Memorie di un Pulcino/Sono venduto!

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Sono rubato! Conclusione
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XII.

Sono venduto!


Non mi ricordo più quali e quanti vicoli ci fecero traversare; so unicamente che giunti in una specie di catapecchia umida e buia, fummo gettati come cenci sulla nuda terra, mentre con aria di scherno ci veniva augurata la buona notte.

È inutile il dire che nessuno di noi potè chiuder occhio, tanto ci angustiava il pensare a quel che sarebbe avvenuto di noi il giorno dopo, che era appunto la vigilia di Ceppo. Chi si vedeva già arrostito, chi fatto in umido, chi lesso. Il povero Cocò ci assicurava d’aver vedute in sogno, la notte precedente, le sue care defunte, e quello diceva esser segno sicurissimo di morte vicina.

Non mi dava l’animo di ribattere quelle sciocchezze, e tacevo. Tacevo, ma la mia testa non era più con me.

Ripensavo, mesto, al pollaio nativo, alla mamma, al signor Giampaolo, a quell’angelo della Marietta e un poco al caro signor Alberto, che anche lui, poverino, mi voleva tanto bene. Che faceva a quell’ora?

Dormivano di sicuro, e forse i miei padroncini sognavano le chicche e i balocchi che sarebbero stati loro regalati al mattino.

Oh chi avrebbe detto loro che il povero pulcino si trovava appunto allora in angustie mortali? Poi [p. 103 modifica]pensavo al galletto della Lena, alla Tonia, al famoso nastrino rosso, e quelle memorie, dolci e crudeli ad un tempo, mi spremevano dagli occhi amarissime lacrime.

Come Dio volle, si fece giorno. La nostra prigione si schiuse, e due manigoldi, dalla faccia nera come il carbone, ci presero due per due e ci legarono bravamente gli zampini con lo spago.

Poi, come fossimo stati un mazzo di sparagi, ci portarono via col capo all’ingiù e con le gambe nelle loro mani. Il tempo era freddo ma bello.

Le botteghe, tutte accomodate a festa, erano gremite di gente accorsa a far le provviste per il giorno dopo.

Che folla, che confusione, che scampanìo! Gira e rigira, arrivammo finalmente in certe strade sudicie lercie, che sentii battezzare col nome di mercato.

Lì sì, che ce n’era della grazia di Dio! Tanta da far venir l’acquolina in bocca anche al meno ghiotto.

Non ci mancava nulla. Caci freschi, frutta dolcissime, chicche d’ogni maniera, uccellini bell’e pelati, vini scelti e un pollame poi.... da fare innamorar tutti, fuori che me.

— Ma che galletti! ma che be’ capponi! — urlò improvvisamente il mio conduttore, con una vociaccia che mi fece rimescolare.

― O che gli salta per il capo, ora a farci questi elogi? — dissi fra me — ch’e’ sia ammattito?

— Ma le li guardino, signori, che be’ galletti, che be’ capponi! — proseguiva intanto quel traditore.

Capii e fremei. Il ladro metteva in evidenza i [p. 104 modifica]nostri pregi, non con l’intenzione di farci de’ complimenti, come semplicemente avevo creduto, ma bensì per trovar de’ compratori.

Indegno!

Si avvicinò intanto una serva, con un gran paniere in braccio, da cui faceva capolino un enorme zampone e un mazzo di spinaci.

― Quanto ne volete di questo capponcello? ― diss’ella stazzonando il povero Cocò, che mi guardava con aria compassionevole.

― La mi darà quattro lire, e farà un buon affare.

― Misericordia! O che credete voi ch’e’ si vadano a rubare i quattrini?

― O quanto la mi darebbe?

― Tre lire e basta.

― Gli è poco, ma via, tanto per cominciare e’ si farà anche questa. ―

E Cocò fu venduto. Povero Cocò!

