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Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Giuliano et Antonio da San Gallo

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Giuliano e Antonio da San Gallo

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Torrigiano Raffaello d'Urbino

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Vita Di Giuliano, et Antonio da san Gallo.
Architetti Fiorentini.


Rancesco di Paulo Giamberti, il quale fu ragionevole architetto al tempo di Cosimo de’ Medici e fu da lui molto adoperato, ebbe due figliuoli: Giuliano et Antonio, i quali mise all’arte dell’intagliare di legno, e col Francione legnaiuolo, persona ingegnosa, il quale similmente attendeva agl’intagli di legno et alla prospettiva, e col quale aveva molto dimestichezza, avendo eglino insieme molte cose e d’intaglio e d’architettura operato per Lorenzo de’ Medici; acconciò, il detto Francesco, Giuliano uno de’ detti suoi figliuoli, il quale Giuliano imparò in modo bene tutto quello che il Francione gl’insegnò, che [p. 56 modifica]gl’intagli e le bellissime prospettive, che poi da sé lavorò nel coro del Duomo di Pisa, sono ancor oggi, fra molte prospettive nuove, non senza maraviglia guardate. Mentre che Giuliano attendeva al disegno et il sangue della giovanezza gli bolliva, l’esercito del Duca di Calavria, per l’odio che quel signore portava a Lorenzo de’ Medici, s’accampò alla Castellina per occupare il dominio alla Signoria di Fiorenza e per venire, se gli fusse riuscito, a fine di qualche suo disegno maggiore; per che, essendo forzato il Magnifico Lorenzo a mandare uno ingegnero alla Castellina, che facesse molina e bastie e che avesse cura e maneggiasse l’artiglieria, il che pochi in quel tempo sapevano fare, vi mandò Giuliano, come d’ingegno più atto e più destro e spedito e da lui conosciuto, come figliuolo di Francesco, stato amorevole servitore di casa Medici. Arrivato Giuliano alla Castellina, fortificò quel luogo dentro e fuori di buone mura e di mulina, e d’altre cose necessarie alla difesa di quella la provide. Dopo, veggendo gli uomini star lontani all’artiglieria e maneggiarla e caricarla e tirarla timidamente, si gettò a quella e l’acconciò di maniera che da indi in poi a nessuno fece male, avendo ella prima occiso molte persone, le quali nel tirarla, per poco giudizio loro, non avevano saputo far sì che nel tornare a dietro non offendesse. Presa dunque Giuliano la cura della detta artiglieria fu tanta nel tirarla e servirsene la sua prudenza che il campo del Duca impaurì di sorte, che per questo et altri impedimenti ebbe caro di accordarsi e di lì partirsi. Di che conseguì Giuliano non piccola lode in Fiorenza appresso Lorenzo, onde fu poi di continuo ben veduto e carezzato. Intanto, essendosi dato alle cose d’architettura, cominciò il primo chiostro di Cestello, e ne fece quella parte che si vede di componimento ionico, ponendo i capitelli sopra le colonne con la voluta che girando cascava fino al collarino dove finisce la colonna, avendo sotto l’uovolo e fusarola fatto un fregio alto il terzo del diametro di detta colonna; il quale capitello fu ritratto da uno di marmo antichissimo, stato trovato a Fiesole da Messer Lionardo Salutati, vescovo di quel luogo, che lo tenne con altre anticaglie un tempo nella via di San Gallo in una casa e giardino dove abitava dirimpetto a Santa Agata; il quale capitello è oggi appresso Messer Giovanbatista da Ricasoli, vescovo di Pistoia, e tenuto in pregio per la bellezza e varietà sua, essendo che fra gl’antichi non se n’è veduto un altro simile. Ma questo chiostro rimase imperfetto per non potere fare allora quei monaci tanta spesa. Intanto, venuto in maggior considerazione Giuliano appresso Lorenzo, il quale era in animo di fabricare al Poggio a Caiano, luogo fra Fiorenza e Pistoia, e n’aveva fatto fare più modelli al Francione et ad altri, esso Lorenzo fece fare di quello che aveva in animo di fare un modello a Giuliano, il quale lo fece tanto diverso e vario dalla forma degl’altri e tanto secondo il capriccio di Lorenzo che egli cominciò subitamente a farlo mettere in opera come migliore di tutti; et accresciutogli grado per queste, gli dette poi sempre provisione. Volendo poi fare una volta alla sala grande di detto palazzo nel modo che noi chiamiamo a botte, non credeva Lorenzo che per la distanzia si potesse girare; onde Giuliano, che fabricava in Fiorenza una sua casa, voltò la sala sua a similitudine di quella per far capace la volontà del magnifico Lorenzo; per che egli quella del Poggio felicemente fece condurre. Onde la fama sua talmente era cresciuta che a’ preghi [p. 57 modifica]del Duca di Calavria fece il modello d’un palazzo, per commissione del Magnifico Lorenzo che doveva servire a Napoli, e consumò gran tempo a condurlo. Mentre adunque lo lavorava, il castellano di Ostia, vescovo allora della Rovere, il quale fu poi co ’l tempo Papa Giulio II, volendo acconciare e mettere in buono ordine quella fortezza, udita la fama di Giuliano, mandò per lui a Fiorenza, et ordinatoli buona provisione ve lo tenne due anni a farvi tutti quegli utili e comodità che poteva con l’arte sua. E perché il modello del Duca di Calavria non patisse e finir si potesse, ad Antonio suo fratello lasciò che con suo ordine lo finisse, il quale nel lavorarlo aveva con diligenza seguitato e finito, essendo Antonio ancora di sofficienza in tale arte non meno che Giuliano. Per il che fu consigliato Giuliano da Lorenzo Vecchio a presentarlo egli stesso, acciò che in tal modello potesse mostrare le difficultà che in esso aveva fatto; laonde partì per Napoli e, presentato l’opera, onoratamente fu ricevuto, non con meno stupore de lo averlo il Magnifico Lorenzo mandato con tanto garbata maniera, quanto con maraviglia per il magisterio de l’opera nel modello; il quale piacque sì che si diede con celerità principio all’opera vicino al Castel Nuovo. Poi che Giuliano fu stato a Napoli un pezzo, nel chiedere licenza al Duca per tornare a Fiorenza, gli fu fatto dal re presenti di cavalli e vesti e fra l’altre d’una tazza d’argento con alcune centinaia di ducati, i quali Giuliano non volle accettare, dicendo che stava con padrone il quale non aveva bisogno d’oro né d’argento. E se pure gli voleva far presente o alcun segno di guidardone, per mostrare che vi fosse stato, gli donasse alcuna de le sue anticaglie a sua elezzione. Le quali il re liberalissimamente per amor del Magnifico Lorenzo e per le virtù di Giuliano gli concesse, e queste furono: la testa d’uno Adriano imperatore, oggi sopra la porta del giardino in casa Medici, una femmina ignuda più che ’l naturale et un Cupido che dorme, di marmo tutti tondi; le quali Giuliano mandò a presentare al Magnifico Lorenzo, che per ciò ne mostrò infinita allegrezza, non restando mai di lodar l’atto del liberalissimo artefice, il quale rifiutò l’oro e l’argento per l’artificio, cosa che pochi averebbono fatto; questo Cupido è oggi in guardaroba del Duca Cosimo. Ritornato dunque Giuliano a Fiorenza fu gratissimamente raccolto dal Magnifico Lorenzo, al quale venne capriccio, per sodisfare a frate Mariano da Ghinazzano, literatissimo de l’Ordine de’ frati eremitani di Santo Agostino, di edificargli, fuor de la porta S. Gallo, un convento capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modelli, et in ultimo si mise in opera quello di Giuliano. Il che fu cagione che Lorenzo lo nominò da questa opera Giuliano da San Gallo. Onde Giuliano, che da ognuno si sentiva chiamare da San Gallo, disse un giorno burlando al Magnifico Lorenzo: "Colpa del vostro chiamarmi da San Gallo, mi fate perdere il nome del casato antico; e credendo avere andare inanzi per antichità, ritorno a dietro". Per che Lorenzo gli rispose che più tosto voleva che per la sua virtù egli fosse principio d’un casato nuovo che dependessi da altri; onde Giuliano di tal cosa fu contento. Seguitandosi pertanto l’opera di San Gallo insieme con le altre fabriche di Lorenzo, non fu finita né quella né l’altre per la morte di esso Lorenzo. E poi ancora poco viva in piede rimase tal fabrica di San [p. 58 modifica]Gallo, perché