Lo spirito di contradizione/Atto V

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Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Camerone.

Il Signor Ferrante, il Signor Fabrizio, il Signor Roberto,
il Signor Rinaldo, il Signor Gaudenzio, la Signora Cammilla.

Ferrante. Caro signor Fabrizio, vi son tanto obbligato.

Che siatevi del tutto il dispiacer scordato.
E vi siate degnato tornar1 in casa mia,
Per amoroso affetto di vostra cortesia.
E voi, signor Gaudenzio, amico di buon core,
Tornate a favorirci col solito fervore.
Eccoci tutti uniti; son pronto al mio dovere.
Pronto sarà mio figlio. Vi supplico sedere. (tutti siedono)

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Fabrizio. Diedi al conte Alessandro parola di venire;

Ed eccomi venuto l’impegno ad adempire.
Ma se mai vostra nuora a comparire io vedo,
Mi alzo, e immediatamente mi prendo il mio congedo.
Ferrante. S’ella però tornasse con altri sentimenti...
Fabrizio. A perderle il rispetto non vuò che mi cimenti.
Subito ch’io la veda spuntar da quella porta,
Fuggo da questa casa, che il diavolo mi porta.
Gaudenzio. Ed io ve lo protesto, se avvicinar la sento,
Senz’altre cerimonie vi lascio in sul momento.
Me ne ricordo ancora. Le sue contradizioni
Mi han fatto per la bile destar le convulsioni.
Rinaldo. Ella ha dato parola di rassegnarsi in tutto.
Spera il conte Alessandro delle sue cure il frutto.
L’esito dell’impresa sperimentar si può.
Fabrizio. Un tale esperimento attendere non vuò.
O termine al contratto si dia senza di lei,
O vado immantinente a fare i fatti miei.
Gaudenzio. Ecco il foglio, signori; o sia da voi firmato,
O torno per la strada, per cui son qui arrivato.
Ferrante. Figlio mio, che ti pare? (a Rinaldo)
Rinaldo.   Voi, signor, cosa dite?
Fabrizio. Ecco un nuovo sconcerto.
Rinaldo.   Ecco una nuova lite.
Fabrizio. Orsù, signori miei, s’ella vi fa paura,
È meglio ogni contratto di sciogliere a drittura.
Non vuò impazzir coi pazzi.
Gaudenzio.   So che sperar non lice...
Roberto. Ecco il conte Alessandro.
Cammilla.   Sentiam quel ch’egli dice.

SCENA II.

Il Conte Alessandro e detti.

Conte. Buone nuove, signori. Le cose anderan bene.

Fabrizio. Anderanno benissimo, se Dorotea non viene.

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Conte. Anzi con noi fra poco l’avremo in compagnia.

Fabrizio. Godetevela pure. Roberto, andiamo via.
Conte. No, Fabrizio carissimo, partir voi non dovete.
Fidatevi di me. Chi son, voi lo sapete.
Capace non sarei di esporvi ad un periglio.
Pregovi, quanti siete, rasserenare il ciglio.
Della femmina strana lo spirito è calmato;
L’indocile talento non poco è moderato.
Fatto ho l’esperimento. Piegata a me si mostra;
Ora a voi si conviene di far la parte vostra.
Eccola ch’ella viene: a ogni proposizione
Ciascun le contraponga la sua contradizione.
Veggendosi da tutti in tutto contrariata,
Si vederà la donna oppressa e disperata.
Seguendo l’aforismo dei medici preclari,
Che i contrari per solito si curan coi contrari.
Ferrante. Rinaldo, siamo in tanti, che mal ci può venire?
Rinaldo. Nasca quel che sa nascere, anch’io vuò contradire.
Ferrante. Muoio di volontà di disperarla un poco.
Cammilla. Procurerò cogli altri di seguitare il gioco.

SCENA ULTIMA.

La Signora Dorotea e detti.

Dorotea. Perdonate, signori, se un poco ho ritardato.

Ferrante. Vi par poco tre ore?
Dorotea.   Tre ore?
Rinaldo.   Sì è mandato
A chiamarvi, signora, che son più di tre ore.
Dorotea. Chi è venuto a chiamarmi?
Cammilla.   Volpino il servitore.
Dorotea. Prima di un quarto d’ora, certo da me non fu.
Ferrante. Egli è da voi venuto, sono tre ore e più.
Dorotea. Conte, puoi esser tanto, che voi veniste qui?
Conte. Quando lo dicon tutti, dev’essere così.

