Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Prefazione
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Capo I - Antichità di Ceva. | ► |
PREFAZIONE (1)
Correva l’anno 1826, ed era vacante l’Arcipretura di Ceva per la rinunzia fattane li 31 dicembre 1824 dall’Arciprete D. Gio. Antonio Randone da Garessio, Sacerdote di molti meriti, ma di salute cagionevole, e di una fibra sensibilissima, a segno tale, che al menomo fragor di tuono anche lontano, veniva assalito da sì forte contrazione di nervi, che non era più capace del menomo uffizio del suo ministero.
In due successivi concorsi non si potè provvedere d’Arciprete la vedova Collegiata. Chiamato io a farne parte chiesi d’esserne dispensato perchè era mio intento di laurearmi in Teologia, al quale oggetto eranmi già state assegnate le dissertazioni, su cui doveva prepararmi, dal dottor collegiato Teologo Bruno, da Murazzano. Vi si aggiungeva pure un motivo di delicatezza, ed era che l’Arciprete Randone mi aveva chiesto a suo coadiutore, ed io lo ringraziai dell’offertomi onore, con dire che non mi sentiva in forza da accettare un sì delicato incarico oltre l’altro motivo sovra esposto.
Ma alla fine Monsignor di Monale di sempre cara e venerata memoria mi fece un espresso comando di assumerne il regime, e mi fu forza di obbedire.
A questo punto, sebben mi conoscessi indegno di un tanto onore, sentii svegliarsi in me un sentimento d’orgoglio, al pensar che sarei diventato Arciprete della Capitale dell’antico e nobilissimo Marchesato di Ceva. Ne presi possesso il 22 ottobre di detto anno 1826, accompagnato dall’esimio Arciprete della Cattedrale di Mondovì e Vicario generale Teologo Gio. Battista Bongioanni, di cui io era Vicecurato, e dall’egregio signor Canonico D. Pio Forzani di Mondovì, ora Vescovo degnissimo della Diocesi di Vigevano.
Il mio ingresso fu festeggiato nel modo il più splendido e cortese che dir si possa da ogni classe di cittadini.
Perciò mi vi affezionai in tal guisa che tutto mi diventò interessante quanto aveva qualche rapporto col bene, e colla gloria di questa celebre città, e della di lei insigne ed antica Collegiata.
I più ragguardevoli fra i cittadini cevesi mi onorarono di loro benevolenza, ed entrai in intime relazioni d’amicizia col sig. Conte Ludovico Sauli d’Igliano, e col sig. Carlo Marenco, che sono di tanto splendore alla Patria terra.
Nel corso di oltre sei lustri ebbi campo a far raccolta delle memorie più interessanti di questa Città. Pervennero a mie mani i manoscritti di D. Sclavo di Lesegno, del sig. D. Pio Bocca, del sig. Gio. Battista Sito, e di altri scrittori di cose patrie. Gli archivii parrocchiali mi somministrarono non pochi documenti, e colla scorta dei S. Giorgio, del Guichenon, di Monsignor Della Chiesa, del Durandi, del Moriondo, del Grassi, ed altri scrittori di storie piemontesi, mi riuscì a poco a poco di mettere assieme una discreta raccolta di memorie cevesi, che sotto il nome di Memorie storiche di Ceva offro in omaggio di riconoscenza ai miei dilettissimi Parrocchiani.
Conosco abbastanza l’imperfezione di questo mio lavoro, e se non può meritare il nome di storia, meriterà sempre quello di coscienziosa raccolta, che potrà servire a più dotto scrittore onde compilare una storia più degna del pubblico di quello ch’ esser possa la mia.
Per mancanza di autentiche scritture e di più copiose notizie, non si potè compilare una continuata narrazione delle vicende di Ceva, e si dovette dividere questo lavoro in varie partizioni che comprendono le cose più interessanti, quali sono l’antichità di Ceva, la sua descrizione antica e moderna, l’origine del suo Marchesato, e
la genealogia de’ suoi marchesi, degli uomini illustri che l’onorarono, delle chiese, conventi ed opere pie, e della fortezza, dalla sua erezione sino alla sua demolizione fatta dai Francesi.