nel 1530 per lo assedio di Fiorenza fu rovinata e buttata in terra insieme col borgo, che di fabriche molto belle aveva piena tutta la piazza; et al presente non vi si vede alcun vestigio né di casa, né di chiesa, né di convento. Successe in quel tempo la morte del re di Napoli, e Giuliano Gondi, ricchissimo mercante fiorentino, se ne tornò a Fiorenza, e dirimpetto a San Firenze, di sopra dove stavano i lioni fece di componimento rustico fabricare un palazzo da Giuliano, col quale, per la gita di Napoli, aveva stretta dimestichezza. Questo palazzo doveva fare la cantonata finita e voltare verso la Mercatanzia Vecchia, ma la morte di Giuliano Gondi la fece fermare; nel qual palazzo fece fra l’altre cose un cammino molto ricco d’intagli e tanto vario di componimento e bello che non se n’era insino alora veduto un simile, né con tanta copia di figure. Fece il medesimo per un viniziano, fuor de la porta a Pinti in Camerata, un palazzo, et a’ privati cittadini molte case, delle quali non accade far menzione. E volendo il Magnifico Lorenzo, per utilità publica et ornamento dello stato lasciar fama e memoria, oltre alle infinite che procacciate si aveva, fare la fortificazione del Poggio Imperiale sopra Poggibonzi su la strada di Roma per farci una città, non la volle disegnare senza il consiglio e disegno di Giuliano; onde per lui fu cominciata quella fabbrica famosissima, nella quale fece quel considerato ordine di fortificazione e di bellezza che oggi veggiamo. Le quali opere gli diedero tal fama che dal Duca di Milano, a ciò che gli facesse il modello d’un palazzo per lui, fu per il mezzo poi di Lorenzo condotto a Milano, dove non meno fu onorato Giuliano dal Duca che e’ si fusse stato onorato prima dal re quando lo fece chiamare a Napoli. Perché, presentando egli il modello per parte del Magnifico Lorenzo, riempié quel Duca di stupore e di maraviglia nel vedere in esso l’ordine e la distribuzione di tanti begli ornamenti, e con arte tutti e con leggiadria accomodati ne’ luoghi loro. Il che fu cagione che, procacciate tutte le cose a ciò necessarie, si cominciasse a metterlo in opera. Nella medesima città furono insieme Giuliano e Lionardo da Vinci, che lavorava col Duca, e parlando esso Lionardo del getto che far voleva del suo cavallo, n’ebbe bonissimi documenti. La quale opra fu messa in pezzi per la venuta de’ Franzesi, e così il cavallo non si finì, né ancora si poté finire il palazzo. Ritornato Giuliano a Fiorenza, trovò che Antonio suo fratello, che gli serviva ne’ modegli, era divenuto tanto egregio che nel suo tempo non c’era chi lavorasse et intagliasse meglio di esso e massimamente Crocifissi di legno grandi, come ne fa fede quello sopra lo altar maggiore nella Nunziata di Fiorenza, et uno che tengono i frati di San Gallo in San Iacopo tra’ Fossi et uno altro nella Compagnia dello Scalzo, i quali sono tutti tenuti bonissimi. Ma egli lo levò da tale essercizio et alla architettura in compagnia sua lo fece attendere, avendo egli per il privato e publico a fare molte faccende. Avvenne, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtù levò gli appoggi delle speranze a’ virtuosi con la morte di Lorenzo de’ Medici; la quale non solo fu cagione di danno agli artefici virtuosi et alla patria sua, ma a tutta l’Italia ancora; onde rimase Giuliano con gli altri spirti ingegnosi sconsolatissimo, e per lo dolore si trasferì a Prato vicino a Fiorenza a fare il tempio della Nostra Donna delle carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche publiche e private. Dimorò dunque [p. 59 modifica]in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e ’l doloro come potette il meglio. Dopo, avendosi a ricoprire la chiesa della Madonna di Loreto e voltare la cupola, già stata cominciata e non finita da Giuliano da Maiano, dubitavano coloro che di ciò avevano la cura, che la debolezza de’ pilastri non reggesse così gran peso; per che scrivendo a Giuliano che, se voleva, tale opera andasse a vedere, egli come animoso e valente andò e mostrò con facilità quella poter voltarsi e