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Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXVIII

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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Parte seconda - XXVII Parte seconda - XXIX

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CAPITOLO XXVIII.

Séguito del capitolo precedente. — Le Avventure della villeggiatura, commedia in prosa di tre atti.

Il sèguito delle Smanie della villeggiatura da me esposto un anno dopo, ha per titolo Le avventure della Villeggiatura, nella quale fra il riso, i giuochi ed i passatempi sempre dispendiosi e sempre varii, procuro di criticare la follia della dissipazione e i pericoli di una libertà senza limite. Intervengono anche in questa seconda commedia, ad eccezione del vecchio Fulgenzio, i personaggi medesimi che hanno avuto parte nella prima, con altri sette, che sono la signora Sabina vecchia zia della signorina Giacinta, la signora Costanza e Rosina sua figlia, parenti di Filippo e di Leonardo, ed un giovine chiamato Tognetto, figlio del medico del villaggio, che per la sua imbecillità si rende il ridicolo del paese.

Nella prima di queste composizioni non ho fatto parola alcuna di un altro personaggio del tutto comico ed originale che ha parimenti parte nella presente, e questi è un parasito che va a prender posto ora in casa degli uni ora in casa degli altri, uno di quei soliti impacciosi che entrar vogliono in tutto che tengono divertita la brigata, che adulano i padroni e sono un vero tormento per la servitù. La gente di servizio di Filippo unitamente a quella de’ suoi ospiti parenti aprono la scena. Brigida cameriera di Giacinta fa loro da colazione, dando loro vino, cioccolata, caffè e biscotto: intanto si tien crocchio sopra i padroni, e secondo il solito se ne dice male. Tutti gli altri servitori poi nelle respettive case danno per turno da colazione agli altri. Nel primo atto non si trova nulla d’importante, e solo comincia a destare qualche grato effetto il [p. 222 modifica]principio del secondo. In esso comparisce Giacinta malinconica, pensosa, e in compagnia della sua cameriera che la interroga sul motivo della sua malinconia. Giacinta, dopo aver alcun tempo resistito alle istanze di Brigida, è forzata a manifestare il mistero e a confidarle il suo impaccio, la sua passione, il suo stato. Guglielmo, quel tanto savio e cortese giovine, per il quale ella pure professava quella stima di cui i suoi costumi e la sua condotta sembravano meritevoli, senza aver però mai per l’avanti sentito alcun effetto, veruna inclinazione per lui; quel giovine non con altro fine da lei impegnato ad essere della conversazione che per superare con tal mezzo i fastidiosi ridicoli ostacoli di Leonardo, quel giovine insomma colla sua dolcezza ed assiduità, profittando delle occasioni, dei luoghi, del tempo, della libertà, aveva saputo in modo tale insinuarsi nel cuore di lei, che ella arde per lui d’una fiamma divoratrice, capace quasi di condurla a morte. Brigida non si sarebbe mai aspettata dalla sua padrona una simile confessione, e ne resta tanto più maravigliata, in quanto che tutta la brigata crede Guglielmo amante della signorina Vittoria, e tutti sono di sentimento, dopo il viaggio da questo giovine e dalla signorina fatto insieme nella carrozza stessa, che sia già un pezzo avanti la loro unione. Giacinta assicura che tutto questo non è per parte di Guglielmo se non un’astuzia, per meglio occultare la sua vera inclinazione: Brigida pertanto procura di far coraggio alla padrona con porle sott’occhio che, non avendo ancora sposato Leonardo, potrebbe benissimo impegnare il genitore a rendere pago il desiderio di lei; ma Giacinta ha dato già la sua parola, ha già firmato il contratto, onde è disposta piuttosto a morire che mancare al suo dovere. Nel corso della commedia Giacinta fa di tutto per evitare l’incontro di Guglielmo, ma il giovine, a cui troppo bene è noto il carattere di lei, la segue dovunque. Questa signorina lascia dopo il pranzo tutta la compagnia, e va sola in un boschetto per ivi piangere in piena libertà. Guglielmo va a trovarla; e profitta dell’occasione per parlare alla medesima in modo decisivo. Le domanda se restar debba in vita, o morire. Adempite al dovere che vi corre, e lasciatemi in pace; il giovine insiste, ed ella, richiamando tutto il suo spirito in aiuto del cuore, prende il tono di donna sdegnata, e gli dice: — Voi avete mancato alla convenienza, alla buona fede, all’ospitalità, tendendo lacci al mio cuore, ed abusandovi nel tempo istesso della credulità di altra donna per celare con tal mezzo i vostri fini: la sposa di Leonardo non può ascoltarvi più, e la signorina Vittoria non merita d’esser tradita. — In questo tempo Leonardo li sorprende, e si fa render conto del loro colloquio. Guglielmo vedesi compromesso, ma Giacinta non manca punto di fermezza d’animo. — La signorina Vittoria, ella dice, è appunto il soggetto di tutto il nostro colloquio. Guglielmo ne è amante: anela di diventarle consorte, ed in questo istesso istante s’indirizzava per tal fine alla sposa del fratello per conseguirne l’assenso. A questo discorso non può Guglielmo retrocedere senza rischio, onde trovasi forzato a confermare l’asserzione di Giacinta. Con tutto questo Leonardo non si lascia metter nella rete, sospetta sempre, ma al tempo stesso ammira Giacinta, e promette a Guglielmo la sua sorella. Dopo ciò Leonardo scrive una lettera, che fa copiare a Paolino suo cameriere con ordine di dargliela alla presenza di tutta la brigata, fingendo che sia una lettera proveniente da Livorno. In essa finge che suo zio in imminente pericolo di morte lo chiami alla città; convien dunque partire immediatamente, onde [p. 223 modifica] conduce seco la sorella ed il suo futuro cognato. L’occulto rammarico, gl’interrotti sospiri e le furbesche occhiate son confuse tra i complimenti di quei che partono e degli altri che restano. Son già tutti fuori, la sola Giacinta manca. Grazie al cielo, ella dice, eccomi una volta sola! adesso posso finalmente dare sfogo alla mia passione e sciogliere il freno alle lagrime!... Qui essa interrompe a un tratto la declamazione, si avanza e fa al pubblico il seguente discorso: «Signori, l’autore della commedia aveami assegnato in questa scena un monologo, pieno di quei sentimenti patetici di cui la mia condizione poteva esser suscettibile. Ho creduto bene di sopprimerlo, terminando qui la commedia, perchè quel poco, che ancor resta a svolgersi, servirà di materia ad una terza commedia, relativa sempre al soggetto istesso che avrem l’onore di esporvi dopo questa». Necessaria a me parve una simile dichiarazione alfine di prevenire i lamenti dei rigoristi; frattanto l’azione principale della commedia è condotta completamente al suo termine. Il matrimonio di Leonardo con Giacinta, unitamente a quello di Guglielmo con Vittoria non formano lo scopo principale del mio disegno. Infatti, m’ero proposto di far conoscere nella prima commedia la passione smoderata che han gl’Italiani per le villeggiature, e volevo nella seconda dar convincenti conferme dei pericoli originati dalla libertà che regna in simili compagnie. Aveva adempiuto esattamente al mio dovere, ed ero pronto a fare una dissertazione per sostenere che le mie due commedie erano finite; ma conveniva più mettere in scena la terza commedia da me già promessa; la feci adunque senza interpor dilazione ed ecco vene l’estratto nel capitolo che segue.