Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Diversi artefici fiamminghi

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Diversi artefici fiamminghi

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Diversi artefici italiani Accademici del Disegno e il Bronzino

[p. 827 modifica] Ora ancor che in molti luoghi, ma però confusamente si sia ragionato dell’opere d’alcuni eccellenti pittori fiamminghi e dei loro intagli, non tacerò i nomi d’alcun’altri, poiché non ho potuto avere intera notizia dell’opere, i quali sono stati in Italia, et io gl’ho conosciuti la maggior parte, per apprendere la maniera italiana, parendomi che così meriti la loro industria e fatica usata nelle nostre arti. Lasciando adunque da parte Martino d’Olanda, Giovanni Eick da Bruggia et Uberto suo fratello, che nel 1410 mise in luce l’invenzione e modo di colorire a olio, come altrove s’è detto, e lasciò molte opere di sua mano in Guanto, in Ipri et in Bruggia, dove visse e morì onoratamente, dico che dopo costoro seguitò Ruggieri Vander Vueiden di Bruselles, il quale fece molte opere in più luoghi, ma principalmente nella sua patria e nel palazzo de’ Signori quattro tavole a olio bellissime di cose pertinenti alla Iustizia. Di costui fu discepolo Havesse, del quale abbiàn, come si disse, in Fiorenza in un quadretto piccolo che è in man del Duca, la Passione di Cristo. A costui successero Lodovico da Lovano, Luven fiammingo, Pietro Ghrista, Giusto da Guanto, Ugo d’Anversa et altri molti, i quali, perché mai non uscirono di loro paese, tennero sempre la maniera fiamminga. E se bene venne [p. 828 modifica]già in Italia Alberto Durero, del quale si è parlato lungamente, egli tenne nondimeno sempre la sua medesima maniera, se bene fu nelle teste massimamente pronto e vivace, come è notissimo a tutta Europa. Ma lasciando costoro et insieme con essi Luca d’Olanda et altri, conobbi nel 1532 in Roma un Michele Cockisien, il quale attese assai alla maniera italiana e condusse in quella città molte opere a fresco, e particolarmente in Santa Maria de Anima due cappelle. Tornato poi al paese e fattosi conoscere per valent’uomo, odo che fra l’altre opere ritrasse al re Filippo di Spagna una tavola da una di Giovanni Eick su detto, che è in Guanto. Nella quale ritratta che fu portata in Ispagna è il trionfo dell’Agnus Dei. Studiò poco dopo in Roma Martino Emskerck, buon maestro di figure e paesi, il quale ha fatto in Fiandra molte pitture e molti disegni di stampe di rame, che sono state, come s’è detto altrove, intagliate da Ieronomo Cocca, il quale conobbi in Roma mentre io serviva il cardinale Ipolito de’ Medici. E questi tutti sono stati bellissimi inventori di storie e molto osservatori della maniera italiana. Conobbi ancora in Napoli, e fu mio amicissimo, l’anno 1545, Giovanni di Calker pittore fiammingo, molto raro e tanto pratico nella maniera d’Italia, che le sue opere non erano conosciute per mano di Fiammingo. Ma costui morì giovane in Napoli, mentre si sperava gran cose di lui, il quale disegnò la sua notomia al Vessalio. Ma innanzi a questi fu molto in pregio Divik da Lovano, in quella maniera buon maestro, e Quintino della medesima terra, il quale nelle sue figure osservò sempre più che poté il naturale, come anche fece un suo figliuolo chiamato Giovanni. Similmente Gios di Cleves fu gran coloritore e raro in far ritratti di naturale, nel che servì assai il re Francesco di Francia, in far molti ritratti di diversi signori e dame. Sono anco stati famosi pittori e parte sono, della medesima provincia, Giovanni d’Hemsen, Mattias Cook d’Anversa, Bernardo di Burselles, Giovanni Cornelis d’Amsterdam, Lamberto della medesima terra, Enrico da Binat, Giovachino di Patenier di Bovines e Giovanni Scorle