che a ciò gli bastava l’animo; e tante e tali ragioni allegò loro che l’opera gli fu allogata. Dopo la quale allogazione fece spedire l’opera di Prato e coi medesimi maestri muratori e scarpellini a Loreto si condusse. E perché tale opra avesse fermezza nelle pietre, e saldezza e forma e stabilità e facesse legazione, mandò a Roma per la pozzolana; né calce fu che con essa non fosse temperata e murata ogni pietra; e così in termine di tre anni quella finita e libera rimase perfetta. Andò poi a Roma, dove a papa Alessandro vi restaurò il tetto di Santa Maria Maggiore, che ruinava; e vi fece quel palco ch’al presente si vede. Così nel praticare per la corte il vescovo della Rovere, fatto cardinale di San Pietro in Vincola, già amico di Giuliano fin quando era castellano d’Ostia, gli fece fare il modello del palazzo di S. Pietro in Vincola. E poco dopo questo, volendo edificare a Savona sua patria un palazzo, volle farlo similmente col disegno e con la presenzia di Giuliano. La quale andata gli era difficile, perciò che il palco non era ancor finito e papa Alessandro non voleva ch’e’ partisse. Per il che lo fece finire per Antonio suo fratello, il quale, per avere ingegno buono e versatile, nel praticare la corte contrasse servitù col Papa, che gli mise grandissimo amore e glielo mostrò nel volere fondare e rifondare con le difese a uso di castello, la Mole di Adriano, oggi detta Castel Santo Agnolo; alla quale impresa fu preposto Antonio. Così si fecero i torrioni da basso, i fossi e l’altre fortificazioni che al presente veggiamo. La quale opera gli diè credito grande appresso il Papa e col duca Valentino, suo figliuolo; e fu cagione ch’egli facesse la rocca che si vede oggi a Civita Castellana. E così, mentre quel Pontefice visse, egli di continuo attese a fabbricare, e per esso lavorando fu non meno premiato che stimato da lui. Già aveva Giuliano a Savona condotto l’opera innanzi quando il cardinale, per alcuno suoi bisogni, ritornò a Roma e lasciò molti Operai ch’alla fabbrica dessero perfezzione con l’ordine e col disegno di Giuliano, il quale ne menò seco a Roma et egli fece volentieri questo viaggio per rivedere Antonio e l’opere d’esso, dove dimorò alcuni mesi. Ma venendo in quel tempo il cardinale in disgrazia del Papa, si partì da Roma per non esser fatto prigione e Giuliano gli tenne sempre compagnia. Arrivati dunque a Savona crebbero maggior numero di maestri da murare et altri artefici in sul lavoro. Ma facendosi ognora più vivi i romori del Papa contra il cardinale, non stette molto che se n’andò in Avignone, e d’un modello, che Giuliano aveva fatto d’un palazzo per lui, fece fare un dono al re; il quale modello era maraviglioso, ricchissimo d’ornamenti e molto capace per lo allogiamento di tutta la sua corte. Era la corte reale in Lione quando Giuliano presentò il modello, il quale fu tanto caro et accetto al re che largamente lo premiò e gli diede lode infinite e ne rese molte grazie al cardinale che era in Avignone. Ebbero intanto nuove che il palazzo di Savona era già presso [p. 60 modifica]alla fine; per il che il cardinale deliberò che Giuliano rivedesse tale opera, per che andato Giuliano a Savona poco vi dimorò che fu finito a fatto. Laonde Giuliano, desiderando tornare a Firenze, dove per lungo tempo non era stato, con que’ maestri prese il cammino e, perché aveva in quel tempo il re di Francia rimesso Pisa in libertà e durava ancora la guerra tra Fiorentini e Pisani, volendo Giuliano passare, si fece in Lucca fare un salvo condotto, avendo eglino de’ soldati pisani non poco sospetto. Ma non di meno nel lor passare vicino ad Altopascio furono da’ Pisani fatti prigioni, non curando essi salvo condotto né cosa che avessero. E per sei mesi fu ritenuto in Pisa, con taglia di trecento ducati; né prima che gl’avesse pagati se ne tornò a Fiorenza. Aveva Antonio a Roma inteso queste cose, et avendo desiderio di rivedere la patria e ’l fratello, con licenzia partì da Roma, e nel suo passaggio disegnò al Duca Valentino la rocca di Monte Fiascone. E così a Fiorenza si ricondusse