Lettere (Sarpi)/Vol. II/155
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CLV. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Per la mia ultima, scritta oggi quindici giorni, diedi conto a V.S. d’aver ricevuta la sua delli 18 agosto, insieme col supplemento della cifra. Per questo corriere ho ricevuto due sue, una delli 2, l’altra delli 3, del presente, insieme con le direttive al signor Molino e a monsieur Assellineau; quali ricapitai immediate, e questo stilo servarò secondo il comandamento di V.S., dandole in ogni mia conto di quanto averò ricevuto da lei.
Ho sentito grandissimo piacere ch’Ella abbia risposto al signor ambasciatore Barbarigo, del quale non ho scritto a V.S. con alcuna iperbole, ma più tosto molto di sotto di quello che in verità è;2 e non saprei trovar in questa nobilità persona che l’avanzasse in bontà e prudenza; e son sicuro che riuscirà tale a V.S. così trattando con commercio di lettere, come personalmente: perchè Ella averà ben occasione di vederlo anco di presenza; poichè, finita l’ambascería nella quale serve adesso, sarà destinato in Francia o in Inghilterra, o forse sarà il primo che anderà in Olanda. Li avvisi che V.S. li darà, e maggiormente le instruzioni e considerazioni sopra quel che passa, sarà utile non tanto a lui, quanto al pubblico; e in particolare, sarà molto a proposito ch’egli sappia tutte le insolenze che usano i Gesuiti costì.
È fondatissimo il discorso di V.S., che il papa e Roma non pensano altro che vendicarsi contro la Repubblica, ma sentono bene ancora essi le difficoltà insuperabili che li conviene scontare; perchè, quando pensino farlo senz’armi, riusciranno ridicoli come altre volte; ma quando con quelle, sono certi che non si può fare senza empir l’Italia di confessionisti e reformati, ch’è loro estrema destruzione. Nè creda V.S. che il papa si fatichi maggiormente di comporre le difficoltà, di quanto Spagna vuole e li comanda: ma se in Italia sarà guerra o no, io son così incerto, che non pendo più in una parte che nell’altra.
Poichè V.S., quasi dubitando, mi dice che il pontefice non farà niente sopra il decreto della Sorbona, io la leverò di dubbio. Si ha certo che non lo farà; e perciò li dirò di nuovo, già dieci giorni, è uscito un libro del cardinale Bellarmino, stampato in Roma, con titolo dell’Autorità temporale del Papa sopra i Principi; in latino però. Il pretesto è di scrivere contro Barclaio, ma il vero fine si vede esser per ridurre il papa al colmo dell’onnipotenza. In questo libro non si tratta altro che il suddetto argomento; e più di venticinque volte è replicato, che quando il papa giudica un principe indegno per sua colpa d’aver governo, ovvero inetto, o pur conosce che per il bene della Chiesa sia così utile, lo può privare. Dice più e più volte, che quando il papa comanda che non sia ubbidito ad un principe privato da lui, non si può dire che comandi che principe non sia ubbidito, ma che privata persona; perchè il principe privato dal papa non è più principe.3 E passa tanto innanzi, che viene a dire che il papa può disponere secondo che giudica ispediente, di tutti i beni di qualsivoglia cristiano. Ma tutto sarebbe niente, se solo dicesse che tale è la sua opinione: dice, ch’è un articolo della fede cattolica, ch’è eretico chi non sente così;4 e questo con tanta petulanzia, che non vi si può aggiungere. Io non faccio dubbio che, udita la morte del re, non si sia venuto in deliberazione di comporre questo libro; perchè, per quanto tocca a Barclaio, bisognava farlo prima; ed è un voler tentare la pazienza de’ principi per passar più innanzi.
Credo, che la Repubblica non permetterà il libro: ma poichè io sono a parlar di Roma, bisogna bene che le dica una istoria dei Gesuiti di là. Saprà che in quella città vi è un grandissimo numero di sbirri, ed eccedono senza dubbio 150. I padri Gesuiti, vedendo che quella gente è dissoluta e vive poco cristianamente, hanno pensato di eriger nella loro chiesa una compagnia di soli sbirri, per insegnar loro la dottrina cristiana, ed esercitarli nella frequenza della confessione. E il governatore di Roma e quella corte hanno avuto in sospetto una così stretta pratica di quei Padri con i loro ministri. Se ne sono doluti col pontefice, perchè il vescovo di ***, essendo vicino alla morte, come anco morì dopo, gli aveva donato trenta mila scudi avanzati da lui: ma la Camera romana non ha approvato la donazione, e ha voluto che li danari siano spoglie, e se li ha applicati.5
Ricevono bene essi ancora alle volte qualche disgusto, ma ne dànno anco. Io resto bene con gran maraviglia della petulanzia con la quale procedono costì, e che abbino tanti favori; e sopra tutto resto attonito, che siano favoriti da monsieur di ***. Bisogna che vi sia qualche gran ragione occulta, perchè della bontà dell’uomo non posso dubitare. Lo scrivere contra di loro, sarebbe scribere in eos qui possunt proscribere. Il Padre lo desidera, ma li conviene usar molta cauzione, quando la meretrice procede con la Repubblica con lusinghe, siccome al presente. Se piacerà a Dio che si smascheri, e questa e qualch’altra cosa potrebbe esser fatta.
