Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Falconetto

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Falconetto

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Francesco Monsignori Francesco e Girolamo dai Libri

[p. 267 modifica]VITA DI FALCONETTO, ARCHITETTO VERONESE

Stefano Veronese, pittore rarissimo de’ suoi tempi, come si è detto, ebbe un fratello carnale chiamato Giovan Antonio il quale se bene imparò a dipignere dal detto Stefano, non però riuscì se non meno che mezzano dipintore, come si vede nelle sue opere, delle quali non accade far menzione. Di costui nacque un figliuolo che similmente fu dipintore di cose dozzinali, chiamato Iacopo, e di Iacopo nacquero Giovanmaria detto Falconetto, del quale scriviamo la vita, e Giovan Antonio. Questo ultimo attendendo alla pittura, dipinse molte cose in Roveretto, castello molto onorato nel Trentino, e molti quadri in Verona che sono per le case de’ privati. Similmente dipinse nella valle dell’Adice sopra Verona molte cose, et in Sacco, riscontro a Roveretto, in una tavola San Niccolò con molti animali, e molte altre, dopo le quali finalmente si morì a Roveretto dove era andato ad abitare. Costui fece sopra tutto begli animali e frutti, de’ quali molte carte miniate, e molto belle, furono portate in [p. 268 modifica]Francia dal Mondella veronese, e molte ne furono date da Agnolo suo figliuolo a Messer Girolamo Lioni in Vinezia, gentiluomo di bellissimo spirito. Ma venendo oggimai a Giovanmaria, fratello di costui, egli imparò i principii della pittura dal padre e gli aggrandì e migliorò assai, ancor che non fusse anch’egli pittore di molta reputazione, come si vede nel Duomo di Verona, alle capelle de’ Maffei e degl’Emili; et in San Nazzaro, nella parte superiore della cupola et in altri luoghi. Avendo dunque conosciuta costui la poca perfezzione del suo lavorare nella pittura, e dilettandosi sopra modo dell’architettura, si diede a osservare e ritrarre con molta diligenza tutte l’antichità di Verona sua patria. Risoltosi poi di voler vedere Roma, e da quelle maravigliose reliquie, che sono il vero maestro, imparare l’architettura, là se n’andò, e vi stette dodici anni interi: il qual tempo spese, per la maggior parte, in vedere e disegnare tutte quelle mirabili antichità, cavando in ogni luogo tanto che potesse vedere le piante e ritrovare tutte le misure. Né lasciò cosa in Roma, o di fabrica o di membra, come sono cornici, colonne e capitegli di qual si voglia ordine, che tutto non disegnasse di sua mano con tutte le misure. Ritrasse anco tutte le sculture che furono scoperte in que’ tempi. Di maniera che dopo detti dodici anni, ritornò alla patria richissimo di tutti i tesori di quest’arte. E non contento delle cose della città propria di Roma, ritrasse quanto era di bello e buono in tutta la campagna di Roma infino nel regno di Napoli, nel ducato di Spoleto et in altri luoghi. E perché essendo povero non aveva Giovanmaria molto il modo da vivere, né da trattenersi in Roma, dicono che due o tre giorni della settimana aiutava a qualcuno lavorare di pittura; e di quel guadagno, essendo allora i maestri ben pagati, e buon vivere, vivea gl’altri giorni della settimana, attendendo ai suoi studii d’architettura. Ritrasse dunque tutte le dette anticaglie come fussero intere, e le rappresentò in disegno, dalle parti e dalle membra, cavando la verità e l’integrità di tutto il resto del corpo di quelli edifizii con sì fatte misure e proporzioni che non potette errare in parte alcuna. Ritornato dunque Giovanmaria a Verona e non avendo occasione di esercitare l’architettura, essendo la patria in travaglio per mutazione di stato, attese per allora alla pittura e fece molte opere. Sopra la casa di que’ della Torre lavorò un’arme grande con certi trofei sopra, e per certi signori tedeschi, consiglieri di Massimiliano imperatore, lavorò a fresco in una facciata della chiesa piccola di San Giorgio alcune cose della Scrittura, e vi ritrasse que’ due signori tedeschi grandi quanto il naturale, uno da una, l’altro dall’altra parte ginocchioni. Lavorò a Mantoa al signor Luigi Gonzaga cose assai, et a Osmo nella marca d’Ancona alcun’altre. E mentre che la città di Verona fu dell’imperatore, dipinse sopra tutti gl’edifizii publici l’armi imperiali et ebbe perciò buona provisione et un privilegio dall’imperatore, nel quale si vede che gli concesse molte grazie et essenzioni, sì per lo suo ben servire nelle cose dell’arte e sì perché era uomo di molto cuore, terribile e bravo con l’arme in mano; nel che poteva anco aspettarsi da lui