l’anno 1503, e quivi con allegrezza di loro e degli amici si goderono. Seguì allora la morte di Alessandro VI e la successione di Pio III che poco visse e fu creato pontefice il cardinale di S. Pietro in Vincola, chiamato papa Giulio II, la qual cosa fu di grande allegrezza a Giuliano per la lunga servitù che aveva seco. Onde deliberò andare a baciargli il piede, perché giunto a Roma fu lietamente veduto e con carezze raccolto, e subito fu fatto esecutore delle sue prime fabbriche innanzi la venuta di Bramante. Antonio, che era rimasto a Fiorenza, sendo gonfaloniere Pier Soderini, non ci essendo Giuliano continuò la fabbrica del Poggio Imperiale, dove si mandavano a lavorare tutti i prigioni pisani per finire più tosto tal fabbrica. Fu poi per i casi d’Arezzo rovinata la fortezza vecchia, et Antonio fece il modello della nuova col consenso di Giuliano; il quale da Roma perciò partì e subito vi tornò. E fu questa opera cagione che Antonio fosse fatto architetto del comune di Fiorenza sopra tutte le fortificazioni. Nel ritorno di Giuliano in Roma si praticava se ’l divino Michele Agnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio, perché Giuliano confortò il Papa all’impresa, aggiugnendo che gli pareva che per quello edifizio si dovesse fabricare una cappella a posta senza porre quella nel vecchio San Piero, non vi essendo luogo, perciò che quella cappella renderebbe quell’opera più perfetta. Avendo dunque molti architetti fatti disegni, si venne in tanta considerazione a poco a poco che, in cambio di fare una cappella, si mise mano alla gran fabrica del nuovo San Piero. Et essendo di que’ giorni capitato in Roma Bramante da Castel Durante architetto, il quale tornava di Lombardia, egli si adoperò di maniera con mezzi et altri modi straordinarii e con suoi ghiribizzi, avendo in suo favore Baldassarri Peruzzi, Raffaello da Urbino et altri architetti, che mise tutta l’opera in confusione; onde si consumò molto tempo in ragionamenti. E finalmente l’opera (in guisa seppe egli adoperarsi) fu data a lui, come a persona di più giudizio, migliore ingegno e maggiore invenzione; per che Giuliano sdegnato, parendogli avere ricevuto ingiuria dal Papa col quale aveva avuto stretta servitù quando era in minor grado e la promessa di quella fabrica, domandò licenza, e così, nonostante che egli fusse ordinato compagno di Bramante in altri edifizii che in Roma si facevano, si partì e se ne tornò [p. 61 modifica]con molti doni avuti dal Papa a Fiorenza. Il che fu molto caro a Piero Soderini, il quale lo mise subito in opera. Né passarono sei mesi che Messer Bartolomeo della Rovere, nipote del Papa e compare di Giuliano, gli scrisse, a nome di Sua Santità, che egli dovesse per suo utile ritornare a Roma; ma non fu possibile né con patti né con promesse svolgere Giuliano, parendogli essere stato schernito dal Papa. Ma finalmente, essendo scritto a Piero Soderini che per ogni modo mandasse Giuliano a Roma perché Sua Santità voleva fornire la fortificazione del Torrion tondo, cominciata da Nicola Quinto, e così quella di Borgo e Belvedere et altre cose, si lasciò Giuliano persuadere dal Soderino, e così andò a Roma, dove fu dal Papa ben raccolto e con molti doni. Andando poi il Papa a Bologna, cacciati che ne furono i Bentivogli, per consiglio di Giuliano deliberò far fare da Michelagnolo Buonarroti un papa di bronzo, il che fu fatto, sì come si dirà nella vita di esso Michelagnolo. Seguitò similmente Giuliano il Papa alla Mirandola e, quella presa, avendo molti disagi e fatiche sopportato, se ne tornò con la corte a Roma. Né essendo ancora la rabbia di cacciare i Franzesi d’Italia uscita di testa al Papa, tentò di levare il governo di Fiorenza delle mani a Piero Soderini, essendogli ciò, per fare quello che aveva in animo, di non piccolo impedimento. Onde per queste cagioni, essendosi diviato il Papa dal fabricare e nelle guerre intricato, Giuliano già stanco si risolvette dimandare licenza al Papa, vedendo che solo alla fabrica di San Piero si attendeva et anco a quella non molto. Ma rispondendogli