― Signori, ci ho un gallettino tenero come l’acqua. A poco!... a poco!... a poco!... ―

Si avvicinò un ometto grasso bracàto, con gli occhiali turchini sul naso e un grande ombrellone di tela sotto il braccio.

― Vediamolo, il vostro gallettino, ― diss’egli, rivolgendosi al mio conduttore.

Lo sciagurato mi messe in mostra, ed io strinsi subito amicizia col mio futuro compratore, dandogli una bella beccata sul dito pollice.

― Ahi! E quanto ne chiedete?

― Ci si accomoderà, sor padrone....

― No, no, dovete dirmi il vostro avere.

― La mi darà due lire e mezzo. È contento? [p. 105 modifica]

– Tutt’altro! Che si fa celia a chieder due lire e mezzo di questa carcassa? O se gli è secco allampanato! –

Credei bene di beccarlo da capo.

– Ahi, ahi! Eppoi la vostra bestia ha il diavolo addosso....

— Le dirò, sor padrone; è un pezzetto che non ha mangiato e per conseguenza....

– Se la rifà co’ miei diti, eh! Orsù, finiamola, che ho furia, e ci ho Masino a casa che mi aspetta.... Qual è il vostro ultimo prezzo?

– Glie l’ho detto....

– No, no, è caro. Vi do una lira e ottanta centesimi, e il galletto è più che pagato. Vi piace?

– Veramente, non potrei.... La creda ch’e’ costa più a me; i’l’ho ingrassato a riso e a noci come i tacchini, sa ella? Ma oramai, facciamo anche questa. Tanto per cominciare.... –

Era la seconda volta che il bugiardo ripeteva la medesima storia. Fui slegato e consegnato al mio nuovo padrone, che mi prese fra le braccia con la delicatezza che avrebbe usata a un bambino.

Pover’uomo! Proprio l’apparenza inganna! E io che l’aveva beccato e ribeccato!

– Dio voglia, – dissi fra me – che una volta arrivato a casa non ci pensi più. –

Ripassai, in modo però molto più comodo del primo, alcune delle strade già note, e dopo aver percorso in tutta la sua lunghezza un graziosissimo viale fiancheggiato da eleganti palazzine, ci fermammo ad una specie di villino chiuso da un gran cancello di ferro. [p. 106 modifica]

Il mio uomo suonò replicatamente il campanello con un’impazienza che rivelava chiaramente esser egli il padrone di casa.

Gli venne ad aprire una bella donnetta, vestita alquanto alla buona, ma con scrupolosa nettezza.

— Gran gingillone! — esclamò essa sorridendo — il caffè e latte, a forza di bollire, è diventato un gocciolo. E poi c’è quella buona lana di Masino che non intende di andare a scuola, finchè non ha veduto le tue compre.

— Eh! eh! — fece sorridendo il mio padrone o dove si nasconde questo signorino?

— Eccomi, eccomi, babbo! — esclamò una fresca vocina, e dopo poco comparve un vispo ragazzetto dell’età del sor Alberto.

Entrammo in casa, in una calda stanzetta terrena, dov’era accesa una bella stufa.

Fui deposto a terra.

― Con un par di libbre di lesso, farà un brodo eccellente questo gallettino! ― esclamò il padrone, guardandomi con compiacenza.

A quelle parole Masino si curvò a terra e mi prese in collo con una cert’aria.... con una cert’aria, che mi consolò tutto.

Prese ad accarezzarmi, e mentre con la manina delicata mi lisciava le penne:

― Babbo, ― domandò sorridendo ― o il Ceppo me l’ha comprato?

― No, bambino mio, perchè avrei fatto troppo tardi: ci sarà tempo stasera, quando torno dall’ufizio.

― Scusi, babbo, quanto avrebbe idea di spendere per me? [p. 107 modifica]

— Ah curiosetto! E che cosa le importa, di grazia?

— Via, babbo, mi contenti e mi dica quanto spenderebbe....