Lettor cortese, se questa mia qualunque siasi fatica, riuscirà di tuo gradimento sarò largamente compensato di quanto mi riuscì di fare; se poi ti fai ad esaminar questo scritto con occhio di critica un po’ severa vi scoprirai tanti difetti da condannarlo all’obblìo; ma sappi che le continue occupazioni parrocchiali, la penuria di documenti, ed il poco esercizio nello scrivere non mi permisero di fare di più. Io non aspiro a celebrità di sorta, pago di poter dare un contrassegno di ossequiosa riconoscenza ad una città che pel corso di tanti anni diede continue prove del suo sincero attaccamento alla mia povera persona.
Gradisci il mio buon volere e vivi felice.
(1) Il Priore Antonio Bosio dottore in teologia incaricato dall’amico autore di rivedere le stampe, per secondarne l’intenzione si permise di fare qualche aggiunta e correzione, che fatta avrebbe l’autore, se la morte non lo rapiva ai vivi ed alla riconoscenza de’ suoi concittadini pochi giorni dopo avere spedito il manoscritto per farlo stampare: ma ohimè! Dio dispose altrimenti.
Son certo tuttavia che quella bell’anima sorriderà dal cielo vedendo adempiuto questo suo ultimo desiderio, come pegno dell’affetto suo lasciato alla sua cara Ceva.
Mi sia lecito di qui riprodurre alcuni cenni sul compianto Arciprete D. Giovanni Olivero, che già scrissi nel Campanile delli 2 febbraio 1858.
Nato esso ai 17 di gennaio 1796 in Mondovì, percorse con lode il tirocinio ecclesiastico, sicché da vicecurato di quella cattedrale, fu chiamato all’arcipretura e canonicato di Ceva, della quale, con plauso di tutti, prese possesso ai 22 di ottobre del 1826.
Non è a dire quanto lavorò nel suo pastorale ministero, indefesso nell’amministrazione dei Sacramenti, nell’assistenza ai malati, nel predicare la divina parola, nel consolare e consigliare chi a lui non invano ricorreva, nel sollevare insomma i bisogni di tutti.
La sua affabilità nel trattare, la sua illimitata ospitalità lo renderono amato e riverito da tutti, e la memoria delle sue esimie virtù durerà ad esempio anche della popolazione ventura. Fu presidente dell’amministrazione dell’ospedale e dell’ospizio, prefetto delle scuole e delegato della riforma degli studi.
Dopo lunga e penosa malattia da lui sostenuta con quella rassegnazione cristiana, che agli altri raccomandava, passò a prendere il premio delle sue fatiche nella vigna del Signore ai 24 dello scorso gennaio, spirando nel letto stesso ove riposò il santo pontefice Pio VII quando passò per Ceva, e lasciando immersi nel dolore i suoi parrocchiani ed i suoi nipoti ex fratre, che privi del loro padre, come tale lo riguardavano.
Siccome divoti e spontanei furono i Tridui fatti dal clero secolare e regolare coll’intervento dell’Arciconfraternita in un coi ricoverati nell’ospizio, onde implorarne la guarigione, così magnifici e sinceri furono i funerali con immenso concorso della popolazione.
Non fu sepolto nel duomo, ma nella nuova chiesa rurale di S. Bernardino eretta colla maggior parte delle sue elargizioni.
Oltre alla suddetta necrologia posta nel Campanile, e riprodotta nell’Apologista del 10 febbraio; si leggano nell'Armonia del 29 gennaio cenni necrologici scritti dal suo caro ed infaticabile vicecurato il degno canonico di quell’insigne ed antichissima Collegiata Carlo Testanera, il quale nel dì trigesimo del transito ne reciterà le lodi e metterà in luce una vita così esemplare, disinteressata, modesta, benemerita e laboriosa quale si fu quella dell’arciprete D. Olivero: il chiarissimo conte Ludovico Sauli d’Igliano cevese, come amico del trapassato, disse calde parole che si leggono nella Gazzetta Piemontese delli 3 febbraio 1858.