il Papa in collera: "Credi tu che non si trovino de’ Giuliani da San Gallo?", egli rispose che non mai di fede, né di servitù pari alla sua, ma che ritrovarebbe bene egli de’ principi di più integrità nelle promesse che non era stato il Papa verso sé. Insomma, non gli dando altramente licenza, il Papa gli disse che altra volta gliene parlassi. Aveva intanto Bramante condotto a Roma Raffaello da Urbino, messelo in opera a dipignere le camere papali, onde Giuliano vedendo che in quelle pitture molto si compiaceva il Papa, e che egli disiderava che si dipignesse la volta della cappella di Sisto suo zio, gli ragionò di Michelagnolo, aggiugnendo che egli aveva già in Bologna fatta la statua di bronzo. La qual cosa piacendo al Papa, fu mandato per Michelagnolo, e giunto in Roma allogatagli la volta della detta cappella. Poco dopo, tornando Giuliano a chiedere di nuovo al Papa licenza, Sua Santità vedendolo in ciò deliberato, fu contento che a Fiorenza se ne tornasse con sua buona grazia; e poi che l’ebbe benedetto, in una borsa di raso rosso gli donò cinquecento scudi, dicendogli che se ne tornasse a casa a riposarsi e che in ogni tempo gli sarebbe amorevole. Giuliano dunque, baciatogli il santo piede, se ne tornò a Fiorenza in quel tempo a punto che Pisa era circondata et assediata dall’esercito fiorentino; onde non sì tosto fu arrivato, che Piero Soderini, dopo l’accoglienze, lo mandò in campo ai comissarii, i quali non potevano riparare che i Pisani non mettessino per Arno vettovaglie in Pisa. Giuliano dunque, disegnato che a tempo migliore si facesse un ponte in sulle barche, se ne tornò a Fiorenza, e venuta la primavera, menando seco Antonio suo fratello, se n’andò a Pisa, dove condussero un ponte che fu cosa molto ingegnosa, perché, oltre che alzandosi et abbassandosi si difendeva dalle piene e stava saldo, essendo bene incatenato, [p. 62 modifica]fece di maniera quello che i commessarii disideravano, assediando Pisa dalla parte d’Arno verso la marina che furono forzati i Pisani, non avendo più rimedio al mal loro, a fare accordo coi Fiorentini e così si resero. Né passò molto che il medesimo Piero Soderini mandò di nuovo Giuliano a Pisa con infinito numero di maestri, dove con celerità straordinaria fabbricò la fortezza, che è oggi alla porta a San Marco; è la detta porta di componimento dorico. E mentre che Giuliano continuò questo lavoro che fu insino all’anno 1512, Antonio andò per tutto il dominio a rivedere e restaurare le fortezze et altre fabbriche pubbliche. Essendo poi col favore di esso papa Giulio stata rimessa in Fiorenza et in governo la casa de’ Medici, onde ella era nella venuta in Italia di Carlo Ottavo, re di Francia, stata cacciata, e stato cavato di palazzo Piero Soderini, fu riconosciuta dai Medici la servitù che Giuliano et Antonio avevano ne’ tempi a dietro avuta con quella illustrissima Casa. Et assunto non molto dopo la morte di Giulio Secondo Giovanni cardinale de’ Medici, fu forzato di nuovo Giuliano a trasferirsi a Roma, dove, morto non molto dopo Bramante, fu voluta dar la cura della fabbrica di San Piero a Giuliano, ma essendo egli macero dalle fatiche et abbattuto dalla vecchiezza e da un male di pietra che lo cruciava, con licenzia di Sua Santità se ne tornò a Fiorenza e quel carico fu dato al graziosissimo Raffaello da Urbino. E Giuliano passati due anni fu in modo stretto da quel suo male che si morì d’anni 74 l’anno 1517, lasciando il nome al mondo, il corpo alla terra e l’animo a Dio. Lasciò nella sua partita dolentissimo Antonio, che teneramente l’amava, et un suo figliuolo, nominato Francesco, che attendeva alla scultura ancora fusse d’assai tenera età. Questo Francesco, il quale ha salvato infino a oggi tutte le cose de’ suoi vecchi, e l’ha in venerazione, oltre a molte altre opere fatte in Fiorenza et altrove di scultura e d’architettura, è di sua mano in Or San Michele la Madonna, che vi è di marmo, col Figliuolo in collo, et in grembo a Santa Anna; la quale opera, che è di figure tonde et in un sasso solo, fu ed è tenuta bell’opera. Ha fatto