Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XX

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XX.

Ircana a Ispahan, commedia di cinque atti in versi, compimento della Sposa Persiana. — Analisi di questa commedia. — Suo felice successo.

Non andò in scena questa terza commedia persiana se non un anno dopo la seconda, e tre dopo la prima: ho creduto bensì di doverle collocare in questo luogo, una dietro l’altra, per presentare così tutto in una volta al mio lettore la connessione di tre differenti azioni riguardanti un soggetto medesimo. Il pubblico aveva ben ragione di domandare dopo esser seguito il matrimonio d’Ircana: Sarà essa felice? Sin dal principio di questa commedia si vede chiaro che felice non è; infatti Machmut, attorniato da’ suoi [p. 200 modifica] ministri, schiavi, e domestici, protesta ad alta voce di diseredar Thamas, ordinando severamente che sia proibito a questo figlio ingrato l’ingresso in casa sua. In questo mentre Fatima avverte che Thamas ed Ircana sono stati incontrati sulla strada d’Ispahan: ed essendo sempre in timore di nuovi insulti dalla parte della sua nemica, chiede di essere scortata alla casa del suo sposo, dopo la partenza di lui per Julfa donde non era ancora ritornato. Machmut vi si oppone, dichiarando Fatima sua figlia ed erede: ella però si esprime sempre col linguaggio della virtù, e procura di ricondurlo alla ragione; sono inutili tutte le rimostranze di lei. Thamas è proscritto senza scampo, ed Alì e Fatima devono far le sue veci. Quello però che reca a Machmut qualche inquietudine è il timore che Osmano non disapprovi le disposizioni prese senza il suo consenso. Questo guerriero è per arrivare a momenti; Machmut pertanto si determina di andare ad incontrarlo, pregando Fatima di restare in quiete e qual padrona in sua casa. Tanto in questa terza commedia quanto nella seconda, lasciai correre alcune mutazioni di scena che a me parvero necessarie: si passa infatti dalla città alla campagna, e là si vedono Thamas ed Ircana alle porte di Ispahan che passeggiano, guardandosi l’un l’altro senza parlarsi, nota essendo ad entrambi la loro proscrizione. Langue l’uno di dolore, freme l’altra di sdegno. In questo tempo esce Machmut da Ispahan con cavalli e numeroso seguito. Thamas si sbigottisce: Ircana lo spinge, lo nasconde nel bosco, e s’impegna di far fronte ella stessa allo sdegno di un padre irritato. Ecco pertanto una scena che potrebbe forse farmi onore, quando fossi capace di tradurre con precisione in francese i miei versi italiani. Per vero dire oso sperare che il pensiero sia nuovo e felice; gl’Italiani almeno l’hanno creduto tale; onde procurerò ora di farne conoscere il vero spirito. Machmut sdegnato alla vista d’Ircana cerca il figlio, biecamente guardando in varie parti, nè ravvisandolo, a lei si appressa con aria minaccevole e le chiede:

Mac. (Qui la perfida Ircana?) Empia, dov’è mio figlio?

Irc. Al genitor dolente nuova funesta io porto.
Ah! il figlio tuo...
Mac.  Che avvenne?
Irc.  Il tuo diletto è morto!
Mac. Morto Thamas! Oh Numi! la vista, ahi, mi si oscura,
Ah de’ miei sdegni ad onta langue in me la natura.
Tu senza pianto agli occhi, barbara, lo dicesti?
Il figlio mio chi ha ucciso?
Irc.  Crudel! tu l’uccìdesti.
Mac. Io l’uccisor del figlio? no, perfida, il mio sdegno
Seco a ragion mi accese, ma non fino a tal segno.
L’odiai sposo infedele, l’odiai di te consorte,
Sì, che bramai punirlo, ma non con la sua morte.
Tu, di furore accesa, perfido core ingrato,
Per vendicar tuoi scorni, tu l’averai svenato.
Irc. No, di sua mano istessa Thamas ferir si vide,
Muoio, diss’ei cadendo, e il genitor mi uccide.
Sì il padre mio, soggiunse, padre inumano, ingrato,
Che del mio core ad onta m’ha all’imeneo sforzato.
Pianger, pregar non valse del genitor al piede,
Seco vantar fu vano l’amor mio, la mia fede.
Strinsi l’odiata sposa a mio dispetto al seno:

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Sarà contento il padre, sarà contento appieno.

