Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo X - Varii dominii ai quali soggiacque Ceva ed il suo Marchesato dal 1226 in poi.

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Capo X - Varii dominii ai quali soggiacque Ceva ed il suo Marchesato dal 1226 in poi.

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Capo X - Varii dominii ai quali soggiacque Ceva ed il suo Marchesato dal 1226 in poi.
Capo IX - Segue la cronologia di casa Ceva secondo il Moriondo ed altri. Capo XI - Cacciata dei Milanesi da Ceva.
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CAPO X.


Varii dominii ai quali soggiacque Ceva

ed il suo Marchesato

dal 1226 in poi.


Il Marchesato di Ceva, salvo la dipendenza dovuta alla somma podestà dell’Impero, fu soggetto al dominio dei suoi particolari Marchesi sino verso la metà del secolo XIII.

Chiamato in Italia Carlo d’Angiò fratello di Ludovico il santo re di Francia dal Papa Clemente IV, contro Manfredi re di Napoli avverso alla Chiesa, vi fece progressi sì rapidi, che in pochi anni assoggettossi la maggior parte delle Città del Piemonte e della Lombardia e del restante d’Italia, giunse a Napoli dove fu eletto re.

Il marchese Giorgio accerchiato dai Provenzali, che occupavano Alba, Cherasco, Cuneo e Savigliano si vide obbligato a prestare ad essi omaggio nel dì 23 di febbraio 1260, per sè, pel suo fratello Manuello, e per Giacomino detto Capuccio, e Balduino figliuoli di Leone già mancato ai vivi. Quest’omaggio si prestò pel terzo che loro spettava ne’ Castelli e terre di Ceva, Castellino Roascio, Priero, Priola, Viola, Lisio, S. Michele, e per la metà di Bagnasco, Massimino, Garessio, Ormea, Scagnello, e pei dritti sopra Castelbianco e Zuccarello, e ciò perchè i provenzali trovavansi signori d’Alba a cui Giorgio e gli altri marchesi di Ceva [p. 56 modifica]vendute avevano le anzidette Castella. Quest’omaggio si prestò in mano di Vincenzo d’Acqui e di Gualtieri Saliceto di Provenza procuratori del sopraccennato principe Carlo d’Angiò.

Da lì a pochi anni distolto questo nuovo re di Napoli dalle guerre che doveva sostenere contro Corrado, perdette in Piemonte non pochi dei fatti acquisti. Elevatasi la Città d’Asti in governo repubblicano andò crescendo in potenza, in ricchezze ed in credito. Col danaro e colla forza comprava amicizia e confederazioni ed alleanze dai vicini Signori.

Anelava in modo particolare all’amicizia di Giorgio II, denominato il Nano per nobiltà, per talenti militari, e per numero di Castella ragguardevolissimo. Con atto delli 30 novembre 1273 aveva già ratificato le alleanze fatte cogli Astigiani dai suoi maggiori, ed animato in adesso da Oddone Del Carretto Marchese di Savona s’accostò alla nuova repubblica anzi incaricò lo stesso Oddone di trattare con esso del vassallaggio delle principali terre del suo Marchesato, compresavi la capitale. Questo trattato fu conchiuso da Oddone, e ratificato da Giorgio Secondo li 22 ottobre e 21 novembre 1295 in Asti, sub voltis S. Secundi.

Il comune d’Asti lo rinvestì immediatamente dei luoghi anzidetti, e gli sborsò per questo lire centomila astesi, che equivalgono a lire novecentomila italiane.

Il marchese Nano dopo che pel trattato d’Asti raffermò i proprii stati, potè dettar la pace a Mondovì nel giorno 25 di giugno 1297. Riconobbe il territorio di quel comune nelle ville, e nei castelli di Torre, Roburento, Montaldo, Frabosa, Roccaforte, Villanova, Vasco, S. Biagio, Rocca de’ Baldi, Carrù, Carassone, e gli rilasciò i prigionieri ed i carcerati, ma col patto di esiliare dalle sue terre i marchesi Oddone e Francesco di Cravesana, il marchese Guglielmo di Ceva, i signori di Monasterolo e di Ormea, di Battifollo, di Scagnello, di Massimino, di Pornasio, Nuceto e Cusio, e che gli uomini di Mondovì non potessero allearsi coi Bressani.

[p. 57 modifica]L’Imperatore Arrigo VII, passando per Asti non avendo potuto conciliare gl’interessi delle varie fazioni diede quella Città col contado ad Amedeo V, conte di Savoia e diedegli pure il marchesato di Ceva nel dì 22 febbraio 1313. L’astese partito Guelfo sotto la condotta dei Solari acremente vi si oppose tenendo corrispondenza col Guelfo re Provenzale.