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Dorotea. Orsù, non vuò impazzire per cosa che non preme;

Eccomi qui venuta con lor signori insieme.
Ma mi stupisco bene, che stiano in questo loco
Cogli usci spalancati, e senza un po’ di foco.
Fabrizio. Sembrami di aver caldo, e pur sono avanzato.
Gaudenzio. Credetemi, signora, ch’io son mezzo sudato.
Dorotea. Voi che patite il freddo, vi par che abbian ragione?
(a Ferrante)
Ferrante. Volpino.
Volpino.   Mi comandi.
Ferrante.   Apri quel finestrone.
Volpino. Subito. (va ad aprire la finestra)
Ferrante.   (Mi contento anch’io d’intirizzire). (da sè)
Dorotea. Che dite? (al Conte)
Conte.   A quel ch’è vero, non si può contradire.
Dorotea. Signor, per quel ch’io vedo, di me prendete gioco;
Dell’amicizia vostra posso fidarmi poco.
Conte. Questo che voi mi fate, è un torto manifesto.
In faccia a tutto il mondo lo dico e lo protesto:
Vi venero, vi apprezzo, e l’occasione aspetto
Di far valer per voi la stima ed il rispetto.
Signori, perdonatemi, parlo con quanti siete.
La sua virtù, il suo merito, ancor non conoscete;
Ed io che ho qualche pratica del cuor delle persone,
Pretendo in faccia vostra di renderle ragione.
Dorotea. Il Conte non è stolido; egli può dir chi sono,
Può dir con fondamento qual penso e qual ragiono.
Mia cognata medesima può dir se nel mio petto
Per lei, per la famiglia, nutrisco un vero affetto.
Cammilla. Servirvi io non intendo di falso testimonio.
Dorotea. Conte, a voi è palese dell’amor mio la prova.
Conte. L’opera mal diretta a meritar non giova.
Dorotea. Conte, in faccia del mondo così mi difendete?
Conte. Difendervi prometto, quando ragione avrete.
Dorotea. Dunque ho torto finora.

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Ferrante.   Finor, nuora carissima,

Foste dalla ragione lontana lontanissima.
Fabrizio. Non si può pensar peggio di quel che voi pensate.
Rinaldo. Lontan le milla miglia dalla ragione andate.
Gaudenzio. Sono le vostre pari degli uomini il tormento.
Roberto. Sempre del ver nemica.
Cammilla.   Contraria ogni momento.
Dorotea. Misera me! da tutti son vilipesa e oppressa.
Conte. Fatevi in tale incontro coraggio da voi stessa.
Veggano il disinganno, conoscano chi siete;
Sol che voi lo vogliate, farli smentir potete.
A chi vi crede ingrata, svelate il vostro cuore.
Ecco il tempo opportuno per meritar l’amore.
Dorotea. Come! son fuor del mondo; non so dove mi sia.
Un giorno più terribile non ebbi in vita mia.
Non so di chi fidarmi; confusa, instupidita,
A mio rossor lo dico, ritrovomi avvilita.
Conte. Su via, signori miei, l’affar sollecitate.
Il contratto di nozze ciascun di voi firmate.
Questa, che voi credeste nemica della pace,
Affabile, cortese ne gode, e si compiace.
Accorda del marito non sol la soscrizione,
Accorda della dote non sol la promissione;
Ma perchè si solleciti l’affar senza ritardo,
I propri capitali darà senza riguardo.
Contenta che dal suocero le siano assicurati
Sui beni della casa, uniti o separati;
Ella della cognata pronuba si dichiara,
A lei veracemente questa famiglia è cara.
E chi di contradire ardisce a quel ch’io dico.
Mi averà, lo protesto, acerrimo nemico.
Ella è una saggia donna, cui sol2 virtude aggrada;
Io l’onor suo difendo col labbro e colla spada.

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Dorotea. Capisco, e non capisco. Sono confusa affatto.

Gaudenzio. Animo, miei signori, soscrivano il contratto.
Ferrante. a voi, signor Fabrizio.
Fabrizio.   A voi, signor Ferrante.
Conte. Fermatevi, signori, vuole il dover che innante
Prometta e sottoscriva la nuora e la cognata.
Ed io non vuò permettere che sia pregiudicata.
Favorite, signora, la penna a voi tributo:
Scrivete, e a voi dettando, vi servirò d’aiuto.
Io Dorotea Falconi dei beni estradotali
Assegno a mia cognata tanti miei capitali,
Che arrivino a formare diecimila ducati,
Quai dal signor Ferrante mi sono assicurati.
(egli detta, e Dorotea scrive)
Atto sì generoso chi è che lodar non vuole?
Dorotea. (Non so quel ch’io mi faccia, perdute ho le parole).
Conte. A voi, signor Rinaldo, di vostra man firmate,
E l’atto della moglie voi pure autenticate.
Rinaldo. Eccomi pronto anch’io.
Conte.   Soscrivino all’istante
Prima il signor Fabrizio, poscia il signor Ferrante.
Ecco fatto, ecco fatto. Signor Gaudenzio ed io
Siamo i due testimoni; eccovi il nome mio.
Mi consolo, signora, che alfin siete la sposa,
Della cognata in grazia affabile amorosa, (a Cammilla)
Se i padri si contentano, porgetevi la mano.
(a Roberto e a Cammilla)
Ferrante. Io mi contento.
Fabrizio.   Io pure.
Roberto.   Ecco la destra.
Conte.   Piano.
Questa benefattrice, che la ragione intende.
Del torto che le fate, moltissimo si offende.
Ella che ha tanto fatto, desidera ancor questo:
Brama colle sue mani formar sì bell’innesto.

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Signora Dorotea, gradite il dolce invito:

Presentate voi stessa la sposa al suo marito.
Dal magnanimo cuore l’opera alfin compiuta,
Fate la virtù vostra palese e conosciuta.
Dorotea. Conte, non so che dire, trovomi in tale stato,
Ch’io non so ben s’io vegli, o se ho finor sognato.
Tanto fuor di me stessa, tanto stordita io sono,
Che in tal mia confusione mi perdo e mi abbandono.
Conte. Permettete, signora, che or più che mai sincero,
Labbro di vero amico, vi rappresenti il vero.
Voi sognaste finora, sperando un miglior frutto
Dall’uso pertinace di contradire a tutto.
Presso di tutto il mondo, e fin nel vostro tetto,
L’odio vi concitava un simile difetto.
Ora che l’arte nostra vi ha l’animo colpito,
Che il vostro mal dai segni ci par che sia guarito,
Tutti quanti vedete, tutti amici vi sono,
Vi amano, vi rispettano, e a voi chiedon perdono.
Ferrante. Sì, nuora mia diletta, vi amo di tutto cuore.
Rinaldo. Compatite, vi priego, l’industria dell’amore.
Fabrizio. Mi avete edificato.
Gaudenzio.   Sono di voi contento.
Cammilla. Supplico mia cognata del suo compatimento.
Dorotea. Sì, conosco me stessa; sia sempre ringraziato
Il Conte, che con arte alfin mi ha illuminato.
Troppa condescendenza mi fè’ soverchio ardita.
Or le contradizioni m’han punta ed avvilita.
Sentendomi da tutti con negative oppressa,
Parvemi in uno specchio di ravvisar me stessa.
E il duol che mi recava ciascun coi detti sui,
Mi fe’ capire il duolo ch’io procacciava altrui.
Godo del mal sofferto, per riportarne un bene.
Quel che per voi ho fatto, è quel che mi conviene.
Fate che per mia mano sia l’opera compita:
Eccovi al vostro sposo da me medesma unita.

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Suocero, non temete, Conte, amici, consorte.

Mai più contradizioni, mai più sino alla morte.
E voglia il ciel che possa con questa mia lezione
Guarir qualche altro Spirito di contradizione.
Signori miei, se alcuno ne aveste per l’idea.
Potete l’istoriella narrar di Dorotea.
Ma di tali caratteri tutta la terra è piena,
E il loro cambiamento è favola da scena.

Fine della Commedia.


Note

  1. Così le edd. Guibert-Orgeas, Zatta e altre. Nell’ed. Pilleri si legge: E tornar vi siate degnato ecc.
  2. Così l’ed. Pitteri. Edd. Guibert-Orgeas, Zatta e altre: solo virtude ecc.