Lettere (Sarpi)/Vol. I/116

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CXVI. — Ad Antonio Foscarini

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CXVI. — Ad Antonio Foscarini
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CXVI. — Ad Antonio Foscarini.1


Se adesso non nasce controversia alcuna con Roma, terrò bene che mai più in questo pontificato non ne potrà nascere. Il Consiglio de’ Dieci ha condannato a morte un prete Marchiano, d’età d’anni ventotto, che stava in una chiesa vicino alle Gamberare, per assassinamenti e violenze fatte alle case e alle strade: uomo di scellerata natura. Fu condannato il mercoledì, e fu mandato al patriarca il ministro che lo ricercasse della degradazione. Rispose il patriarca d’essere molto ben contento; ma dopo due giorni mutò pensiero, e negò di volerlo fare, allegando sue indisposizioni. Fu molto ben considerato in Consiglio quanto sarebbe importato se con tal maniera si avesse potuto impedire la risoluzione di tal Consiglio, e fu deliberato di eseguire la sentenza senza degradazione; e così sabato fu eseguita.

La degradazione è una pura cerimonia che non ha niente di essenza; perchè, secondo la dottrina della Chiesa romana, al degradato non si possono [p. 383 modifica]levare gli ordini sì ch’egli non abbia, dopo degradato, la stessa autorità spirituale: solo gli è tolta la esecuzione, la quale similmente è levata ad uno sospeso; nè v’è differenza, salvo che la degradazione è perpetua e la sospensione è per tempo; e quand’anche un degradato fosse restituito, non si può ordinare di nuovo, ma col solo revocar la sentenza della degradazione, si restituisce. Sono poi molti casi in iure, dove si ordina che il prete delinquente possa essere giustiziato senza degradazione. Ho voluto toccare questi pochi passi con V.E. per ogni rispetto; ma se promovessero a Roma tal difficoltà, si sostenterà la ragione pubblica siffattamente, che resteranno confusi.

Che abbiano concesso le decime mi piace, ma più mi piacerebbe se fossero tolte. Io non amo molto i loro favori. La Repubblica ha autorità naturale di decimare il clero: il ricever le decime da loro, è prima conoscere il suo in grazia; poi con le esazioni ne levano la metà, sì che la grazia del papa è ch’egli vi dona la metà del vostro, e del resto ve ne priva. Vorrei che siccome Dio ha diviso i paesi, e non posto niente nell’uno e nell’altro, così fossero divisi i governi.

Hanno proibito in Roma un buon numero di libri, fra’ quali le Storie di monsignore di Thou.2 V.E. sa che, per il concordato fatto con Clemente VIII, in questo Stato non ha luogo alcuna proibizione fatta senza consenso de’ magistrati; e però, se alcuna cosa [p. 384 modifica]sarà detta costì, riuscirà molto a proposito lo scriverla.

Intendo che i Gesuiti abbiano impetrato dal papa un’abbazia di monache presso Bisiers, e che il clero si oppone; ed ancora che a Poitiers abbiano qualche difficoltà, e che alla Flêche non vi sia il concorso solito. Se di queste cose alcuna è vera, credo che sarà utile il saperlo di qua.

È stato qui un ambasciatore del palatino di Neuburgo, per far dichiarare la Repubblica a suo favore. Ha ricevuto la risposta conveniente alla dimanda. Non si è congiunto con gli altri di Germania; e perchè viene solo? perchè non tutta la lega di Halla3 fa questa dimanda? perchè non almeno il marchese elettore insieme? Questi sono misteri che mostrano essere seminate in Germania le spine dal re di Spagna.

Intendo che il nunzio con l’ambasciadore spagnuolo in Praga, fanno ogni opera per far rompere co’ Turchi. Questo non sarebbe male per noi: ma bene mostrano che vogliono divertire da Cleves; perchè, quando non succeda guerra, con le arti essi otterranno il tutto. Passa una certa voce, che siino per mandare il re di Fez a Milano: io argomento o ch’egli sia di poco potere, o che il re di Marocco sia tanto potente, che nulla sperino. Ma, in somma, non vogliono implicarsi in Africa. Là i Gesuiti non possono aiutare, nè vale lo Spagnuolo senza il gesuita più che la lattuga senza olio.4 [p. 385 modifica]

Io sono stato assai prolisso, ed è tempo che faccia fine. Prego Dio che conservi V.E., ed a me doni grazia di poterla servire.

Di Venezia, 25 decembre 1609.




Note

  1. Edita dal Bianchi-Giovanni, nella raccolta di Capolago, pag. 197. Quivi essa porta, invece, la data del dì 22 d’ottobre; la quale, per ciò al mese riguarda, non esitammo a mutare, vedendo come in questa ripetansi le cose stesse già scritte al Priuli sotto il 25 decembre; e considerando come la condanna e il supplizio del “prete Marchiano,„ nell’ottobre anzidetto, non fossero ancora avvenuti.
  2. Altra ragione per non poter credere scritta questa lettera nel mese di ottobre, si è che il decreto col quale vennero proibite in Roma le Istorie del De Thou, porta veramente la data dei 9 novembre di questo medesimo anno.
  3. Cioè, la lega dei principi protestanti di Alemagna. Vedasi alle pag. 335 e 361.
  4. Il Bianchi-Giovini ricorda, a questo proposito, quelle parole della Lettera LVIII (pag. 203): “Tanto è separabile il Gesuita dallo Spagnuolo, quanto l’accidente dalla sostanza.„