— Che so io? Venticinque o trenta lire? Ho intenzione di farti un giacchettino di panno e un cappellino di quelli che costumano ora, con la tesa arricciata; poi ti comprerò qualche balocco, o un cavallo, o un fucilino.... Si vedrà.

— O senta, babbo, io le vorrei proporre una cosa, a patto però che non mi gridi.

— Avanti, purchè tu ti spicci; gli è tardi.

— Io del vestito e del cappello potrei benissimo farne a meno; ci ho quelli d’anno che son sempre buoni.... Non è vero, mamma?

— Non c’è male, ma....

— Ma non usan più, voleva dire, eh? Ebbene, a me non m’importa nulla di far la moda; quando son pulito e piaccio a loro, son più che contento; dunque io desidererei che di queste spese non se ne facesse nulla; in quanto a’ balocchi poi....

― Quelli li vuoi di sicuro, non è vero? ― domandò sorridendo il babbo.

― Ma le pare, seguitò il fanciullo, alzandosi sulla punta de’ piedi ― che io sia un bambino da balocchi? Non vede come son grande? Altro che gingilli! Bisogna che studi, io!

― O allora, ― esclamarono i genitori pieni di maraviglia ― non vuoi nulla?

― Anzi, voglio tutto,... ― replicò Masino ridendo allegramente.

― Chi t’intende è bravo; ― disse il padre [p. 108 modifica]alzandosi con un po’ d’impazienza — se non ti spighi meglio....

— E io mi spiegherò! Babbo, lei la conosce bene, non è vero, la Maria vedova, quella che ha un bambino della mia età?

— Non vuoi che la conosca? Sta accanto....

— Ebbene, quella povera donna, giorni sono, si ammalò, e non potè riportare al merciaio la solita dozzina di camicie che cuce settimanalmente. Ora è un po’ riavuta, ma non si regge ritta dalla debolezza; e i quattrini per comprarsi un po’ di carne non ce gli ha; c’è poi il suo bambino Paolino, che non ha scarpe in piedi, e ieri, a questo po’ po’ di freddo, gli era scalzo, babbo mio! Ecco dunque quel che farei. Vorrei dare una diecina di lire alla Maria, perchè si custodisse, e un bel paio di scarpine a Paolino, perchè non patisse più.... Per lei tanto è lo stesso; o che i danari gli spenda in un modo o in un altro, è tutt’una. A me, che vuole, il Ceppo non mi farebbe prò, quando pensassi che accanto a me ci sono delle creature che soffrono d’ogni bisogno.... Che ne dice, babbo?

— Io dico che tu sei un angelo, Masino mio! — esclamò intenerito quel fortunatissimo padre, abbracciando replicatamente il fanciullo. — E non solo tu soccorrerai la Maria, ma la inviterai anche a fare il Ceppo con noi, lei e la sua creatura. Poveretti, così staranno un po’ allegri! A te poi, voglio tuttavia fare un regalino....

— E io l’accetto, babbo, — rispose pronto Masino saltellando per la stanza — l’accetto purchè ne lasci la scelta a me. [p. 109 modifica]

— Sentiamo.

— Mi regali questo bel gallettino, promettendomi di non ammazzarlo mai mai....

— Volentieri; o dove lo vuoi mettere?

— In cucina; e il giorno, quand’è bel tempo, lo faremo passeggiar nel giardino.

— Facciamo anche questa, — rispose il babbo tutto lieto. — Vuoi altro?

— Le pare? Son contento come una pasqua, e me ne vado subito subito a scuola. A rivederli. ―

E il caro fanciullo, dopo aver baciato i genitori, lo guardavano commossi, sviottolò rapidamente dalla stanza con la cartella sotto il braccio.

La signora Carolina, così chiamavasi la mia nuova padrona, mi usò da quel momento in poi le più amorevoli cure, e da quel momento, lo dico tutto lieto e ringraziando il Signore, cominciarono i giorni più tranquilli della mia vita avventurosa.