similmente la sepoltura che papa Clemente fece fare a Monte Cassino di Piero de’ Medici, et altre opere, molte delle quali non si fa menzione, per essere el detto Francesco vivo. Antonio, dopo la morte di Giuliano, come quello che mal volentieri si stava, fece due Crucifissi grandi di legno, l’uno de’ quali fu mandato in Ispagna e l’altro fu da Domenico Buoninsegni, per ordine del cardinale Giulio de’ Medici vice cancelliere, portato in Francia. Avendosi poi a fare la fortezza di Livorno vi fu mandato, dal cardinale de’ Medici, Antonio a farne il disegno, il che egli fece se bene non fu poi messo interamente in opera, né in quel modo che Antonio l’aveva disegnato. Dopo, deliberando gl’uomini di Monte Pulciano, per i miracoli fatti da una imagine di Nostra Donna, di fare un tempio di grandissima spesa, Antonio fece il modello e ne divenne capo; onde due volte l’anno visitava quella fabbrica, la quale oggi si vede condotta a l’ultima perfezzione, che fu nel vero di bellissimo componimento e vario dall’ingegno d’Antonio con somma grazia condotta; e tutte le pietre sono di certi sassi che tirano al bianco in modo di tivertini; la quale opra è fuor della porta di San Biagio a man destra et a mezzo la salita del Poggio. In questo tempo ancora diede principio al palazzo d’Antonio di Monte cardinale di Santa Prassedia, [p. 63 modifica]nel castello del Monte San Savino, et un altro per il medesimo ne fece a Monte Pulciano, cose di bonissima grazia, lavorato e finito. Fece l’ordine della banda delle case de’ frati de’ Servi, su la piazza loro, secondo l’ordine della loggia degli Innocenti. Et in Arezzo fece i modelli delle navate della Nostra Donna delle Lagrime che fu molto male intesa perché scompagna con la fabbrica prima, e gli archi delle teste non tornano in mezzo; similmente fece un modello della Madonna di Cortona, il quale non penso che si mettesse in opera. Fu adoprato nello assedio per le fortificazioni e bastioni dentro alla città, et ebbe a cotale impresa per compagnia Francesco, suo nipote. Dopo, essendo stato messo in opera il gigante di piazza, di mano di Michelagnolo, al tempo di Giuliano fratello di esso Antonio, e dovendovisi condurre quel[l'] altro che aveva fatto Baccio Bandinelli, fu data la cura ad Antonio di condurvelo a salvamento; et egli, tolto in sua compagnia Baccio d’Agnolo, con ingegni molto gagliardi lo condusse e posò salvo in su quella base che a questo effetto si era ordinata. In ultimo, essendo egli già vecchio divenuto, non si dilettava d’altro che dell’agricoltura, nella quale era intelligentissimo. Laonde, quando più non poteva per la vecchiaia patire gli incomodi del mondo, l’anno 1534 rese l’anima a Dio, et insieme con Giuliano suo fratello nella chiesa di Santa Maria Novella, nella sepoltura de’ Giamberti, gli fu dato riposo. Le opere maravigliose di questi duoi fratelli faranno fede al mondo dello ingegno mirabile che egli ebbono e della vita e costumi onorati e delle azzioni loro, avute in pregio da tutto il mondo. Lasciarono Giuliano et Antonio ereditaria l’arte dell’architettura dei modi dell’architetture toscane, con miglior forma che gli altri fatto non avevano, e l’ordine dorico con miglior misure e proporzione che alla vitruviana opinione e regola prima non s’era usato di fare. Condussero in Fiorenza nelle lor case una infinità di cose antiche di marmo bellissime che non meno ornarono et ornano Fiorenza ch’eglino ornassero sé et onorassero l’arte. Portò Giuliano da Roma il gettare le volte di materie che venissero intagliate; come in casa sua ne fa fede una camera et al Poggio a Caiano nella sala grande la volta che vi si vede ora; onde obligo si debbe avere alle fatiche sue avendo fortificato il dominio fiorentino et ornata la città, e per tanti paesi dove lavorarono dato nome a Fiorenza et agli ingegni toscani, che per onorata memoria hanno fatto loro questi versi:

Cedite Romani structores, cedite Grai,
     artis Vitruvi tu quoque cede parens.
Hetruscos celebrate viros, testudinis arcus,
     urna, tholus, statuae, templa, domusque petunt.