Ecco, alzando la destra, ecco il tremendo effetto...
Mac. Ah, tu crudel, lasciasti ch’ei si ferisse il petto?
Irc. Sì, a quella vista, il seno a intenerir m’intesi,
Ma dal tuo cuore istesso a incrudelir appresi,
Dissi fra me in quel punto: s’io lo sottraggo a morte,
Sposo di me infelice, qual sarà la sua sorte?
Esule, in odio al padre, senza soccorsi e amici,
Meco dovrà vivendo menar giorni infelici.
Pria di penar coll’odio del genitore intorno,
Di lunga etade i danni finiscano in un giorno
Ei mi preceda a morte, lo seguirò fra poco;
Vivremo entrambi uniti per sempre in miglior loco.
Giace colà fra i tronchi il figlio tuo ferito,
E di seguirlo è pronto il mio coraggio ardito.
Mac. Thamas, se spiri ancora, il mio soccorso aspetta,
Vedrai nel sangue mio, vedrai la tua vendetta.
Sulla caduta spoglia, voglio morir... 1
Irc.  Signore, 2
Giunge il figliuolo estinto a impietosirti il core?
Morto lo piangi, e in vita d’odio nutristi il vanto?
Mac. Ah, non credea, che il perderlo mi avesse a costar tanto.
Lasciami andar.
Irc.  Ti arresta; gente pietosa accorse
All’infelice appresso della sua vita in forse.
Mac. Morto non è?
Irc.  No, ancora io palpitar lo vidi;
Ma se ti mira, e trema, col suo timor l’uccidi.
Rustica man coll’erbe lascia, che a vita il renda,
E della cura il fine dal nostro cuor si attenda.
Mac. Deh, al genitore il figlio, pietoso ciel, ridoni!
Irc. Se lo rivedi in vita, signor, di’, gli perdoni?
Mac. Sì, l’amor mio mel chiede.
Irc.  Spera che il ciel pietoso
Ricompensar non lasci quest’amor generoso.
Prendi il duol che provasti, qual pena al tuo rigore;
La gioia inaspettata premio sia dell’amore.
Mac. Che a rivederlo almeno vada tra fronda e fronda.
Irc. Odi, pria di vederlo, ed il tuo cor risponda.
Se gli perdoni, e teco lo guidi alle tue porte,
Che sarà poi di questa sua misera consorte?
Mac. Fa, ch’egli viva, e spera.
Irc.  Sì, Machmut pietoso.
Spero nel cuor d’un padre benefico, amoroso.
Parmi veder fra l’ombre di quelle piante... è desso
Thamas, Thamas, deh vieni al genitore appresso. 3
Eccolo ch’egli vive, il cielo a te il ridona.4
Thamas ritorna in vita; il padre a noi perdona.

A queste voci esce Thamas dal bosco, si getta ai piedi del genitore e Ircana fa l’istesso; Machmut li stringe entrambi al seno, ed [p. 202 modifica] ecco un nuovo trionfo per la Circassa, trionfo che non sarà l’ultimo. Ella entra pertanto in qualità di sposa in quella istessa abitazione in cui non era che schiava, e vi dimora col suo amante divenuto finalmente consorte; vi si trova però anche Fatima; onde malgrado il vantaggioso stato dell’una, e la docilità dell’altra, non cessa la gelosia di tormentarle. Informato Osmano del divorzio e nuovo matrimonio di sua figlia, lascia il campo e a mano armata vola ad assalire Machmut persino nel suo recinto. Ircana lo respinge con la sciabola alla mano, e la guardia del re lo arresta per avere abbandonato il posto senza permesso del governo. Nel quart’atto Ircana, inquieta sempre e sempre gelosa di Fatima, insiste perchè Thamas abbandoni la casa paterna, e nel quinto, Osmano, rimesso in libertà e nel primiero posto mediante una considerabil somma sborsata da Machmut, approva il matrimonio di Fatima con Alì, e li accoglie in casa. Nulla dunque ha più da temere la Circassa, e null’altro a desiderare, ond’ecco il fine di tutte le sue avventure. Il felice successo di questa commedia, che oltrepassò quello delle due precedenti, l’ho annunziato al principio di questo capitolo. Sia che queste debban dirsi commedie, oppure drammi, tragi-commedie, generalmente incontrarono per tutto, e furono recitate sopra tutti i teatri. Perlochè s’esse non hanno bastante merito per essere stimate, non si potrà almeno negar loro quegli omaggi che si sogliono concedere a tutto ciò che ha buon esito.

  1. Avviandosi verso la scena.
  2. Arrestandolo.
  3. Chiamandolo.
  4. A Machmut.