Melmoth o l'uomo errante/Volume I/Capitolo XII

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Volume I - Capitolo XII

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO XII.


La dimane era il giorno stabilito per la visita del vescovo; una inquietudine indefinibile regnava in tutti gl’individui della comunità. Il convento siccome vi ho detto, signore, era il più rinomato di Madrid; tutta la capitale stava in grande agitazione pel cumulo delle circostanze straordinarie, che si presentavano in questo affare. Il figlio di una delle primarie famiglie della Spagna aveva abbracciato lo stato religioso al [p. 320 modifica]sortire quasi della infanzia; pochi mesi dopo aveva protestato contro i suoi voti, e si credeva che avesse fatto un patto collo spirito infernale. Per parte mia io non era affatto privo di ogni speranza: non conosceva, egli è vero, il prelato, nè concepiva in qual modo la sua visita essermi potesse vantaggiosa; ma vedendo che tutta la comunità era inquieta, traeva da ciò un favorevole presagio per me. Il prelato arrivò di buon mattino e si trattenne alquanto col superiore nel di lui appartamento; quindi si recarono in una gran sala dove era radunata tutta la comunità, ed il superiore mi fece chiamare. Pallido, tremante uscii della mia stanza, ed arrivato alla presenza del prelato invece di perdere il coraggio lo riacquistai, quantunque quella fosse la prima volta che lo vedessi. Era desso un uomo, la cui fisonomia era tanto rimarchevole, quanto lo era il carattere. La prima faceva su’ sensi la medesima impressione che il secondo sull’anima. Era egli grande e maestoso [p. 321 modifica]della persona, bianchi aveva i capelli. I neri, ma freddi suoi occhi, si rivolgevano verso di voi senza parere di vedervi; quando la sua voce perveniva alle vostre orecchie, sembrava non si indirizzasse che alla vostra anima. Del rimanente la sua riputazione era senza taccia, esemplare la sua disciplina, la vita quella di un anacoreta.

A tutte le interrogazioni che da lui mi furono fatte, fu da me risposto con tale una ingenuità e schiettezza, che egli restò presto persuaso nulla di straordinario essere in me, e la conseguenza della sua visita fu l’esser me abilitato di nuovo a tutti gli esercizii proprii del mio stato. Il vescovo terminato il mio interrogatorio, partì raccomandandomi istantemente alle cure del superiore.

In quella notte io mi gettai così vestito, come era, sul mio letto dentro le quattro mura nella mia camera spogliata. La fatica e lo spossamento mi fecero dormire di un sonno profondo. La mattina susseguente essendomi destato vidi con mia [p. 322 modifica]maraviglia che tutti i mobili, che mi erano stati tolti per lo innanzi, vi erano stati di nuovo riportati, come per incanto, nel tempo che io riposava. Balzai precipitosamente dal letto e riguardai intorno a me quasi rapito in estasi. Intanto l’ora della refezione si avvicinava e la mia gioia andavasi raffreddando; sentiva rinascere in me i consueti terrori. Ella è cosa difficile, che da uno stato di umiliazione estrema si possa senza emozione ritornare alla sua primiera posizione nella società di cui uno è membro. Quando sentii il segno della campana discesi: mi arrestai per un momento alla porta, quindi con un disperato impulso entrai e presi il consueto mio posto: nessuno si oppose. Dopo il desinare la comunità si separò; io stava aspettando l’ora del vespero, l’ora decisa. La campana suonò alla fine; i religiosi si adunarono; io mi unii seco loro senza trovare opposizione; presi il mio posto in coro: il mio trionfo era completo; ma questo n’incuteva tanto più di timore. Ohimè! qual’è [p. 323 modifica]il momento di successo in cui non siamo astretti a provare un sentimento d’interno turbamento!

Passarono due giorni senza che seguisse veruna cosa degna di rimarco; la tempesta, che m’aveva per tanto tempo agitato, erasi risoluta in uno stato di calma perfetta: io mi ritrovava nella medesima condizione di prima; adempieva ai miei doveri colla consueta mia impassibilità, di modo che non poteva meritare nè elogi nè rimproveri. Queste due giornate furono per me d’una tranquillità perfetta, e prendo Dio in testimonio, che godetti del mio trionfo con molta moderazione. Non feci menzione alcuna della posizione dalla quale sortiva; non proferii parola della visita del vescovo, che in poche ore aveva fatto cambiar d’aspetto allo stato delle cose. Sopportai il mio successo senza vanità, perchè io era animato dalla speranza della libertà. Cotesta calma però non fu, che di una troppo breve durata.

La mattina del terzo giorno fui chiamato al parlatorio. Un [p. 324 modifica]messaggio mi consegnò un plico, che conteneva, per quel che conobbi di poi, il resultato della mia reclamazione. Secondo le regole di quella casa io era obbligato di consegnarlo prima nelle mani del superiore, il quale doveva esaminarlo avanti che mi fosse permesso di leggerlo. Presi il plico e me ne ritornai a passo lento alla mia stanza: tenendolo in mano io lo esaminava, lo contrappesava, lo rivolgeva da tutti i lati per vedere, se fosse stato possibile d’indovinare dalla forma il contenuto. Un pensiero desolante mi si affacciò alla mente; dissi fra me medesimo, che se la nuova che conteneva fosse stata a me favorevole, il messaggio avrebbemela presentata con un’aria di trionfo, e forse avrebbemi detto qualche cosa a voce. Accorre sovente che i nostri presagii ci sono dal proprio cuore ispirati; il mio era tanto oppresso, onde non dee far maraviglia, se quelli furono funesti e si verificarono. Mi recai quindi alla camera del superiore col mio plico. Picchiai e mi fu detto d’entrare; io teneva gli [p. 325 modifica]occhi bassi, e non distinsi che l’orlo della veste dei religiosi che erano riuniti in quell’appartamento. Offrii rispettosamente ciò che teneva in mano. Il superiore vi gettò un lento sguardo, e quindi lo scagliò per terra. Uno de’ religiosi voleva raccorlo: fermate, gli disse il superiore, sta a lui il raccattarlo. Io feci come mi era stato imposto, e dopo aver fatta una riverenza profonda ritornai alla mia cella, mi assisi tenendo in mano il plico fatale, e stava già per aprirlo, quando una voce interna mi disse: è inutile, tu già devi saperne il contenuto e di fatto non lo lessi, se non passate parecchie ore, e compresi che il mio appello era stato dal tribunale rigettato!......

L’emozione, che lo sfortunato Moncada provocò a questo passo del suo racconto, lo costrinse ad interromperlo, e non fu che dopo il lasso di alquanti giorni che lo ricominciò ne’ seguenti termini: