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Lirica (Ariosto)/Appendice prima - Liriche dubbie/Canzone

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Canzone

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Appendice prima - Liriche dubbie Appendice prima - Liriche dubbie - In cosmicum patavinum carmina maledica

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I

CANZONE

Lupi affamati si sono rovesciati su l’Italia, spargendo il terrore, la distruzione, la morte. Mantova, con accenti di desolazione, invoca aiuto; risponde Roma con grida disperate e imprecando al cieco Pastore della Chiesa, che, per insano amore verso i parenti, trascina alla rovina il papato e l’Italia.

     Rapido Po, che con le torbid’onde
superbo vai tra l’arenose rive,
ove le stanche giá sorelle dive
piangendo diventare alberi e fronde;
5altiero fiume, che da le profonde
grotte de l’Alpi, che d’intorno bagna
il ligustico mar, tumido sorgi,
e mormorando tra i lombardi campi,
Trebia e Ticino, con l’antico nome
10de’ bellicosí vampi,
teco al viaggio tuo guidando scorgi;
dove fra li altri, come
è fra le stelle il sole,
con le madide chiome
15l’onorato mio Mincio t’accompagna
fin lá ove al mare il tuo tributo porgi;
o re de’ fiumi, in queste piagge sole
odi le mie parole.


     Tra quelle ombrose querce Melibeo
20pensoso stava, il suo gregge pascendo,
come soleano giá i pastor, sedendo

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tra’ bei colli di Menalo e Liceo;
e dicea con dolore acerbo e reo:
— O Eridano mio, li nostri armenti
25non han piú, né li tuoi, sicuro un loco;
ché giú da li alti monti è giá venuto
chi accende fiamme in le tue mandre e fura;
e, per gridare aiuto,
è de’ nostri pastori ognun giá roco.
30Deh! se giá sepultura
fusti al fígliuol del Sole,
allor ch’ebbe paura
il mondo andarne tutto in fiamme ardenti,
smorza con l’acque tue quest’altro foco.
35O re de’ fiumi, in queste piagge sole
odi le mie parole.


Ecco, tra’ nostri pascoli discesi
fieri apri, aspri orsi, e per deserte rupi
la notte scender ululando lupi,
40che versan li occhi di spavento accesi;
anzi (chi fia che ’l creda?) i’ gli ho giá intesi
con voce umana orribile chiamarsi;
e menzogna non è ch’in lor sian l’alme
de’ ladron che son morti in queste selve;
45ed odonsi al silenzio de la luna
muggiar piú strane belve,
che né al fuggir né al star l’animo valme.
Quando fia mai, Fortuna,
che veggia, allor che ’l sole
50calando l’aere imbruna,
le pecorelle mie la sete trarsi
su queste rive, e con l’usate salme
tornarsi a casa; e ’n queste piagge sole
s’odan le mie parole?


     55Quando fia mai che ’l bel volto di tauro,
o re de’ fiumi, le tue amate ninfe
ti spargano di latte e chiare linfe,
coronando di fior le corna d’auro;
e i tuoi pastor di mirto e verde lauro

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60adornino le mandre, e alli alti abeti
vaghi suspendin le zampogne e li archi,
e di teneri agnelli sacrificio
ti facciano con priego e voce umile,
ch’all’estivo solsticio
65nel tuo gonfio ondeggiar li argini varchi,
perché all’usato ovile,
quando ha men forza il sole,
finché ritorni aprile,
possano starsi, e poi tornarsen lieti
70alle campagne aperte e ameni parchi?
O re de’ fiumi, in queste piagge sole
odi le mie parole. —


Cosí diceva, e tra verdi arbuscelli
giacea tra l’erbe la mia Mincia all’ombra,
75qual chi di dolce sonno l’aura ingombra,
col murmurar dei limpidi ruscelli.
Sparsi le aveva Zefiro i capelli
per quel candido collo e per la fronte;
e tremar si vedean suavemente
80le marmoree mammelle entr’al bel velo,
da arder d’amor cor freddi, aspri e selvaggi;
quando, svegliata, al cielo
volse í begli occhi con splendor sí ardente,
che diér lume i bei raggi
85u’ non passava il sole,
lá ne’ piú folli faggi;
e, sospirando, verso l’orizonte
mandò pur fuor quella voce dolente:
— Ahi! dove sei ascoso, o almo Sole,
90da queste piagge sole? —


Ahi! dove sei ascoso, o almo Sole,
che ’l perso gregge a’ tuoi smarriti rai
sen va gridando in tenebrosi guai?
Ahi! dove sei ascoso, o almo Sole?
95E con le chiome sparse oggi si duole
la tua Tarpeia, e, avolta in negra gonna,
con quegli occhi di foco i sette colli

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empie d’orror, e grida ad alta voce:
— Perché m’avete abbandonata, o dèi?
100perché da l’alto atroce
mio mal, da l’alte mie ruine e crolli
fuggite? Ah! dove sei
ascoso, o almo Sole,
che veder mi solei
105regina de le genti, e al mondo donna
di quanto vedi, ove piú in ciel t’estolli?
Ahi! dove ascoso sei, o almo Sole,
da queste piagge sole?


     Chi regge, Apollo mio, guarda chi regge
110le pecorelle tue: un pastor losco,
che perse giá nel bel paese tósco
il suo negletto e mal guidato gregge!
Guarda ch’è persa la tua antica legge,
antico Palestin; vedrai te avanti
115tronche le piante, ove posar solea
la bella vigna nostra in pace e in guerra;
vedrai la sposa tua che ’n su l’aurora
giace deserta in terra,
venduto il manto che d’intorno avea,
120e scalza ad ora ad ora
si muore. Ahi! perso Sole,
tu perderai ancora
e la nave e le reti e pesci quanti
hai preso mai nel mar di Galilea.
125Ahi! dove sei ascoso, perduto Sole,
da queste piagge sole?


     Con l’arme sole di pastor d’Esperia,
se non ti fea ’l tuo sangue il veder scemo,
possuto avresti, ingrato Polifemo,
130cavarla fuor di questa vil miseria.
O d’ogni nostro mal forma e materia,
quanto da quei che ti lasciâr le chiavi
da sì alta quercia tralignar ti mostri!
Tu ’l vedi, alma Gonzaga, in Montefeltro.
135Dimanda or dove è il pan di che nudristi

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questo arrabbiato veltro,
questa fiera nemea, questi duo mostri.
Sol, perché non fuggisti
indietro, irato Sole,
140da’ scelerati e tristi
auspici? Ahi mondo, che sanar pensavi
con medico sí vile i dolor nostri!
Orbo mondo, se falli, il cielo il vole,
che gli è oscurato il Sole. —


145Oscura è Cintia, alza Atteon in alto
le corna, e va trescando la stuprata
figliuola di Sion lá ’ve l’armata,
con cosí chiaro ed onorato salto,
plebe salí sovra l’altre arme in alto.
150Apri la maestá del sacro volto,
Tevere, fuor de’ muscosi antri, ed odi
gridando andar tra le sue rive il Reno:
— Diva Ippolita mia, che non sei meco?
Tu dal mio bel seno
155sei lunge, e tu, Sardanapalo, il godi.
Piangon le rive seco;
e tu te ’l vedi, o Sole,
e tu ’l sostieni, o cieco,
voto d’ogni valor, mondo; sí involto
160t’ha questa Babilonia in sí bei nodi!
Orbo mondo, se falli, il cielo il vole,
che gli è oscurato il Sole. —