valorosa e fedel servitù, e massimamente tirandosi dietro, per lo gran credito che aveva appresso i vicini, il concorso di tutto il popolo che abitava il borgo di San Zeno, che è parte della città molto popolosa e nella quale era nato e vi aveva preso moglie, nella famiglia de’ Provali. Per queste [p. 269 modifica]cagioni adunque, avendo il seguito di tutti quelli della sua contrada, non era per altro nome nella città chiamato che il Rosso di S. Zeno. Per che, mutato lo stato della città e ritornata sotto gl’antichi suoi signori viniziani, Giovanmaria, come colui che avea seguito la parte imperiale, fu forzato, per sicurtà della vita, partirsi. E così andato a Trento, vi si trattenne, dipignendo alcune cose, certo tempo. Ma finalmente, rassettate le cose, se n’andò a Padoa, dove fu prima conosciuto e poi molto favorito da monsignor reverendissimo Bembo, che poco appresso lo fece conoscere al magnifico Messer Luigi Cornaro, gentiluomo viniziano d’alto spirito e d’animo veramente regio, come ne dimostrano tante sue onoratissime imprese. Questi dunque dilettandosi, oltre all’altre sue nobilissime parti, delle cose d’architettura, la cognizione della quale è degna di qualunche gran principe, et avendo perciò vedute le cose di Vetruvio, di Leonbattista Alberti e d’altri che hanno scritto in questa professione, e volendo mettere le cose che aveva imparato in pratica, veduti i disegni di Falconetto e con quanto fondamento parlava di queste cose, e chiariva tutte le difficultà che possono nascere nella varietà degli ordini dell’architettura, s’inamorò di lui per sì fatta maniera che, tiratoselo in casa, ve lo tenne onoratamente ventun anno, ché tanto fu il rimanente della vita di Giovanmaria, il quale in detto tempo operò molte cose con detto Messer Luigi, il quale, desideroso di vedere l’anticaglie di Roma in fatto, come l’aveva vedute nei disegni di Giovanmaria, menandolo seco se n’andò a Roma, dove avendo costui sempre in sua compagnia, volle vedere minutamente ogni cosa. Dopo tornati a Padoa, si mise mano a fare col disegno e modello di Falconetto la bellissima et ornatissima loggia che è in casa Cornara, vicina al Santo, per far poi il palazzo secondo il modello fatto da Messer Luigi stesso. Nella qual loggia è sculpito il nome di Giovanmaria in un pilastro. Fece il medesimo una porta dorica molto grande e magnifica al palazzo del capitano di detta terra, la qual porta, per opera schietta, è molto lodata da ognuno. Fece anco due bellissime porte della città, l’una detta di San Giovanni, che va verso Vicenza, la quale è bella e commoda per i soldati che la guardano, e l’altra fu porta Savonarola, che fu molto bene intesa. Fece anco il disegno e modello della chiesa di Santa Maria delle Grazie de’ frati di San Domenico e la fondò; la quale opera, come si vede dal modello, è tanto ben fatta e bella, che di tanta grandezza non si è forse veduto infino a ora una pari in altro luogo. Fu fatto dal medesimo il modello d’un superbissimo palazzo al signor Girolamo Savorgnano nel fortissimo suo castello d’Usopo nel Friuli, che allora fu fondato tutto e tirato sopra terra; ma morto quel signore, si rimase in quel termine senza andar più oltre, ma se questa fabrica si fusse finita sarebbe stata maravigliosa. Nel medesimo tempo andò Falconetto a Pola d’Istria solamente per disegnare e vedere il teatro, amfiteatro et arco che è in quella città antichissima. E fu questi il primo che disegnasse teatri et anfiteatri e trovasse le piante loro; e quelli che si veggono, e massimamente quel di Verona, vennero da lui e furono fatti stampare da altri sopra i suoi disegni. Ebbe Giovanmaria animo grande, e come quello che non aveva mai fatto altro che disegnare cose grandi antiche, null’altro disiderava se non che se gli presentasse occasione di far cose simili a quelle in grandezza, e tallora [p. 270 modifica]ne faceva piante e disegni con quella stessa diligenza che avrebbe fatto se si avessero avuto a mettere in opera subitamente, et in questo, per modo di dire, tanto si perdeva, che non si degnava di far disegni di case private di gentiluomini, né per villa, né per le città, ancor che molto ne fusse pregato. Fu molte volte Giovanmaria a Roma, oltre le dette di sopra; onde avea tanto familiare quel viaggio, che per ogni leggeri occasione, quando era giovane e gagliardo, si metteva a farlo. Et alcuni che ancor vivono raccontano che, venendo egli un giorno a contesa con uno architetto forestiero che a caso si trovò in Verona, sopra le misure di non so che cornicione antico di Roma, disse Giovanmaria dopo molte