canonico di Utrecht, il quale portò in Fiandra molti nuovi modi di pitture cavati d’Italia. Oltre questi, Giovanni Bella Gamba di Douai, Dirick d’Harlem della medesima, e Francesco Mostaret, che valse assai in fare paesi a olio, fantasticherie, bizzarrie, sogni et imaginazioni. Girolamo Hertoglien Bos e Pietro Bruveghel di Breda furono imitatori di costui, e Lancilotto è stato eccellente in far fuochi, notti, splendori, diavoli e cose somiglianti. Piero Covek ha avuto molta invenzione nelle storie e fatto bellissimi cartoni per tapezzerie e panni d’arazzo, e buona maniera e pratica nelle cose d’architettura. Onde ha tradotto in lingua teutonica l’opere d’architettura di Sebastiano Serlio bolognese. E Giovanni di Malengt fu quasi il primo che portasse d’Italia in Fiandra il vero modo di fare storie piene di figure ignude e di poesie, e di sua mano in Silanda è una gran tribuna nella badia di Midelborgo. De’ quali tutti si è avuto notizia da maestro Giovanni della Strada di Brucies, pittore, e da Giovanni Bologna de Douai, scultore, ambi fiaminghi et eccellenti come diremo nel trattato degl’Accademici. Ora quanto a quelli della medesima provincia, che sono vivi et in pregio, il primo è fra loro, per opere di pittura e per molte carte intagliate [p. 829 modifica]in rame, Francesco Floris d’Anversa, discepolo del già detto Lamberto Lombardo. Costui dunque, il quale è tenuto eccellentissimo, ha operato di maniera in tutte le cose della sua professione, che niuno ha meglio (dicono essi) espressi gl’affetti dell’animo, il dolore, la letizia e l’altre passioni, con bellissime e bizzarre invenzioni di lui, intanto che lo chiamano, agguagliandolo all’Urbino, Raffaello fiammingo; vero è che ciò a noi non dimostrano interamente le carte stampate, perciò che chi intaglia, sia quanto vuole valent’uomo, non mai arriva a gran pezza all’opere et al disegno e maniera di chi ha disegnato. È stato condiscepolo di costui, e sotto la disciplina d’un medesimo maestro ha imparato, Guglielmo Cay di Breda pur d’Anversa, uomo moderato, grave, di giudizio, e molto imitatore del vivo e delle cose della natura, et oltre ciò assai accomodato inventore, e quegli che più d’ogni altro conduce le sue pitture sfumate e tutte piene di dolcezza e di grazia, e se bene non ha la fierezza e facilità e terribilità del suo condiscepolo Floro, ad ogni modo è tenuto eccellentissimo. Michel Cockisien, del quale ho favellato di sopra e detto che portò in Fiandra la maniera italiana, è molto fra gl’artefici fiaminghi celebrato, per essere tutto grave e fare le sue figure che hanno del virile e del severo. Onde Messer Domenico Lampsonio fiamingo, del quale si parlerà a suo luogo, ragionando dei due sopra detti e di costui, gl’agguaglia a una bella musica di tre, nella quale faccia ciascun la sua parte con eccellenza. Fra i medesimi è anco stimato assai Antonio Moro di Utrech in Olanda, pittore del Re catolico, i colori del quale nel ritrarre ciò che vuole di naturale, dicono contendere con la natura et ingannare gl’occhi benissimo. Scrivemi il detto Lampsonio, che il Moro, il quale è di gentilissimi costumi e molto amato, ha fatto una tavola bellisima d’un Cristo che risuscita con due Angeli e San Piero e San Paulo, che è cosa maravigliosa. Et anco è tenuto buono inventore e coloritore Martino di Vos, il quale ritrae ottimamente di naturale. Ma quanto al fare bellissimi paesi, non ha pari Iacopo Gimer, Hanz Bolz et altri tutti d’Anversa e valent’uomini, de’ quali non ho così potuto sapere ogni particolare. Pietro Arsen, detto Pietro Lungo, fece una tavola con le sue ale nella sua patria Asterdam, dentrovi la Nostra Donna et altri Santi, la quale tutta opera costò duemila scudi. Celebrano ancora per buon pittore Lamberto d’Asterdam, che