Lettere (Andreini)/Lettera XLIII

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XLIII. Del dissimulare.

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Del dissimulare.


C
ON qual voce poss’io dolermi d’Amore, poich’egli così fieramente mi stratia, e poiche tanto mi trovo dalla sua possanza offeso? ma che dich’io dalla sua possanza? ah ch’io non son signoreggiato da niun’altra possanza, che da quella della vostra bellezza, questa sola tien’il freno della mia già libera volontà. Amor da me in questa soggettione, non è

[p. 43v modifica]conosciuto, e se pur è conosciuto, la conoscenza è di nemico, e non di Signore. Io dico di nemico, perche voi essendovi dichiarata nemica d’Amore, tale mi son dichiarato anch’io perche chi daddovero ama, dee esser nemico de i nemici della persona amata, tuttoche non sieno suoi nemici. Io son vostro Signora mia, & è vano lo sperare, che la vostra crudeltà mi vieti il morir vostro servo, perch’io non hò nè volontà, nè potestà di farlo. Non m’affaticherò, con parole, per rendervi di ciò sicura, parendomi, che l’acutissimo raggio de gli occhi vostri, penetri à bastanza ne i riposti segreti dell’anima mia; se dunque voi conoscete ogni mio chiuso pensiero, e che senza speranza d’altro guiderdone, che di sospiri fedelmente vi servo, almeno fingete di compassionar lo stato mio, e d’haver pietà di tante mie pene, che, se tanto impetro, non fia mai, ch’io vi chieda cosa maggiore, conoscend’io, che sarebbe temerità il pensarci non ch’altro. Siami pur conceduto il languire in così bella miseria, ch’io per me son sicurissimo di trovarvi dentro ogni sorte d’amorosa felicità, à cui niuna ingiuria (ma che dico ingiuria?) la disperatione istessa, non potrà mai far offessa. Hora di qui comprendete quanto sia grande l’amor mio, poiche la disperatione medesima, non può scemar quei tormentosi contenti, che dall’amarvi ricevo; e veramente à me pare, che colui, che amando è consolato dalla speranza, non ami rispetto à me, che senza conforto alcuno di speranza, non rimango d’amarvi, anzi quanto più son disperato, tanto più son costante. Dell’herbe, che nascono per le campagne [p. 44r modifica]qual è velenosa, e qual ha virtù medicabile. De i fiori qual ha odore, e qual è senza. Delle piante, qual non fa frutti, qual gli fa dolci, qual acerbi, qual d’esse ha l’ombra nociva, e qual giovevole. Dell’acque alcuna è dolce, fresca, e chiara, & alcun’altra amara, calda, e torbida. De gli animali, qual è crudo, e qual è piacevole. De gli huomini, qual è dato all’arme, qual alle lettere, e qual ad altro, basta, che tutte le cose create serbano la qualità, che loro ha data il Cielo, e la Natura: hor io nacqui ad amarvi, & voi nasceste all’essermi crudele; convien dunque, che ogn’uno segua ciò, che sua natura comanda. Voi con l’arme della fierezza, & io con quelle della costanza faremo prova nell’arringo del Tempo, di cui habbia da esser la desiderata vittoria.