanesse non è da porre in dubbio; e già dalla forza del veneno conturbato sentendosi venir meno, procurò gli fossero recati rimedi opportuni, sebbene questi non gli giovando miseramente dalle nozze passò al sepolcro. La quale novella fu ben tosto narrata a Camma che con lieto viso, accolto l’ambasciatore, d’una preziosa gemma gli fe dono, e già dallo stesso liquore agitata in questi detti novellamente la lingua sciolse: «A te, o del mio Sinatto tanto gradito lieta ombra, vendicata ne volo, e tu m’accogli qual fida tua sposa; e poiché sì strette furon tra noi in vita le ritorte, deh lascia che, morta ancora, quest’ombra tra gli Elisi mirti teco in pace unita ad errar ne venga: qui non fia che invidia rea mai più nostri legami sciolga. Intanto prendi in vittima lo spirito del superbo Sinorige tuo inimico, che io a tributar ti mando»; ed aprendo le braccia, quasi ad abbracciar Sinatto s’apparecchiasse, tinta da mortal pallore, che più che mai vaga la rendea, accanto alla tomba di Sinatto facendosi porre, dolcemente spirò.