abitò in Vinezia molti anni et aveva benissimo la maniera italiana (questo fu padre di Federigo, del quale per essere nostro accademico se ne farà memoria a suo luogo), e parimente Pietro Broghel d’Anversa, maestro eccellente, Lamberto Van Hort d’Amersfert d’Olanda; e per buono architetto Gilis Mostaret, fratello di Francesco su detto, e Pietro Pourbs giovinetto ha dato saggio di dover riuscire eccellente pittore. Ora, acciò sappiamo alcuna cosa de’ miniatori di que’ paesi, dicono che questi vi sono stati eccellenti: Marino di Sireffa, Luca Hurenbout di Guanto, Simone Benich da Bruggia e Gherardo. E parimente alcune donne: Susanna sorella del detto Luca, che fu chiamata perciò ai servigii d’Enrico Ottavo re d’Inghilterra e vi stette onoratamente tutto il tempo di sua vita; Clara Skeysers di Guanto, che d’ottanta anni morì, come dicono, vergine; Anna figliuola di maestro Segher medico; Levina figlia di maestro Simone da Bruggia su [p. 830 modifica]detto, che dal detto Enrico d’Inghilterra fu maritata nobilmente, et avuta in pregio dalla reina Maria, sì come ancora è dalla reina Lisabetta. Similmente Caterina figliuola di maestro Giovanni da Hemsen, andò già in Ispagna al servigio della Reina d’Ungheria con buona provisione. Et insomma molt’altre sono state in quelle parti eccellenti miniatrici. Nelle cose de’ vetri e far finestre sono nella medesima provincia stati molti valent’uomini: Art Van Hort di Nimega, Borghese d’Anversa, Iacobs Felart, Divick Stas di Campen, Giovanni Ack d’Anversa, di mano del quale sono nella chiesa di Santa Gudula di Bruselles le finestre della cappella del Sacramento; e qua in Toscana hanno fatto al duca di Fiorenza molte finestre di vetri a fuoco bellissime Gualtieri e Giorgio fiaminghi e valent’uomini, con i disegni del Vasari. Nell’architettura e scultura i più celebrati fiaminghi sono Sebastiano d’Oia d’Utrech, il quale servì Carlo V in alcune fortificazioni e poi il re Filippo, Guglielmo d’Anversa, Guglielmo Cucur d’Olanda, buono architetto e scultore, Giovanni di Dale scultore, poeta et architetto, Iacobo Bruca scultore et architetto che fece molte opere alla Reina d’Ungheria reggente, et il quale fu maestro di Giovanni Bologna da Douai, nostro accademico, di cui poco appresso parleremo. È anco tenuto buono architetto Giovanni di Minescheren da Guanto, et eccellente scultore Matteo Manemacken d’Anversa, il quale sta col Re de’ Romani; e Cornelio Flores, fratello del sopra detto Francesco, è altresì scultore et architetto eccellente et è quelli che prima ha condotto in Fiandra il modo di fare le grottesche. Attendono anco alla scultura con loro molto onore Guglielmo Palidamo, fratello d’Enrico predetto, scultore studiosissimo e diligente, Giovanni di Sart di Himegha, Simone di Delft e Gios Iason d’Amsterdam. E Lamberto Suave da Liege è bonissimo architetto et intagliatore di stampe col bulino, in che l’ha seguitato Giorgio Robin d’Ipri, Divick Volcaerts e Filippo Galle, amendue d’Arlem, e Luca Leidem con molti altri, che tutti sono stati in Italia a imparare e disegnare le cose antiche per tornarsene, sì come hanno fatto la più parte, a casa eccellenti. Ma di tutti i sopra detti è stato maggiore Lamberto Lombardo da Liege, gran letterato, giudizioso pittore et architetto eccellentissimo, maestro di Francesco Floris e di Guglielmo Cai, delle virtù del quale Lamberto e d’altri mi ha dato molta notizia per sue lettere Messer Domenico Lampsonio da Legie, uomo di bellissime lettere e molto giudizio in tutte le cose, il quale fu famigliare del cardinale Polo d’Inghilterra, mentre visse, et ora è segretario di monsignor vescovo e prencipe di Lege; costui, dico, mi mandò già scritta latinamente la vita di detto Lamberto, e più volte mi ha salutato a nome di molti de’ nostri artefici di quella provincia. Et una lettera, che tengo di suo, data a dì trenta d’ottobre 1564, è di questo tenore:

Quattro anni sono ho avuto continuamente animo di ringraziare Vostra Signoria di due grandissimi benefizii, che ho ricevuto da lei (so che questo le parrà strano esordio d’uno che non l’abbia mai vista, né conosciuta; certo sarebbe strano se io non l’avessi conosciuta). Il che è stato in fin d’allora, che la mia buona ventura volse, anzi il Signor Dio, farmi grazia che mi venissero alle mani, non so in che modo, i vostri eccellentissimi scritti degl’architettori, pittori e scultori. Ma io allora non sapea pure una parola italiana, dove ora, con tutto che io non abbia mai veduto l’Italia, la Dio mercé, con leggere detti vostri scritti, n’ho imparato quel poco che mi ha fatto ardito a scrivervi questa. Et a questo desiderio [p. 831 modifica]d’imparare detta lingua mi hanno indotto essi vostri scritti, il che forse non averebbono mai fatto quei d’altro nessuno; tirandomi a volergli intendere uno incredibile e naturale amore, che fin da piccolo ho portato a queste tre bellissime arti, ma più alla piacevolissima ad ogni sesso, età e grado et a nessuno nociva arte vostra, la pittura. Della quale ancora era io allora del tutto ignorante e privo di giudizio, et ora, per il mezzo della spesso reiterata lettura de’ vostri scritti, n’intendo tanto, che per poco che sia o quasi niente, è pur quanto basta a fare che io meno vita piacevole e lieta e lo stimo più che tutti gl’onori, agi e ricchezze di questo mondo. È questo poco, dico, tanto che io ritrarrei di colori a olio, come con qual si voglia disegnatoio, le cose naturali, e massimamente ignudi et abiti d’ogni sorte, non mi essendo bastato l’animo d’intromettermi più oltre, come dire a dipigner cose più incerte che ricercano la mano più esercitata e sicura, quali sono paesaggi, alberi, acque, nuvole, splendori, fuochi, etc.; nelle quali cose ancora, sì come anco nell’invenzioni fino a un certo che, forse e per un bisogno potrei mostrare d’aver fatto qualche poco d’avanzo per mezzo di detta lettura. Pur mi sono contento nel sopra detto termine di far solamente ritratti, e tanto maggiormente che le molte occupazioni, le quali l’uffizio mio porta necessariamente seco, non me lo permettono. E per mostrarmi grato e conoscente in alcun modo di questi benefizii d’avere, per vostro mezzo, apparato una bellissima lingua et a dipignere, vi arei mandato con questa un ritrattino del mio volto, che ho cavato dallo specchio, se io non avessi dubitato se questa mia vi troverà in Roma, o no, che forse potreste stare ora in Fiorenza, o vero in Arezzo vostra patria.

Questa lettera contiene, oltre ciò, molti altri particolari che non fanno a proposito. In altre poi mi ha pregato a nome di molti galant’uomini di que’ paesi, i quali hanno inteso che queste vite si ristampano, che io ci faccia tre trattati della scultura, pittura et architettura, con disegni di figure, per dichiarare secondo l’occasioni et insegnare le cose dell’arti, come ha fatto Alberto Duro, il Serlio e Leonbatista Alberti, stato tradotto da Messer Cosimo Bartoli, gentiluomo et accademico fiorentino. La qual cosa arei fatto più che volentieri, ma la mia intenzione è stata di solamente voler scrivere le vite e l’opere degli artefici nostri e non d’insegnare l’arti, col modo di tirare le linee, della pittura, architettura e scultura, senza che essendomi l’opera cresciuta fra mano per molte cagioni, ella sarà per aventura, senza altri trattati, lunga da vantaggio. Ma io non poteva e non doveva fare altrimenti di quello che ho fatto, né defraudare niuno delle debite lodi et onori, né il mondo del piacere et utile, che spero abbia a trarre di queste fatiche.