Io ho ricevuto diverse buone istruzioni da V.S. sopra i buoni governi di quella Società; e in particolare il Misterio, che per questo corriere mi manda: di che la ringrazio, nè per questo refreno l’ardire di pregarla ancora di maggiori cose. Quanto a quello De modo agendi, aspetto che il signor Foscarini sia in Inghilterra. Desidererei aver un esemplare dell’Apologia del padre Ludovico Richéome6 in francese, non in latino. Quando, senza suo incomodo, V.S. potesse provvedermene una e darla al signor Agostino Dolce, lo riceverei a favore.
Intorno alla Camera della meditazione, noi in Italia non ne abbiamo contezza, perchè i cervelli italiani non sono soggetti ad esser persuasi di mettersi in pericolo. Però quella droga non ha spaccio qui, ma un’altra; la quale è molto stimata ed è ragione dell’utile, con la quale guadagnano tutti quelli, che li seguitano; e noi osserviamo che li maggiori usurari ed usurpatori dell’altrui sono i devoti delli Gesuiti. Ma Dio vuole che chi non riceve la verità, sia a punto punito di cecità.
Quanto alle cose di Francia, dubito che il pronostico di padre Paolo si verificherà prima di quello ch’egli credeva, considerando quello ch’è occorso sopra Calais, e le altre cose trabocchevoli che vedo fare a favore di Conchino.7 Io dubito anco molto, che quel duca di Feria non si faccia duca di Festa, anco molto solenne; e Dio voglia che parta di Francia senza aver seminato molto Diacatholicon.
Intorno le cose del mondo, è molto ben chiaro che i Tedeschi sono irresoluti, divisi e deboli; come è ordinario di quella nazione, tanto celebre per altro e sì famosa all’universo. Ma io dirò, credendo non m’ingannare, che solo li Stati siano vero principe, resoluti, arditi e reali;8 e io, per me, li stimo sopra tutti, e veggo che quanto è avvenuto di bene da trent’anni in qua, à nato da loro.
Li Ugonotti hanno ragione di ombreggiare, nè credo siano mai per usar tanta cauzione ch’ecceda; massime che vigileranno perpetuamente alla loro pernizie i Gesuiti, e non lasceranno passar punto di occasione. Io vorrei vedere che s’effettuasse l’assemblea disegnata: di che prego V.S. darmi avviso particolare, parendomi cosa di molto momento e conseguenza. Spero in Dio che favorirà una così utile deliberazione, e prego la Divina sua Maestà, che li doni buon principio, e felice esito: la quale anco prego che doni a V.S. ogni prosperità presente e perpetua; alla quale bacio umilmente la mano.
Quanto all’abiurazione di Fra Fulgenzio, non le posso parlar con certezza, salvo in questo particolare, ch’egli nella chiesa non parlò, e che aveva la bocca chiusa con sbavaglio. Se in secreto abiurasse, può esser vero; ma non è già solito farsi con quelli a’ quali si legge la sentenza in chiesa, come a lui.
Il libro del Bellarmino è proibito qui con un rigore estraordinario; come ancora si farà a tutti i libri che vengono dalle contrade del Tevere, e particolarmente quando sono opere uscite da’ gabinetti de’ padri Gesuiti; quali hanno giurato d’avvilire ogni potenza, per poter meglio rendere quella del papa superiore ad ogni altra. Però ho ferma credenza che Dio vi metterà la sua mano, per liberar la Chiesa da questa peste.
- Di Venezia, 28 settembre 1610.
Note
- ↑ Dalla Raccolta di Ginevra ec., pag. 281.
- ↑ Vedi la Lettera CXLVII, pag. 98.
- ↑ Quando siffatte cose, e che tutti anch’oggi posson leggere, si scrivevano pel pubblico, che cosa è da pensare delle menzogne, delle arti infernali e delle viltà di ogni genere che i Gesuiti usar doverono per farsi non che sopportare, ma eziandio per mantenersi potenti nelle corti? Non può, tra gli altri aneddoti, non tornare qui a memoria l’abituale interrogazione del confessore gesuita a Luigi XIV: Quoties Majestas vestra dignata est adulterium perpetrare?
- ↑ Vedasi la Lettera CLIII, pag. 129-30 ; e il secondo paragrafo della CLVI.
- ↑ Il Bianchi-Giovini, riportando questo passo tra gli estratti coi quali accompagnò le Lettere da lui pubblicate, vi appose questa nota: “La Camera apostolica si è arrogata il diritto di ereditare le spoglie dei prelati morti. — Questo diritto incominciò, — dice Tomasini, — ai tempi dello scisma tra Urbano VI e Clemente VII (nel 1378): imperocchè quest’ultimo, il quale sedeva ad Avignone, essendo privato al tutto del patrimonio della chiesa romana in Italia, pensò, per mantener sè e i trentasei cardinali del suo partito, di riservarsi i più pingui benefici e le spoglie, tanto dei vescovi che degli abati e di tutti i beneficiari che morivano.„ (De Beneficiis tom. VIII, pag. 273.)
- ↑ Altro fra i controversisti gesuiti di quel secolo, affogato nelle controversie.
- ↑ Vedi la nota 2 a pag. 116.
- ↑ Un siffatto giudizio è per la terza volta, se ben notammo, ribadito in queste Lettere; ma è, sopratutto, da rivedersi la diretta al Duplessis, pag. 110 di questo stesso tomo.