parole: "Io mi chiarirò presto di questa cosa". Et andatosene di lungo a casa, si mise in viaggio per Roma. Fece costui due bellissimi disegni di sepolture per casa Cornara, le quali dovevano farsi in Vinezia in San Salvadore, l’una per la reina di Cipri di detta casa Cornara, e l’altra per Marco Cornaro cardinale, che fu il primo che di quella famiglia fusse di cotale dignità onorato. E per mettere in opera detti disegni furono cavati molti marmi a Carrara e condotti a Vinezia, dove sono ancora così rozzi nelle case di detti Cornari. Fu il primo Giovanmaria che portasse il vero modo di fabricare e la buona architettura in Verona, Vinezia et in tutte quelle parti: non essendo stato inanzi a lui chi sapesse pur fare una cornice o un capitello, né chi intendesse né misura, né proporzione di colonna, né di ordine alcuno, come si può vedere nelle fabriche che furono fatte inanzi a lui. La quale cognizione essendo poi molto stata aiutata da fra’ Iocondo, che fu ne’ medesimi tempi, ebbe il suo compimento da Messer Michele San Michele; di maniera che quelle parti deono per ciò essere perpetualmente obligate ai Veronesi, nella quale patria nacquero et in un medesimo tempo vissero questi tre eccellentissimi architetti, alli quali poi succedette il Sansovino, che oltre alla architettura, la quale già trovò fondata e stabilita dai tre sopra detti, vi portò anco la scultura, acciò con essa venissero ad avere le fabriche tutti quegl’ornamenti che loro si convengono. Di che si ha obligo, se è così lecito dire, alla rovina di Roma. Perciò che essendosi i maestri sparsi in molti luoghi, furono le bellezze di queste arti comunicate a tutta l’Europa. Fece Giovanmaria lavorare di stucchi alcune cose in Vinezia, et insegnò a mettergli in opera. Et affermano alcuni che, essendo egli giovane, fece di stucco lavorare la volta della capella del Santo in Padoa a Tiziano da Padoa et a molti altri, e ne fece lavorare in casa Cornara, che sono assai belli. Insegnò a lavorare a due suoi figliuoli, cioè ad Ottaviano, che fu anch’esso pittore, et a Provolo. Alessandro, suo terzo figliuolo, attese a fare armature in sua gioventù, e dopo, datosi al mestier del soldo, fu tre volte vincitor in steccato; e finalmente essendo capitano di fanteria, morì combattendo valorosamente sotto Turino nel Piamonte, essendo stato ferito d’una archibusata. Similmente Giovanmaria, essendo storpiato dalle gotte, finì il corso della vita sua in Padoa, in casa del detto Messer Luigi Cornaro, che l’amò sempre come fratello, anzi quanto se stesso. Et acciò che non fussero i corpi di coloro in morte separati, i quali aveva congiunti insieme con gl’animi, l’amicizia e la virtù in questo mondo, aveva disegnato esso Messer Luigi che nella sua stessa sepoltura, che si dovea fare, fusse riposto insieme con esso seco Giovanmaria et il facetissimo poeta Ruzzante, che fu suo familiarissimo e visse e morì in casa [p. 271 modifica]di lui. Ma io non so se poi cotal disegno del magnifico Cornaro ebbe effetto. Fu Giovanmaria bel parlatore e molto arguto ne’ motti, e nella conversazione affabile e piacevole, intanto che il Cornaro affermava che de’ motti di Giovanmaria si sarebbe fatto un libro intero. E perché egli visse allegramente ancor che fusse storpiato delle gotte, gli durò la vita insino a 76 anni e morì nel 1534. Ebbe sei figliuole femine, delle quali cinque maritò egli stesso, e la sesta fu dopo lui maritata dai fratelli a Bartolomeo Ridolfi veronese, il quale lavorò in compagnia loro molte cose di stucco e fu molto migliore maestro che essi non furono; come si può vedere in molti luoghi, e particolarmente in Verona in casa Fiorio della Seta sopra il ponte nuovo, dove fece alcune camere bellissime; et alcune altre in casa de’ signori conti Canossi, che sono stupende, sì come anco sono quelle che fece in casa de’ Murati vicino a San Nazzaro, al signor Giovanbatista della Torre, a Cosimo Moneta banchiere veronese alla sua bellissima villa, et a molti altri in diversi luoghi, che tutte sono bellissime. Afferma il Palladio architetto rarissimo non conoscere persona né di più bella invenzione, né che meglio sappia ornare con bellissimi partimenti di stucco le stanze di quello che fa questo Bartolomeo Ridolfi: il quale fu, non sono molti anni passati, da Spitech Giordan, grandissimo signore in Pollonia appresso al re, condotto con onorati stipendii al detto re di Pollonia, dove ha fatto e fa molte opere di stucco, ritratti grandi, medaglie e molti disegni di palazzi et altre fabriche, con l’aiuto d’un suo figliuolo che non è punto inferiore al padre.