L’Imperatore con altro decreto del 17 giugno minacciava di sua indignazione il vescovo Guidone di Valperga se non avesse interposto la sua piena autorità, perchè gli ordini imperiali fossero eseguiti.

Riuscì ai Solari di far suddita al re di Provenza la repubblica d’Asti.

I marchesi di Ceva ubbidirono al Sabaudo Conte.

Dopo molte vicende il marchesato di Ceva giurò fedeltà al marchese Giovanni di Monferrato la di cui potenza si estendeva ogni giorno più nel Piemonte in prova del che, i marchesi di Saluzzo e del Carretto prestato già gli avevano il loro omaggio.

Questa lega dei marchesi di Ceva col marchese di Monferrato fu presa a male, e riguardata come fellonia dal comune d’Asti, dal duca Amedeo di Savoia, e specialmente dai Visconti di Milano che viddero violato il loro patto conchiuso colla repubblica d’Asti a cui aderirono i marchesi di Ceva, con atto delli 10 agosto 1342, rogato Gambarello.

Prepararono i Milanesi un corpo d’armata ben agguerrita e la spedirono contro Ceva nel 1352. Nel mese di giugno di quest’anno giunsero le schiere Lombarde alle porte di Ceva.

Ceva in allora non aveva per sua difesa che le mura di cinta, ed il Castello ora posseduto da casa Pallavicini nobile ed antichissima famiglia.

Questo Castello, che sorge su d’una prominenza a ponente della città era cinto da forti bastioni tutto l’intorno, ad eccezione della parte di mezzodì dove trovasi un taglio di tufo a picco al cui piede scorre il fiume Tanaro.

Racchiudeva questo castello nel suo recinto la Chiesa [p. 58 modifica]parrocchiale, le case dei canonici, il palazzo Marchionale, e varie altre abitazioni, non aveva che una porta verso levante munita di un ponte levatoio.

Assediarono i Milanesi il Castello e la Città restando così intercettata ogni entrata di viveri. Non avendo i Cevesi sufficienti mezzi da far resistenza, privi al di fuori di soccorso, dovettero arrendersi a discrezione del nemico, il quale occupò il castello, che venne maggiormente fortificato, e presero alloggio nelle case sottostanti della contrada Franca.

Non tardarono questi nuovi ospiti a diventar molesti ai cittadini. All’arroganza di vincitori univano l’orgoglio Lombardo, e maltrattavano con modi prepotenti, inurbani ed indisciplinati, s’inimicavano ogni giorno più la popolazione.

Stanchi finalmente i Marchesi e la cittadinanza del giogo di quest’insolente soldatesca, dopo tre anni d’oppressione risolsero di liberarsene.

La notte precedente il Natale del 1355 si tenne consiglio dai Marchesi e dai principali fra i cittadini di Ceva nel refettorio dei Padri Minori Conventuali di S. Francesco. Questo trovavasi in allora al di là del Tanaro e della bealera del molino dove ora trovasi la cascina denominata S. Francesco il Vecchio. Questo convento faceva parte del borgo della Torretta che stendevasi per quella pianura e che fu poi distrutto da furiose inondazioni come altrove si vedrà.

Intervennero a questo notturno congresso il marchese Bonifacio Signore di Garessio, Priola, Ormea e Monasterolo; Oddone di lui fratello signor di S. Michele, Castellino, Igliano, e Battifollo; Giorgino signor di Bagnasco, Nuceto, Viola, Lisio e Pamparato; Girardo signor di Priero, Sale, Montezemolo e Castelnuovo; Cristoforo e Giacomo fratelli signori di Lesegno, Montegrosso, Roascio e Torricella. Fra i borghesi di Ceva vi presero parte Pellegrino Salimbeni giurisconsulto e podestà, Simone Rogero, Simone Strata, Antonio De Carlino, Oddone Vercellone, Pagano di Cantacrava, Enrico Mina, Guglielmo della Torre e Giacomo De Molino.

[p. 59 modifica]Si concertò il piano delle operazioni che preceder ed accompagnar dovevano la meditata impresa, si determinò il tempo il modo, e si presero le necessarie cautele per felicemente eseguirle.

Fu ben mirabile il segreto che essi tennero per quindici giorni, cioè sino alla notte dal nove al dieci di gennaio 1356 nella quale si attaccarono i nemici come si vedrà in appresso.